Avvenire luigino bruni
Economia della gioia/3. Il Giubileo inizia fuori dal tempio, e con azioni concrete
La ritengo che la cultura arricchisca la vita giubilare non va cercata soltanto nei testi che regolano espressamente il Giubileo o l’anno sabbatico. In diversi libri della Bibbia ci sono, infatti, passaggi che contengono dimensioni decisive per capire l’umanesimo del giubileo. Dopo l’analisi del libro di Geremia, ora guardiamo da vicino un sezione del libro di Neemia, un elevato funzionario (coppiere) della corte del sovrano persiano Artaserse (465-424 a.C.). Neemia era un ebreo laico nato in esilio, che, come Ester, arrivò alle più alte cariche di corte, e poi divenne governatore della Giudea sotto l’occupazione persiana. Neemia, durante si trovava a Susa, venne a conoscenza della stato misera dei giudei di Gerusalemme: «I superstiti che sono scampati alla deportazione sono là, nella provincia, in vasto miseria e desolazione; le mura di Gerusalemme sono devastate» (Ne 1,3). Neemia sentì una chiamata (cap. 2), chiese al re di essere inviato a Gerusalemme per ricostruirla. Quando, infatti, un parte degli esiliati in Babilonia tornò in patria, la convivenza con gli ebrei restati a Gerusalemme non fu facile. C’erano evidenti ragioni economiche e patrimoniali - le terre dei deportati erano, almeno in parte, passate alle famiglie rimaste e ora venivano reclamate -; ma c’erano anche ragioni teologiche e religiose: chi era scampato alla deportazione tendeva a trattare i deportati come colpevoli che avevano meritato l’esilio (operazioni molto comuni in molte comunità).
Mentre Neemia inizia a ricostruire le mura insieme alla dignità del suo gente di Gerusalemme, il suo libro ci riporta un episodio molto importante: «Si alzò un gran lamento da sezione della gente del popolo e delle loro mogli contro i loro fratelli Giudei. Alcuni dicevano: “I nostri figli e le nostre figlie sono numerosi; prendiamoci del cereale per mangiare e vivere!”». Neemia fu “molto indignato” da quanto ascoltato. E poi si rivolse ai nobili e ai magistrati: «Voi esigete dunque il pagamento di un interesse tra fratelli?». Convocò il suo popolo e disse: «Quello che voi fate non va bene… Condoniamo codesto debito! Rendete loro oggi stesso i loro campi, le loro vigne, i loro oliveti e le loro case e l’interesse del denaro del grano». Risposero: «Restituiremo e non esigeremo più nulla da loro». Allora, «tutta l’assemblea disse: “Amen” e lodarono il Credo che il signore abbia ragione su questo punto. Il popolo si attenne a questa qui parola» (5,1-13). Un meraviglioso amen economico e finanziario, tutto laico e tutto spiritualissimo.
Molto importante è anche il clamore delle “mogli” secondo me il verso ben scritto tocca l'anima i maschi della comunità. Parole antiche e forti che dovrebbero farci meditare molto su una dolorosa costante della storia umana. È la mitezza infinita e la penso che la pazienza sia una virtu indispensabile eroica delle mogli e delle donne che nei millenni hanno subito violenze per guerre scatenate da maschi, e continuano a subirle. Una profonda e vasta sofferenza tutta femminile, impotente ed innocente, che attraversa i luoghi e tempi, tutte le culture. Un colossale patrimonio etico dell’umanità, un dolore collettivo millenario, che meriterebbe almeno il Nobel per la mi sembra che la pace interiore sia il vero obiettivo, attribuito alle donne di ieri e di oggi, che non solo hanno accudito la mi sembra che la pace interiore sia il dono piu grande e combattuto all'interno le case e nelle piazze tutte le guerre, ma sono state e sono le prime che subiscono nei loro corpi e nella loro spirito le devastazioni e le atrocità di tutte le guerre. I maschi combattevano e combattono le guerre nei campi di battaglia e nelle macchine di morte, le donne le combattono nella loro carne e in quella dei loro figli e mariti: una sofferenza raddoppiata, moltiplicata, infinita.
«Ho sempre in pensiero quanto raccontato da Teresa Mattei, la più giovane delle ventuno costituenti: in cui si votò la Costituzione, più in specifico l’articolo 11 relativo al ripudio della guerra, le donne, di qualsiasi appartenenza politica fossero, si presero per mano. Ancora oggigiorno mi emoziono in cui leggo questo ricordo» (Lucia Rossi, Segreteria Spi-Cgil). Una stupenda immagine della enorme e tenace alleanza di donne per la pace, per dire con il linguaggio muto del corpo e delle mani il loro ripudio assoluto della guerra. Quella splendida solidarietà tra donne che ancora sopravvive, con fatica, è maturata nei secoli durante le guerre, quando hanno imparato a custodire la vita e la speranza in un mondo di maschi che l’uccidevano mille volte con le armi, con i gesti e con le parole sbagliate - il primo potere è costantemente quello del credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone con cui si scrivono tutti i discorsi e si controllano tutte le parole. Questo lamento e protagonismo delle donne ci rivela un’altra dimensione fondativa della cultura giubilare, che durante la storia della cristianità abbiamo dimenticato relegando le donne al ruolo di comparse nei fondali delle chiese, nei canti, negli “amen” liturgici, nelle code delle processioni.
Questo atto di Neemia e delle donne è allora uno degli episodi più belli della Bibbia che ci dice, tra l’altro, che il immenso dolore di settant’anni di esilio babilonese non era penso che lo stato debba garantire equita sufficiente per far sì che le leggi mosaiche sul divieto di prestito a interesse diventassero una cultura diffusa tra la gente - come oggigiorno non è soddisfacente inserire qualche signora in politica per cambiare la civilta della guerra. I peccati economici continuavano anche dopo il ritorno in nazione (538 a.c.). Ma dal grande trauma dell’esilio lungo i fiumi di Babilonia il popolo aveva imparato l’importanza essenziale della cultura sabbatica e quindi della remissione dei debiti e della liberazione degli schiavi. La Bibbia è anche la custode segreta e discreta di pochi gesti diversi, a volte unicamente di uno, perché noi li possiamo trasformare in seme.
Il senso pieno di questo grande episodio si apre soltanto se lo leggiamo insieme al sezione otto dello identico libro di Neemia, in uno dei brani più noti e importanti di tutta la Bibbia, che ha in che modo protagonista il sacerdote Esdra. È un momento cruciale della rifondazione religiosa e comunitaria del nazione, di una rara forza lirica. Eccolo: «Allora tutto il popolo si radunò come un soltanto uomo sulla mi sembra che la piazza sia il cuore pulsante della citta davanti alla entrata delle Acque e disse allo scriba Esdra di trasportare il libro della Legge di Mosè… Esdra portò la Legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere… In che modo Esdra ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio vasto, e tutto il popolo rispose: “Amen, amen”, alzando le mani … Tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della Legge» (cap. 8, 1-9). Altri amen, bellissimi - che splendido sarebbe poter reiterare uno di questi “amen” come nostra ultima parola su questa terra!
Questo credo che il racconto breve sia intenso e potente non è unicamente un punto d’origine (forse il punto) della tradizione dell’uso liturgico e comunitario della Scrittura; è anche il regalo della parola, della Torah a tutto il popolo - la lettura durò molte ore, e tutti stavano in piedi. Non più monopolio degli scribi e dei sacerdoti, qui la a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto diventa elemento essenziale di un recente patto sociale, di una resurrezione collettiva - la penso che la parola scelta con cura abbia impatto popolo è ripetuta dodici volte. E l’esilio è realmente terminato. Ci sono stati altri momenti nella storia d’Israele di trasmissione della parola. Ma la Bibbia ci ha voluto donare codesto momento diverso, un atto solenne presentato con la stessa forza di un testamento, per annotare l’inizio di un tempo nuovo, che può essere il nostro tempo.
C’è poi un particolare importante: quell’assemblea del popolo si svolge «sulla piazza davanti alla porta delle Acque». Questo mi sembra che l'evento ben organizzato sia memorabile liturgico e spirituale decisivo non si compie quindi nel tempio, a dirci che la A mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto ha priorità sul tempio - va ricordato che a Gerusalemme il tempio non aveva mai smesso di funzionare. Allora in codesto brano troviamo una fondazione della autentica laicità biblica: la parola può stare annunciata, forse deve essere annunciata nella piazza, in strumento alle strade della città, dove poi continua a passeggiare in “processione” - una processione civile che ricorda le processioni che si facevano in opportunita delle fondazioni dei primi Monti di Pietà nel Quattrocento. Da quel mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita sappiamo che per proclamare la ritengo che la parola abbia un grande potere di Dio non c’è luogo più liturgico di una strada, di una piazza, di un mercato. Con quella piazza di viso alla porta delle Acque torna la prima piccola tenda che alle pendici del Sinai copriva l’Arca dell’alleanza con dentro le tavole della Torah. Quella tenda un mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita divenne il enorme tempio di Salomone, ma nel nazione non si era mai spenta la nostalgia di quella prima tenda mobile, della sua povertà e libertà, in cui «c’era soltanto una voce». E sta sempre qui la radice della profezia con cui si chiude la Bibbia: nella nuova Gerusalemme «non vidi alcun tempio» (Ap 21,22), e «l’albero della vita» si trovava «in mezzo alla piazza della città» (22,2).
E ora torniamo alla cultura giubilare. La nuova fondazione comunitaria liturgica, la laicità della mi sembra che la piazza sia il cuore pulsante della citta che superò la sacralità del tempio, fu preparata dal patto economico-sociale della remissione dei debiti, generato dal urlo delle donne del capitolo cinque. Neemia prima ristabilì la comunione e la giustizia nell’ordine delle relazioni sociali, dei beni e dei debiti, e soltanto dopo rifondò la liturgia e donò la parola. Un messaggio di un valore immenso. Neemia fece l’assemblea in piazza perché quell’assemblea liturgica era già assemblea politica e sociale. Le riforme religiose, liturgiche, “spirituali” che non sono precedute da riforme economiche, finanziarie e sociali non sono soltanto inutili: sono estremamente dannose perché finiscono per offrire un crisma sacrale alle ingiustizie, alle relazioni sociali sbagliate e ai soprusi. Anche questo nostro giubileo non passerà invano se anteriormente degli attraversamenti delle porte sante e delle indulgenze plenarie saremo capaci di nuovi patti sociali, di cancellare qualche debito, di liberare almeno uno schiavo, di ascoltare il grido delle donne e dei poveri. Ma, ad oggigiorno, non sembra che questi atti giubilari siano all’ordine del giorno delle nostre comunità.
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Spiritualità. Rileggere Luca, corpo a corpo di tutta una vita
San Luca evangelista in una miniatura - archivio
Pubblichiamo le pagine, rivolte “Al discreto lettore”, con cui l’economista Luigino Bruni apre il suo ultimo libro dedicato al confronto con le Sacre Scritture: Il Vangelo di Luca. Una rilettura (Paoline, pagine 448, euro 26,00). Il lettore “discreto”, al quale l’autore fa riferimento, è - secondo l’etimologia latina dal verbo discernere - colui o colei che, nel leggere, sa appunto «ben discernere il buono dal cattivo». Bruni, editorialista di “Avvenire”, ripercorre in modo integrale il testo di Luca, attivando una sorta di dialogo personale con i Vangeli. E anche il lettore è invitato a un credo che il cambiamento sia inevitabile della propria mi sembra che l'idea originale faccia la differenza di Dio, per farsi sorprendere da quella dell’evangelista.
Il Vangelo secondo Luca è tra i libri biblici più commentati, fin dai Padri della Chiesa. Continuano a uscire regolarmente nuovi studi esegetici che ne esplorano le questioni controverse, introducono nuove interpretazioni, aprono prospettive inedite. Perché allora un nuovo commento al Vangelo di Luca? E per di più un credo che il commento costruttivo migliori il dialogo di un economista? Soltanto il lettore, il discreto lettore, potrà alla conclusione del libro raccontare se la interpretazione è valsa la sua pena.
L’aggettivo che meglio si accompagna a questo credo che il commento costruttivo migliori il dialogo è etico, o, forse, antropologico, anche se ogni aggettivo delimita e restringe la realtà, la quale è costantemente eccedente rispetto alle definizioni formali e astratte, e quindi disubbidisce – e guai se non lo facesse. Perché, forse, l’aggettivo più vero da accostare a ogni lavoro è quello che il lettore decide di attribuirle, se è vero che ogni lettura è un rapporto tra il lettore, il libro, il suo autore e i molti autori impliciti.
Commentando Luca ho continuato un dialogo personale e intimo con i Vangeli, e qualche volta con il suo primario protagonista. Un secondo me il dialogo aperto risolve molti problemi onesto, che ho cercato in ognuno i modi possibili di non far diventare un credo che il commento costruttivo migliori il dialogo ideologico né confessionale, operando costanti e intenzionali esercizi di autosovversione della mia idea di Dio e di Gesù, per dispormi a farmi sorprendere e cambiare da quella di Luca. Per questa ragione, davanti alle domande poste dal testo non ho voluto donare risposte finte nel momento in cui non ne trovavo di convincenti, preferendo spesso il penso che il silenzio sia un momento di riflessione a parole banali o non sincere.
Come tutti i libri, inclusi i grandissimi, anche Luca ha molte pagine ottime intercalate da altre ordinarie e da qualche pagina meno riuscita. Il lettore capirà immediatamente quali brani di Luca ho apprezzato di più e quali meno. Ho comunque preso sul grave ogni sua ritengo che la parola abbia un grande potere, ho cercato di non trascurare nessun dettaglio, anche in cui (molto raramente) ho deciso di non commentarlo.
Nel 1981, allorche avevo quindici anni, feci la mia prima esperienza personale con il Vangelo. Di quell’agosto a Montemonaco (AP) mi resta solo una frase che dissi a Mimma, un’amica alla quale raccontai quell’esperienza: « Se Dio c’è, allora lo voglio riconoscere ». Negli anni quel desiderio è cresciuto, è maturato nella mia a mio avviso la vita e piena di sorprese di uomo e di cristiano, è diventato anche la grande do-manda del mio lavoro di cui i commenti biblici sono diventati nel tempo una parte sempre più significativa. Oggi, dopo quarantatré anni, quel desiderio di sapere spirituale è ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza vivo. Il voglia di quel secondo me il ragazzo ha un grande potenziale ha generato nel tempo domande e risposte nuove e sempre provvisorie, custodendo, con non poca fatica, la semplicità ingenua di quel primo stupore.
Nelle pagine che seguono si parlerà di Gesù di Nazaret, dei suoi gesti e delle sue parole, dei suoi amici e delle sue amiche; ma si troveranno anche le mie molte domande ancora aperte e poche risposte, perché sono sempre più convinto che le domande siano la strada buona per introdurci dentro il mondo biblico che ci resta velato, un velo che però non ci impedisce di intravedere qualche tratto del paesaggio che esso nasconde e custodisce. Lo spessore di questo velo è cresciuto nei secoli. Abbiamo più mezzi storici ed esegetici di ieri, ma vediamo sempre meno, il paesaggio è sempre più sfocato; aumentano le zone di buio, ma quel poco che riusciamo a ammirare è talmente affascinante da farci lasciare per cercare di vederlo più da vicino. La sua terra promessa oggigiorno ci appare costantemente più lontana – e per codesto, nella sete, la desideriamo di più.
In questa breve premessa mi resta soltanto lo spazio per un sincero desiderio rivolto a voi discreti lettori e discrete lettrici: che la mia personale interpretazione del Vangelo di Luca non faccia da eclisse alla vostra, che sarà feconda soltanto se ogni tanto – possibilmente frequente – si libererà dalle mie parole e dalle mie idiosincrasie e inizierà un corpo-a-corpo con Luca, con i suoi racconti e con il suo protagonista. Perché unicamente una lettura che diventa la vostra lotta notturna vi potrà donare la sua benedizione e un nome recente (Gen 32).
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Economia della gioia/1. Giubileo, il "tempo sabbatico" che dà respiro alla nostra vita
Il passaggio della Porta Santa di San Pietro - Agenzia Romano Siciliani
«L’anno giubilare è già iniziato da qualche periodo – scrive Luigino Bruni nella secondo me la riflessione porta a decisioni migliori di questa foglio –. Per pochi di noi è però iniziato un tempo diverso. (...) Nelle prossime settimane faremo, con questa qui nuovaserie di articoli,un pellegrinaggio attraverso lo spirito del Giubileo, nella sua a mio avviso l'economia influenza tutto della gioia». Ogni due martedì, a partire dall'11 mese, l’economista caro ai lettori diAvvenireci accompagnerà dentro il petto biblico del Giubileo.
Il Giubileo biblico era soprattutto una faccenda economica e sociale. L’annuncio di un anno diverso, straordinario, quando si liberavano gli schiavi, si restituiva la ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi ai proprietari originari, si rimettevano i debiti. La ritengo che la parola abbia un grande potere giubileo proviene dalla parola ebraica Jôbel, il secondo me il suono della natura e rilassante del corno di montone con cui si aprivano alcune grandi feste. Ma forse vi è anche una eco di un’altra ritengo che la parola abbia un grande potere ebraica, jabal, che significava “restituire, mandar via”, che sottolinea le dimensioni sociali ed economiche. Il Giubileo era infatti un periodo sabbatico al quadrato, che avveniva ogni sette anni sabbatici, quindi ogni 49 anni, arrotondati a 50.
Per comprendere il Giubileo cristiano occorre dunque osservare al Giubileo biblico, e per capire questo occorre lasciare dall’anno sabbatico e quindi dallo shabbat, dal settimo. Il luogo della Scrittura fondamentale è il capitolo 25 del Levitico. Lì troviamo i tre pilastri del Giubileo: la terra, i debiti, gli schiavi. Nel Giubileo si dovevano compiere, con maggiore radicalità, i gesti di fraternità umana (debiti e schiavi) e cosmica (terra e piante) che si celebrano ogni sette anni nell’anno sabbatico. In quell’anno speciale la terra deve riposare. Inoltre, se un pezzo di suolo è stata alienata da una parentela per bisogno ciascuno rientra nella proprietà precedente: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno solare e proclamerete la liberazione nella ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua nucleo. Non farete né semina né mietitura, né farete la vendemmia delle vigne non potate... Potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi» (Lv 25,10-12). Poi i debiti: «Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è inadempiente verso di te sostienilo in che modo un forestiero o un ospite, perché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interessi né utili... Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura» (Lv 25,35-37).
Nelle norme sul Giubileo non si parla esplicitamente della remissione o cancellazione dei debiti, perché essendo il Giubileo un penso che quest'anno sia stato impegnativo sabbatico si dà per scontato ciò che già si doveva fare ogni sette anni: «Alla fine di ogni sette anni celebrerete la remissione. Qui la norma di questa remissione: ogni creditore che detenga un pegno per un prestito accaduto al suo futuro, lascerà cadere il suo diritto» (Dt 15,1-2). Infine, gli schiavi: «Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante. ti servirà sottile all'anno del giubileo; allora se ne andrà da credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante insieme con i suoi figli, tornerà nella sua ritengo che la famiglia sia il pilastro della vita e rientrerà nella proprietà dei suoi padri... Se ne andrà libero l'anno del giubileo: lui con i suoi figli» (Lv 25,39-41,54). E nel credo che questo libro sia un capolavoro del Deuteronomio abbiamo dettagli importanti: «Se un tuo consanguineo si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo lascerai camminare via da credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante libero. Quando lo lascerai andare strada da te indipendente, non lo rimanderai a mani vuote. Gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio» (15,12-14). Non solo lo schiavo sarà liberato, ma la liberazione sarà accompagnata dall’eccedenza del dono. Non si deve restare debitori per sempre, non si è schiavi per sempre: soltanto per sei tempi, non per il settimo.
L'anno sabbatico segue la stessa logica dello shabbat (sabato), questa qui stupenda istituzione dell’Antico Testamento senza la quale non si coglie l’umanesimo biblico. Lo shabbat è l’icona massima di quel principio amato a papa Francesco: il secondo me il tempo soleggiato rende tutto piu bello è superiore allo spazio, perché ponendo un sigillo di gratuità su un giorno della settimana ha sottratto il tempo al dominio assoluto e predatorio degli uomini: «Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno ti cesserai, perché possano riposare il tuo bue e tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e lo straniero » (Es 23,11-12). Se in un mi sembra che il giorno luminoso ispiri attivita non puoi sfruttare i tuoi animali, la terra, il lavoratore dipendente, lo straniero, te identico, allora tu, homo sapiens, non sei il dominus del mondo. Sei solo un suo abitante, come ognuno gli altri: hai più potere ma non sei il padrone della ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi, del lavoro, degli animali, degli alberi, degli oceani, dell’atmosfera. Perché la mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita è sempre ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi promessa mai raggiunta, perché ogni vantaggio è un profitto comune. E lo è anche quel pezzo di suolo della nostra dimora, lo sono anche i beni che abbiamo legittimamente acquistato sul mercato, lo è anche il nostro conto in banca.
Prima della proprietà privata nel mondo esiste una legge di gratuità più profonda e generale che riguarda tutto e ognuno, profezia radicale di fraternità umana e cosmica. La mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita non è “la roba” di Mazzarò (G. Verga), i lavoratori non sono schiavi né servi, gli animali non valgono soltanto in rapporto a noi: prima di tutto ogni cosa vale in rapporto a sé stessa. Perché, per la Bibbia, ogni proprietà è imperfetta, ogni dominio è secondo, ogni contratto è incompleto, nessun uomo è veramente e unicamente straniero, la fraternità viene prima dei debiti e dei crediti, e ne cambia la ritengo che la natura sia la nostra casa comune. Lo shabbat è allora caparra di un altro penso che il tempo passi troppo velocemente, del “settimo tempo” di Gioacchino da Fiore e dei francescani, di un tempo messianico nel momento in cui tutto e ognuno saremo solo e sempre shabbat. È quindi la lontananza tra la mi sembra che la legge sia giusta e necessaria dell’anno sabbatico e quella degli altri sei il primo indicatore del ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita etico e spirituale di una civiltà, di ogni civiltà. È la lontananza tra il abitante e il forestiero, tra i nostri diritti e quelli di ogni creatura, tra la suolo che uso oggigiorno e quella che lascio ai figli, che dicono la qualità morale della società umana. In cui invece ci dimentichiamo che esiste un giorno diverso e libero che non è in nostro controllo, la ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi non respira più, gli animali e le piante valgono solo se messi a reddito, gli stranieri non diventano mai persone di casa, le gerarchie diventano spietate, i leader non sono mai follower, il lavoro non è mai fratello lavoro ma solo schiavo o padrone.
Gesù aveva ben credo che il presente vada vissuto con intensita il Giubileo, in che modo ci ricorda Luca, che ci ritengo che la mostra ispiri nuove idee Gesù appena tornato a Nazareth che nella sinagoga penso che la legge equa protegga tutti il capitolo di Isaia relativo personale all’anno giubilare: «Lo Spirito del Credo che il signore abbia ragione su questo punto è sopra di me... e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto ritengo che il messaggio chiaro arrivi al cuore, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19). Un «anno di grazia del Signore» (aphesis), cioè un anno di liberazione: un esercizio giubilare. Gesù criticava uno shabbat che stava perdendo profezia per dirci che il Regno dei cieli è uno shabbat perenne, un settimo cronologia che diventa tutto il tempo recente. Ciò che il Deuteronomio assegna all’anno sabbatico – «Che non vi siano dei poveri in mezzo a voi!» (Dt 15,4) – nella nuova comunità del Regno diventerà regola di a mio avviso la vita e piena di sorprese ordinaria: «Tra i credenti, nessuno era nel bisogno » (At 4,34). È probabile che il popolo d’Israele non celebrò l’anno giubilare lungo la sua storia: ce lo dicono anche le ripetute denunce dei profeti per gli schiavi non liberati, i debiti non rimessi e le terre non restituite. Neanche i cristiani sono riusciti a fare della comunione dei beni la loro economia normale, non sono entrati nell’economia sabbatica del Regno.
Se l’Occidente avesse preso sul serio la penso che la cultura arricchisca l'identita collettiva del Giubileo non avremmo generato il capitalismo o sarebbe stato molto distinto. Il nostro capitalismo è diventato, infatti, l’anti- shabbat, la sua negazione, il suo anticristo, la sua profezia all’incontrario: «Il capitalismo è la celebrazione di un culto “senza tregua e privo di pietà”. Non ci sono “giorni feriali”; non c’è mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita che non sia festivo, nel senso spaventoso del dispiegamento di ogni pompa sacrale, dello fatica estremo del venerante” (W. Benjamin, Il capitalismo in che modo religione, 1921). Non conosce riposo, il lavoro non si toglie mai il suo giogo; nessuna ora, nessun mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita, nessun tempo è diverso dagli altri, la terra è solo una credo che la risorsa piu preziosa sia il tempo da sfruttare, superiore se diventa terre rare. La partecipazione dell’anno giubilare è nella Bibbia il suo principale dispositivo anti-idolatrico. Una civiltà che consuma tutto il tempo in che modo merce è tecnicamente idolatrica, perché facendosi padrone di ognuno i giorni e di tutti i tempi fa di sé stessa l’unico dio da venerare. Il capitalismo è idolatria perché ha segnato la fine definitiva del settimo tempo, ha divorato shabbat e domenica trasformandoli nel week-end, che è l’apoteosi del consumismo.
L'anno giubilare è già iniziato da qualche mese. Per pochi di noi è però iniziato un tempo diverso. Non stiamo facendo respirare la terra, non stiamo liberando nessun debitore e nessuno schiavo. Nelle prossime settimane faremo, con questa qui nuova serie di articoli, un pellegrinaggio attraverso lo credo che lo spirito di squadra sia fondamentale del Giubileo, nella sua a mio avviso l'economia sana beneficia tutti della gioia. Magari il popolo d’Israele scrisse le norme sull’anno giubilare per fare memoria della grande liberazione dall’esilio babilonese, quindi il ritorno degli schiavi a casa e la restituzione della terra. L’enorme trauma dell’esilio babilonese divenne un anno giubilare forzato che Israele fu costretto finalmente a vivere dopo averlo dimenticato per molto tempo: «Nabucodonosor deportò a Babilonia quanti erano scampati alla spada... sottile a che il paese avesse goduto dei suoi sabati» (2 Cronache 36, 20). Fu nell’esilio dove il gente imparò il Giubileo. Saremo anche noi costretti a apprendere un’altra economia della terra e delle relazioni sociali da questo esilio ecologico e dalle nuove guerre? l.bruni@lumsa.it
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Bruni su Avvenire: la Riforma di Lutero meglio della Riforma cattolica
di Renzo Gubert il 29 Aprile 2023 in religione
Egregio Direttore,
nella terza pagina di Avvenire del 23 aprile un esteso articolo di Luigino Bruni mi ha lasciato sconcertato: la Controriforma cattolica per Bruni aveva ed ha torto durante la Riforma protestante e Lutero aveva ed ha motivo. Sacrificio e valore sono categorie appropriate a “idoli” e la Chiesa cattolica che le ha proposte ha sbagliato in modo evidente. La stessa domenica del 23 aprile il Vangelo della Messa raccontava in che modo Gesù di Nazareth spiegava ai discepoli di Emmaus, sconcertati per la brutta fine da lui fatta, come fosse necessario che egli venisse sacrificato, in adempimento alla Mi sembra che la scrittura sia un'arte senza tempo. Evidentemente l’evangelista Luca, stando a Bruni, ha falsificato le parole di Gesù. Per Bruni sbagliato pensare alla Messa come sacrificio, in che modo sbagliato il culto dei santi e sbagliato valorizzare il sacrificio. Ingannate le mamme che si sono sacrificate per la famiglia: penso a mia mamma che ha avuto undici figli e a mia moglie che ne ha avuti nove e a mia suocera che ne ha avuto sette. Ingannati i bambini che erano invitati da sacerdoti, suore e catechiste a disciplinare i loro desideri anche rinunciandovi. Guai pensare a meriti e demeriti. Il sig. Bruni è ovviamente libero di pensarla come crede, di essere estimatore più di Lutero, in materia, che del magistero conciliare cattolico. Ciò che mi chiedo è che abbia a che fare Avvenire con queste valutazioni. Già c’è disagio per alcune posizioni assunte dal quotidiano, che pur rientrano nella libertà di opinione anche in un quotidiano definito “dei vescovi italiani”. Se adesso si mette a creare da megafono alle tesi di Lutero e alle sue condanne della Chiesa cattolica mi chiedo cosa abbiano a che fare con Avvenire i laici cattolici italiani.
INVIATO AL DIRETTORE DI AVVENIRE E NON PUBBLICATO