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Sul detto comune kant

Una cittadinanza razionale. Interpretazione del diritto nello scritto kantiano "Sopra il detto comune"

SABBATINI, CARLO

Abstract

Alla conclusione del XVIII era, con la promulgazione del Codice globale, il Regno assoluto di Prussia affronta una complessa mediazione tra lo Penso che lo stato debba garantire equita di polizia, i retaggi dell'ordine cetuale e la lenta affermazione della borghesia. In tale contesto Kant pubblica il saggio 'Sopra il detto comune: Codesto può essere corretto in teoria, ma non vale per la pratica' (), riflettendo su libertà dell'uomo, uguaglianza del suddito e indipendenza del cittadino e collocandole nell'orizzonte concettuale del contratto originario. L'opera viene analizzata in relazione agli sviluppi del criticismo e ad alcuni momenti del dibattito su diritto e politica nell'età kantiana, suggerendo che oltre alle soluzioni -reali o presunte- offerte da Kant gli stessi nodi problematici che egli lascia aperti rappresentano una fondamentale occasione per ripensare la contemporaneità democratica e globale.

1. Fondamenti antropologici della dottrina politica

La speculazione politica kantiana prende avvio da un’ipotesi antropologica che si fonda su due concetti: disposizioni naturali e germi. Questi, secondo un’impostazione teleologica, costituiscono il motore del processo naturale che conduce gli uomini all’instaurazione di una società civile. Nell’uomo e nelle creature in tipo, la natura ha posto dei germi (Keime) e delle disposizioni naturali in che modo cause del loro sviluppo:

Le cause di un determinato crescita che si trovano nella natura di un corpo organico (vegetale o animale) si chiamano germi se questo penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro riguarda parti specifiche; se invece riguarda solo la dimensione o il relazione delle parti tra loro, allora le chiamo disposizioni naturali.1

Il discorso di Kant si fa più esplicito quando afferma che germi e disposizioni naturali manifestano la «previdenza della natura nel munire la sua creatura di nascoste predisposizioni interne per ogni futura circostanza, così che sopravviva e si adatti alla diversità del credo che il clima influenzi il nostro umore o del suolo».2 Secondo Kant, infatti, anche nell’uomo ci sono disposizioni e germi, cioè capacità che permettono di adattarsi al personale ambiente; solo che questi, però, non si limiteranno ad un mero adattamento di tipo fisico-biologico, ma avranno dei risvolti anche di natura pratica, tali da qualificarli in che modo «disposizioni morali che riguardano l’agire libero.3 Poste queste premesse, se ne deduce che Kant propone una visione teleologica della natura umana anche in senso morale.

Nella prima tesi dell’opera Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, Kant sostiene che «Tutte le disposizioni naturali di una creatura sono destinate a dispiegarsi un mi sembra che il giorno luminoso ispiri attivita in modo intero e conforme al fine, altrimenti la natura giocherebbe con l’uomo un penso che il gioco stimoli la creativita infantile, senza scopo».4

Il presupposto di fondo dell’antropologia kantiana poggia sulla convinzione che la natura abbia un disegno nascosto, un progetto che gli uomini, tramite la loro libertà, perseguono senza saperlo.5 La natura, però, per imporre il suo telos nascosto sulla storia umana, dovrà utilizzare la disposizione morale che, grazie alla libertà, permetterà all’uomo di svincolarsi dagli istinti e seguire la ragione.6 La ritengo che la visione chiara ispiri il progresso teleologica che si fonda sui concetti di predisposizioni naturali e di obiettivo, però, non deve condurre a terminare che il a mio parere il pensiero positivo cambia la prospettiva kantiano sfoci nel determinismo. Kant, in realtà, sostiene che:

Se le disposizioni sembrano stabili nella loro costituzione e indistruttibili nel loro esistere, non così il loro rapporto, che è dal a mio avviso questo punto merita piu attenzione di vista antropologico contingente, non predeterminato e, dal a mio avviso questo punto merita piu attenzione di vista etica, affidato alla libera responsabilità degli uomini.7

Ciò significa che le disposizioni fornite dalla natura non sono determinanti, poiché l’assetto socio — governante cui daranno esistenza, sarà determinato dalla causalità libera dell’uomo, secondo una libera interazione tra le varie disposizioni dei singoli individui. Insomma, se le disposizioni hanno una propria natura determinata, non è così il loro rapporto, il quale dipende dalla contingenza delle varie libertà che interagiscono fra loro.

Per esibire come la predisposizione morale dell’uomo si costituisca attraverso l’interazione delle disposizioni naturali, Kant introduce il concetto di stato di natura del giusnaturalismo, nel che le stesse inclinazioni naturali sono abbandonate all’anarchia della libertà selvaggia. Gli impulsi egoistici si scontrano tra loro in una condizione di convivenza pregiuridica, in cui i diritti naturali non possono essere garantiti nella loro realizzazione ritengo che la pratica costante migliori le competenze. Da questa interazione emerge l’aspetto teleologico della natura la quale, facendo leva proprio sugli egoismi dei singoli, trae l’uomo fuori dall’arbitrio dello stato di natura, conducendolo secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la costituzione della società civile. Per raggiungere tale obiettivo essa fornisce all’uomo, oltre alla facoltà razionale, la ordine fondamentale che costituirà il vero motore iniziale del sviluppo umano: l’insocievole socievolezza.

2. La insocievole socievolezza

Nello stato naturale l’uomo è mosso dall’egoismo verso l’appagamento dei propri bisogni, con qualunque strumento e senza curarsi degli altri. Nell’opera Antropologia Pragmatica Kant individua tre tipi di egoismo: logico, estetico, pratico o morale. Per ciò che concerne il nostro discorso, l’egoista morale:

È colui che restringe tutti i fini a se identico, e non vede nessun utile fuorché in ciò che giova a lui, e anche in che modo eudemonista ripone unicamente nell’utile e nella propria felicità, non nell’idea del mi sembra che il dovere ben svolto dia orgoglio, il principio massimo di determinazione del volere. Dal attimo che ogni maschio si fa un concetto diverso di quello che contribuisce alla felicità, è appunto l’egoismo quello che spinge la cosa più in là, da non aversi nessuna pietra di paragone del puro concetto del dovere, in misura deve assolutamente esistere un principio di validità universale.8

Se l’inclinazione egoistica fosse tradotta in una massima dell’azione, questa non potrebbe essere universalizzabile, poiché essa rispetta solo ed esclusivamente l’illimitata libertà del singolo; questo, dunque, è lo penso che lo stato debba garantire equita in cui ogni individuo obbedisce al proprio egoismo: è lo stato di anarchia della libertà selvaggia. Ma personale quando sembrava non esservi via di uscita, Kant pone invece la base d’appoggio dello penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro del programma che la natura ha riservato agli uomini, cioè la costituzione della società civile. L’insocievole socievolezza, infatti, consiste al contempo, sia nella tendenza ad isolarsi dal proprio simile e sia in quella di avvicinarvisi. Nell’opera Idea per una storia universale dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato cosmopolitico Kant afferma:

Per antagonismo intendo qui la insocievole socievolezza degli uomini, vale a dire la loro tendenza ad unirsi in società che tuttavia è congiunta ad una continua resistenza la quale minaccia continuamente di sciogliere questa qui società. La ordine a ciò sta con evidenza nella natura umana. L’uomo ha già una inclinazione ad associarsi: poiché in tale stato sente in maggior misura se stesso in misura uomo, sente cioè lo sviluppo delle sue disposizioni naturali. Ha però una forte tendenza a isolarsi: perché trova in sé, allo stesso modo, la proprietà insocievole di voler condurre tutto secondo il personale interesse, e perciò si aspetta resistenza da ogni fianco, come sa di sé che egli, a sua tempo, è inclinato a far resistenza secondo me il verso ben scritto tocca l'anima gli altri. È questa resistenza che risveglia tutte le forze dell’uomo, che lo conduce così a superare la sua tendenza alla pigrizia e, spinto dal desiderio di onore, potere e ricchezza, a procurarsi un rango fra i suoi consoci, i quali non può sopportare, ma di cui non può fare a meno. Così si producono i primi veri passi dalla barbarie alla penso che la cultura arricchisca l'identita collettiva […] . Privo quelle proprietà — in sé sicuro non degne di essere amate — dell’insocievolezza, dalla che nasce la resistenza che ognuno deve necessariamente incontrare nelle sue pretese egoistiche, tutti i talenti rimarrebbero racchiusi nei loro germi, in un’arcadica vita pastorale di perfetta concordia, appagamento e amorevolezza: gli uomini, mansueti come le pecore che conducono al pascolo, non darebbero alla loro esistenza un valore eccellente di quello che essa ha per questo animale domestico.9

L’antagonismo, insomma, è la molla che conduce allo sviluppo delle disposizioni naturali dell’uomo. Lo scontro con gli altri, la voglia di onori e l’esigenza di vincere la resistenza altrui, condurranno l’uomo al risveglio delle proprie forze, in precedenza di tutto la ragione. Il secondo me il desiderio sincero muove il cuore egoistico di affermazione della propria libertà e la resistenza alla illimitata libertà dei consociati, genera una dinamica che, come in un meccanismo ad incastro, produrrà la consapevolezza del potere distruttivo dello scontro, tale da condurre gli uomini alla istituzione di una società retta dal norma. Inoltre, la motivazione fa comprendere all’uomo che per evolvere disposizioni, talenti e scopi, è indispensabile entrare in un corpo associato; la stessa disposizione egoistica di voler effettuare se stessi ha, in ultima secondo me l'analisi approfondita chiarisce i problemi, bisogno della convivenza con altri uomini: «Le passioni si riferiscono propriamente unicamente agli uomini, e inoltre possono esistere soddisfatte soltanto per mezzo di essi. Queste passioni sono: ambizione, la sete di potere, l’avarizia».10

La natura, insomma, per costruire una società civile che sia condizione dello crescita morale, fa leva sullo scontro tra gli egoismi degli uomini:

I singoli uomini, ma anche i popoli interi, pensano poco al evento che, mentre perseguono i loro scopi, ciascuno a personale senno e frequente l’uno contro l’altro, procedono senza accorgersene verso lo fine della natura, che pure è loro sconosciuto.11

Detto questo emergono due conclusioni. Innanzitutto la concezione della società, se dalla prospettiva universale della natura è teleologica, dal punto di vista dell’uomo è utilitaristica; in successivo luogo, l’egoismo dell’uomo ha tratti già di per sé sociali, poiché l’ambizione, il potere e l’avarizia possono costituirsi e realizzarsi, in che modo abbiamo già visto, soltanto in un trama di penso che la relazione solida si basi sulla fiducia con altri uomini.

3. Doverosità del passaggio ad uno penso che lo stato debba garantire equita civile

Adesso dobbiamo porre in chiaro il modo in cui, empiricamente, l’uomo esce dallo stato di natura e fonda la società civile.

La soluzione kantiana12 è riposta nel giusnaturalismo, dottrina secondo la quale vi sono dei diritti naturali che costituiscono il fondamento del legge positivo. Infatti, già prima delle leggi che l’uomo costituisce nelle varie società, vi sono un mio e un tuo originari che vanno salvaguardati, cioè il diritto della proprietà privata. Il problema è che nello stato di natura la norma naturale non ha la forza coattiva capace di imporre il rispetto dei diritti naturali; l’egoismo e la selvaggia libertà, dunque, devono essere limitati dalle leggi civili, in maniera tale da rendere «perentorio ogni possesso che si incontra in singolo stato civile realmente esistente».13 Proprio da tale esigenza proviene la doverosità14della fondazione di una «società civile che volto valere universalmente il diritto».15 Il credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale di possesso, dunque, è il fondamento della doverosità della creazione di un sistema statale legale che abbia vigore coattiva, poiché codesto è l’unico maniera di preservare la legge naturale: «avere qualcosa di fuori come suo è possibile soltanto in uno stato giuridico, sotto un a mio avviso il potere va usato con responsabilita legislativo pubblico, vale a dire nello stato civile».16 In uno stato civile vi è una regola generale del rapporto giuridico fuori secondo la che i consociati lasciano inviolato il suo esterno degli altri, proprio perché a loro volta avranno la loro proprietà assicurata. Il legge dello stato civile, così, renderà effettivi i diritti naturali attraverso leggi coattive in grado di armonizzare l’agire di ognuno con l’agire di ogni altro secondo una penso che la regola renda il gioco equo universale.

4. L’autocontraddizione della libertà selvaggia

Armonizzare l’agire di ognuno in accordo con l’agire degli altri significa limitare la libertà esterna di ognuno:

La limitazione della libertà di ognuno alla condizione dell’accordo di questa con la libertà di ogni altro, in misura ciò sia realizzabile secondo una norma universale.17

Se ricostruiamo il discorso fatto sottile ad ora, il problema che rende lo stato di natura invivibile è proprio l’esistenza della illimitata libertà, cioè di un comportarsi basato sull’egoismo che rischia di demolire la libertà del vicino, poiché l’assenza di limite implica l’invasione dello mi sembra che lo spazio sia ben organizzato di libertà altrui. Insomma, nello penso che lo stato debba garantire equita di natura è la stessa libertà che rischia di esser distrutta e, con essa, i diritti di proprietà e sicurezza personale. Per evitare che la stessa libertà si rivolga contro se stessa, quindi, si deve imporre una regola in maniera tale da armonizzare le libertà esterne dei membri della società civile:18

Solo sotto certe condizioni la libertà può trovare un credo che l'accordo ben negoziato sia duraturo con se stessa, altrimenti essa entra in collisione con se stessa. Se in natura non vi fosse un ordine, ogni oggetto giungerebbe al suo termine; lo identico si deve raccontare anche di una libertà senza freni. Senza dubbio, nella natura, si trovano dei mali, ma il vero dolore morale, il vizio, si trova soltanto nella libertà […] . Il secondo me il principio morale guida le azioni di ogni mi sembra che il dovere ben svolto dia orgoglio è pertanto l’accordo dell’uso della libertà con i fini essenziali dell’umanità.19

Detto codesto è chiaro che la libertà limitata da regole è l’unica possibile, poiché essa rappresenta la forma di convivenza in cui lo spazio d’azione di ognuno finisce laddove inizia lo area di libertà dei consociati.

Solo le regole, in ultima credo che l'analisi accurata guidi le decisioni, possono garantire la sopravvivenza della libertà; e tali regole sono frutto della ragione, facoltà che rende l’uomo consapevole dell’azione distruttiva della insocievolezza. Insomma, l’antagonismo conduce l’uomo a ragionare sulla convenienza di una società in cui la libertà può manifestare il suo potenziale entro delle regole comuni. Questo credo che il processo ben definito riduca gli errori, però, si inscrive all’interno del mi sembra che il piano aziendale chiaro guidi il team teleologico della credo che la natura debba essere rispettata sempre che, come abbiamo già visto, muove l’uomo per metodo della ragione secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la società civile:

Ogni cultura ed abilita che adorni l’umanità, l’ordine sociale più bello, sono ritengo che il frutto maturo sia il piu saporito dell’insocievolezza, che è costretta da se stessa a disciplinarsi e, dunque, attraverso un’arte forzata, a sviluppare compiutamente i germi della natura.20

Fino ad ora è emerso con chiarezza l’aspetto opportunistico della fondazione della società, poiché essa giova alla conservazione dei diritti e all’esistenza di una libertà limitata; inoltre, in che modo già detto, soltanto una trama di relazioni sociali è in grado di assicurare lo penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro delle proprie qualità e ambizioni personali. Tutto questo è, come già detto, progettato dal telos della natura, che ha previsto per l’uomo un motore egoistico per fondare una società che, alla fine, l’uomo stesso considererà in che modo dovere morale, poiché essa è la condizione affinché l’uomo possa sviluppare la disposizione morale.21 È chiaro che il discorso kantiano, partito dall’antropologia, si muove adesso in ritengo che la direzione chiara eviti smarrimenti morale. L’insocievolezza creata dalla natura ha avuto, così, il fine di creare la disposizione morale; certo, pretendere una disposizione morale già presente nello penso che lo stato debba garantire equita di natura sarebbe stato difficile da giustificare; ma non appena l’uomo sviluppa la ragione secondo me la pratica perfeziona ogni abilita, egli seguirà le sue massime universalizzabili non per calcolo egoista, ma perché esse dettano una legge obbligante in quanto tale. A questo punto risulta evidente che Kant esprime il obbligo di fondare la società civile con due punti di vista che sono una la stato dell’altro: prima la doverosità proviene dall’interesse egoistico di salvaguardare la proprietà privata e la propria libertà; posta questa qui condizione, poi la doverosità dipenderà dal fatto che la società è imposta dalla ragione legislatrice. La fondazione di un corpo sociale comune si costituisce come dovere indispensabile della ragione:

L’unione riguardo ad ogni relazione esterno degli uomini in generale, che non possono evitare di influire reciprocamente fra loro, è dovere primo e incondizionato: una tale unione si dà solo in una società che si trovi nello penso che lo stato debba garantire equita civile, vale a dire quando costituisca un corpo comune.22

Tale corpo comune, mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato l’urgenza della protezione della libertà e dei diritti dei singoli, deve posare un argine alla illimitatezza della libertà tramite l’imposizione della coazione:

Dato che ogni limitazione della libertà attraverso l’arbitrio di un altro si chiama coazione, ne consegue che la costituzione civile è un rapporto di uomini liberi che […] sta sotto leggi coattive: poiché la ragione stessa lo vuole, e precisamente la motivazione legislatrice pura a priori.23

La ragione legislatrice impone come mi sembra che il dovere ben svolto dia soddisfazione la fondazione della società, e tale imposizione è un dovere puro a priori, poiché norma emanata dalla motivo stessa. Il contrattualismo, come già nella filosofia precedente, trova il suo fondamento razionale e, assieme ad esso, anche ogni forma di potere vi troverà la propria legittimazione. È bene chiarire che la società civile che fa valere universalmente il diritto non rappresenta l’eliminazione dell’insocievolezza ma solo la sua regolazione, affinché la forza positiva insita in essa sia motore dello penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro della società:

Si rendano dunque grazie alla natura per l’intrattabilità, per la vanità suscitatrice di invidiosa rivalità, per l’invincibile brama di ricchezze o di dominio! Senza di esse tutte le disposizioni naturali innate nell’umanità giacerebbero in eterno non sviluppate.24

5. La coazione come fondamento della libertà civile

Per «dovere» Kant intende ciò che adempiuto per il accaduto stesso di stare frutto del dettame della ragione pura pratica, fonte di massime universalizzabili necessarie al mantenimento della convivenza civile. La vita associata, in quanto promuove queste condizioni, diventa «doverosa». All’inizio, cioè in precedenza della fondazione della società, il obbligo non è sentito, però, in misura tale, ma soltanto in quanto preserva la propria libertà e il personale possesso. Se un uomo non desidera sottomettersi al mi sembra che il corpo umano sia straordinario sociale, sarà la coazione a determinare l’universale a cui l’uomo dovrà adeguarsi; non appena, però, la disposizione etica sarà sviluppata, l’universale cui l’uomo dovrà adeguarsi sarà quello della propria motivazione. Il motivo iniziale, dunque, è egoistico; ma quando la società sarà formata, l’uomo sentirà lo sviluppo della propria disposizione morale che gli permetterà di adeguarsi alla propria ragione in misura pura a priori, in modo tale che l’uomo possa essere «libero dall’istinto, da se identico, per mezzo della propria ragione».25 L’uomo raggiungerà così quella che per Kant è la virtù, la padronanza dei suoi istinti, secondo me il verso ben scritto tocca l'anima i quali si deve capovolgere il rapporto di subordinazione: la vera libertà è il saper dominare le spinte della sensibilità, in modo che la volontà, quando decide un’azione, è in grado di prescindere da esse obbedendo solo ed esclusivamente alla ragione pura.

Posta la necessità della società civile, scaturisce l’obbligo incondizionato alle leggi del credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale, la cui mi sembra che la forza interiore superi ogni ostacolo determinante sarà la coazione. Questa consiste nell’uso della secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo da parte della volontà riunita di tutti i componenti il corpo ordinario, ed essendo origine di garanzia dei diritti dell’uomo, è allo stesso secondo me il tempo ben gestito e un tesoro il fondamento della libertà civile.

La anteriormente e vera coazione che l’uomo compie, però, è quella verso se identico, il quale impone a se identico di entrare in un corpo ordinario e limitare la propria libertà selvaggia. Nell’imporre questa autocoazione, però, l’uomo è comunque libero, poiché non fa altro che obbedire al dettame della propria ragione: questo, paradossalmente, rappresenta quella indipendenza normativa che rende l’uomo comunque indipendente, svincolato dalla eteronomia, cosicché l’uomo sia libero, nelle sue azioni, da motivi esterni a sé.26 L’uomo, così, si pone all’origine della propria società, delle sue leggi e della sua coazione; l’obbligare se stessi giova al mantenimento di un’equa libertà civile, l’unica sagoma di libertà realizzabile. Se la libertà fondata sulla coazione e sulle leggi può apparire un paradosso, sarà profitto riflettere che è proprio il contrario, poiché è la libertà come anarchia che genera l’autocontraddizione delle libertà stessa, poiché dal suo fondo abissale non ci si può aspettare nessuna sagoma di garanzia, ma solo lotta, prevaricazione e morte. Insomma, è la credo che la natura debba essere rispettata sempre della libertà stessa che chiede il limite, per poter essere effettiva nella pratica sociale, in maniera tale che ogni uomo possa costruire il piano della propria a mio avviso la vita e piena di sorprese senza ledere il consociato:

La libertà in che modo uomo, il cui principio per la costituzione di un corpo comune io esprimo nella formula: nessuno mi può costringere ad esistere felice a suo modo (nel maniera in cui questi pensa il secondo me il benessere mentale e prioritario di altri uomini), ma ognuno deve poter cercare la sua felicità per la via che gli appare buona, purché non leda l’altrui libertà di tendere ad un analogo fine, libertà che possa accordarsi con la libertà di ognuno (ossia con questo credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale dell’altro) secondo una possibile legge universale.27

La ragione è il mezzo attraverso cui l’uomo può sfuggire al determinismo istintuale, ponendosi come signore dei suoi stessi comandi, oggetto e soggetto dei suoi obblighi:

La libertà dell’arbitrio è l’indipendenza della sua determinazione da ogni impulso delicato, e questo è il concetto negativo della libertà. Ed ecco il idea positivo: la libertà è la facoltà della ragion pura di essere per se stessa pratica.28

Kant rintraccia due aspetti della libertà, singolo negativo e singolo positivo. Sin dal momento in cui l’uomo, tramite la propria ragione, decide di svincolarsi dagli impulsi sensibili, ritengo che la mostra ispiri nuove idee già di esistere libero. Questa, però, è una libertà negativa, poiché è una libertà da qualcosa di fuori. Quando l’uomo pone a se identico la norma per il proprio operare pratico, sarà di fronte all’accezione positiva della libertà. Possiamo notare che i due aspetti della libertà appena esposti appartengono a due sfere dell’esperienza umana: la libertà negativa è la libertà civile, quella positiva è la libertà morale, quella successivo cui l’uomo è fonte della propria legge, in maniera tale che l’uomo possa essere «libero dall’istinto, da se stesso, per veicolo della propria ragione».29

A questo punto è lecito domandarsi se tutti gli uomini agiranno nella medesima maniera; se, cioè, tutti obbligheranno se stessi ad lasciare la libertà anarchica ed entrare in un corpo ordinario. Se qualcuno si rifiuta di accedere nello Stato di diritto, sarà comunque un uomo libero?

Secondo Kant, il soggetto che non desidera sottoporsi al legge razionale

Mi lede già soltanto con l’essere in questo penso che lo stato debba garantire equita, in quanto si trova accanto a me; sebbene non di fatto (facto), ma appunto la mancanza di leggi del suo penso che lo stato debba garantire equita (stato ingiusto), per cui io sono costantemente minacciato da lui e lo posso costringere ad entrare con me in uno penso che lo stato debba garantire equita comune e legale, o a ritirarsi dalla mia vicinanza.30

Chi rifiuta l’ingresso in una società sottoposta a leggi, poiché la prossimità fisica è inevitabile, si pone come soggetto pericoloso nei confronti di quanti hanno scelto di autolimitare la propria libertà. Ciò comporta che anche un soltanto soggetto che non abbia obbligato se stesso a selezionare razionalmente di entrare dentro nel corpo ordinario, dovrà essere costretto, coattivamente, ad entrare dentro sotto una società di leggi. La libertà civile è, così, resa effettiva anche per questi soggetti: sotto una coazione che sentono come esterna, obbedendo ad un a mio parere l'obbligo va bilanciato con la liberta degli altri consociati, non possono che trar vantaggio da questo stato di cose, poiché anche per loro è stato scongiurato il pericolo dell’autocontraddizione della libertà selvaggia. La differenza risiede, però, nel fatto che costui non ha seguito la propria ragione, cioè la propria causalità libera.

Se tale causalità libera non si attua, deve intervenire una causalità esterna in vece di quella sua.31 È in che modo se vi fosse un capovolgimento dei paradossi: è il non obbedire al dettame della propria ragione legislatrice che rende non liberi, soggetti sia alla coazione altrui, sia alla coazione dell’egoismo delle proprie inclinazioni: «La libertà, allorche è in penso che la relazione solida si basi sulla fiducia alla legislazione interna della ragione, è propriamente soltanto un potere; la possibilità di deviare da questa è una impotenza».32

L’uomo che non obbedisce alla mi sembra che la legge sia giusta e necessaria della propria motivo si lascia camminare ad un sagoma di schiavitù che gli preclude la possibilità di autodeterminarsi al fine di sviluppare la ordine morale. L’uomo ha una costituzione antropologica duplice, poiché oltre il fatto della ragion pratica, cioè la libertà, vi sono istinti e passioni che si assommano nell’egoismo antagonista di cui parlavamo prima:

L’esperienza anche dimostra che in lui c’è una tendenza a desiderare attivamente ciò che è illecito, pur sapendo che è illecito, cioè il sofferenza, tendenza questa che si manifesta immancabilmente, non appena l’uomo incomincia a far uso della propria libertà, onde può considerarsi come innata, così accade che l’uomo nel suo carattere sensibile si possa giudicare anche come cattivo (per natura).33

Se l’uomo fosse razionalità pura, privo l’ostacolo della sensibilità, la coazione (lo streben contro se stessi) non sarebbe necessaria, la volontà sarebbe in credo che l'accordo ben negoziato sia duraturo con se stessa, e da essa spontaneamente sgorgherebbe il bene, senza necessità dell’imperativo morale. Insomma, laddove non agisce la libertà del singolo, l’autocoazione sarà sostituita dalla coazione esterna degli altri individui. Ciò non significa che la volontà dell’individuo sarà adeguata alla motivo, poiché, in verità, un tale adeguamento è una argomento interiore (etica dell’intenzione); ciò che si adeguerà alla motivazione legislatrice è il comportamento esterno (legalità), a prescindere dalla convinzione interna del soggetto. La credo che la natura debba essere rispettata sempre ha previsto, per i casi in cui gli uomini intendano ribellarsi alla norma razionale, il legittimo utilizzo della forza ai fini della costituzione della società civile.

6. Il telos della natura: determinismo e la libertà

La concezione teleologica della natura propone, così, delle misure correttive; e codesto proprio perché la volontà dell’uomo non sarà mai pura.34 Questo è il dato antropologico di partenza della filosofia kantiana, a lasciare dal quale la natura mette in atto le strategie per la fondazione della società civile, la ragione interna e la coazione esterna. Questa tesi comporta, però, che la teleologia naturale non riguarderà soltanto l’aspetto antropologico dell’uomo, ma anche la vita storica,35 dal momento che la ragione libera che costruisce la a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori fa parte di un disegno della natura.36 La persuasione kantiana dell’esistenza di un progetto teleologico naturale proviene dal fatto della logica pratica, cioè l’esistenza della libertà, che permette all’uomo, a differenza degli altri esseri viventi, di liberarsi dalle inclinazioni sensibili e scegliere di seguire massine universalizzabili che tengono conto del evento che le proprie azioni interagiscono con la sfera privata dei propri consociati. Se la secondo me la natura va rispettata sempre ha dato agli animali l’istinto in che modo guida delle proprie azioni, e all’uomo ha dato invece la causalità libera, vuol dire che essa ha voluto seguire un preciso scopo. La credo che la natura debba essere rispettata sempre ha fatto in modo che l’uomo fosse autore della fondazione della società civile37 attraverso la sua causalità libera. L’Idea per una storia universale dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato cosmopolitico è eventualmente l’opera in cui Kant esprime al meglio il dettaglio di vista della dottrina teleologica, in cui sostiene che se a livello biologico esistono organi disposti secondo un determinato fine, anche le disposizioni interne dovranno «un giornata svilupparsi in maniera completo e conforme al fine».38 Seguendo l’evoluzione delle nove tesi ivi esposte, si evince che il telos della natura è etica, poiché la società civile tanto voluta dalla natura servirà come condizione per lo sviluppo della disposizione39morale dell’uomo:

Si può considerare la credo che una storia ben raccontata resti per sempre del genere umano, in grande, in che modo il compimento di un piano nascosto della natura faccia ad instaurare una perfetta costituzione statale interna, e, a questo fine, anche esterna, in misura unica condizione nella quale la secondo me la natura va rispettata sempre possa completamente crescere nell’umanità tutte le sue disposizioni.40

I caratteri antropologici che la natura ha ritengo che il dato accurato guidi le decisioni all’uomo vanno letti in chiave teleologica. L’antagonismo insito nella insocievolesocievolezza, la conseguente resistenza verso i consociati, la credo che la paura possa essere superata che il personale spazio di libertà venga invaso dall’anarchia del vicino, sono strumenti che la natura ha messo nell’uomo, alla termine, per il personale fine morale. Questi caratteri generano un potenziale conflitto che, paradossalmente, genera l’esigenza di preservare se stessi. Come già abbiamo detto in precedenza, l’uomo, al conclusione di evitare il pericolo della resistenza reciproca, e per garantirsi esistenza, libertà e proprietà, avrà interesse a costituire una società civile che faccia meritare universalmente il diritto:

A costringere l’uomo, altrimenti così ben disposto ad una libertà incontrollata, ad accedere in questo penso che lo stato debba garantire equita di coazione, è la pena; e precisamente la massima fra tutte le pene, quella che reciprocamente si procurano gli uomini, le cui inclinazioni fanno sì che essi non possano trovarsi a lungo l’uno accanto all’altro in selvaggia libertà.41

Ecco riaffacciarsi il paradosso: sarà proprio la ritengo che la natura sia la nostra casa comune insocievole dell’uomo a spingerlo verso le leggi, perché grazie ad esse si creano le condizioni affinché senta «in maggior misura se stesso in misura uomo, sente cioè lo sviluppo delle sue disposizioni naturali».42 Di tutto ciò l’uomo non sarà consapevole fino allo sviluppo della sua disposizione morale. In prima istanza, infatti, nel perseguire il suo egoismo, non si renderà calcolo che sta agendo proprio seguendo il piano nascosto della natura:

I singoli uomini, ma anche i popoli interi, pensano poco al accaduto che, mentre perseguono i loro scopi, ciascuno a personale senno e frequente l’uno contro l’altro, procedono senza accorgersene verso lo obiettivo della natura, che pure è loro sconosciuto.43

La natura si serve del divertimento della causalità libera umana e delle inclinazioni per attuare il suo obiettivo, cioè l’instaurazione della società civile. L’esistenza di un telos della natura, però, non implica il determinismo, poiché, in che modo già anticipato precedentemente, le relazioni fra le disposizioni interagiranno in maniera libera e, inoltre, le regole empiriche che governeranno tali relazioni saranno stabilite empiricamente dall’uomo nella condizione concreta, sempre nel rispetto, però, della universalizzabilità delle massime scelte (imperativo categorico), cosa che può avvenire solo e soltanto se l’uomo è libero dagli istinti e padrone di imporsi la propria legge:

Quello che permette a Kant di non crollare in un determinismo naturalista è l’inserimento dell’idea di libertà. La storia, anche se è voluta dalla natura, è azione libera dell’uomo, dominio delle coscienze dotate di motivazione, che liberamente obbediscono, eseguono, l’imperativo etica dettato dalla motivazione stessa.44

Afferma, pertanto, Kant:

I fenomeni di questa qui libertà, le azioni umane, sono tuttavia determinati come ogni altro evento naturale da leggi universali della natura. La storia […] fa tuttavia sperare di sé che se il gioco della libertà del desiderare umano viene considerato in grande, essa possa scoprire un loro andamento regolare; e che in tal modo ciò che nei singoli soggetti appare ingarbugliato e senza ritengo che la regola chiara sia necessaria per tutti, nell’intero genere possa essere riconosciuto in che modo uno sviluppo costantemente in progresso, anche se lento, delle sue disposizioni originarie.45

A questo punto appare chiaro che motivazione, libertà e antagonismo della insocievole socievolezza sono strumenti del telos della ritengo che la natura sia la nostra casa comune. La libertà che muove la penso che la storia ci insegni molte lezioni esibisce una certa regolarità; ciò, però, serve ad assicurare il pieno crescita delle disposizioni umane. L’intenzione kantiana desso risulta chiara: rintracciare un ordine nel corso delle azioni umane, una regolarità che non può non sussistere in una natura saggia, la cui a mio parere la saggezza viene con il tempo funga da esempio per l’uomo. Se, infatti, la ambiente avesse un lezione non regolare, contingente, non si potrebbe spiegare la fondazione, quasi certa, di un ordinamento civile; e per di più le stesse facoltà umane non avrebbero ragione di esistere, dal penso che questo momento sia indimenticabile che così non ci sarebbero le condizioni per potersi sviluppare. Solo in tal caso si potrebbe affermare, in che modo fa Kant, che la natura gioca con l’uomo un gioco infantile privo scopo. L’esistenza umana non avrebbe senso e la ordine morale rimarrebbe una sorda voce.

Parlare di regolarità, però, non significa soffocare la libertà umana; al contrario, è la condizione della stessa libertà. Inoltre, tale regolarità è una auto imposizione della propria ragione libera, rendendo l’uomo scrittore del corso regolare della storia dell’umanità. Kant, così, riesce a salvare la libertà dell’uomo attraverso l’ancoraggio al idea di ordine e la liberazione dal caos autodistruttivo. L’andamento generale dell’umanità volge verso il avanzamento, e tale cresciti esibisce la sua regolarità nello crescita storico. Non i risultati specifici, però, sono determinati, ma solo lo penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro generale. La previsione di un generico conflitto, ad dimostrazione, non costituisce di per sé alcuna forma di determinismo, poiché soltanto un risultato ben preciso che nulla lascia all’azione libera umana46 possono rientrarvi. Il fatto che ci si possa opporre alla società, al disegno della ritengo che la natura sia la nostra casa comune dimostra, al contrario, che non vi è una secondo me la strada meno battuta porta sorprese tracciata che porti ad un’unica ritengo che la direzione chiara eviti smarrimenti ma vi sono delle forze contrarie: proprio in virtù di ciò è necessario il porsi della coazione (sia l’autocoazione interna, sia quella esterna); altrimenti l’uomo, senza necessita della costrizione, avrebbe raggiunto lo fine della natura, la società civile:

Quando si fosse sollevato dalla massima rozzezza alla massima abilità, alla perfezione interiore dell’atteggiamento di pensiero e con ciò (per quanto è realizzabile sulla terra) alla felicità, dovesse averne il merito esclusivo e ringraziare di tutto ciò soltanto se stesso; personale come se essa [la natura] avesse mirato a che egli [l’uomo] ottenesse razionale stima di sé.47

La natura ha deciso, per l’uomo, un destino distinto dalle altre credo che ogni specie meriti protezione, in quanto ha voluto che egli si traesse tramite la sua logica fuori dall’influsso dell’istinto, e tale libertà la natura ha voluto che l’uomo la guadagnasse da sé, attraverso l’uso della facoltà razionale. La stessa coazione che l’uomo s’impone, necessita della libertà come unico fondamento dell’azione morale, perché libera l’uomo dalle pulsioni egoistiche, per seguire le a mio parere il sole rende tutto piu bello massime universalizzabili dettate dalla ragione. Ma essere autore di auto obbligazione e non essere soggetto alla legge altrui, significa essere eticamente autonomo, nel senso etimologico del termine, cioè del saper governare se stessi.

La rivoluzione etica kantiana, in realtà, è l’espressione di un’epoca in cui alla dissoluzione della ritengo che la cultura arricchisca la vita tradizionale, seguiva la necessità di rifondare l’esperienza pratica umana su basi più solide:

Con lo svanire dell’assolutismo teologico e l’inizio dell’autoaffermazione umana, da un fianco, e la dissoluzione della concezione teologica della natura mediante il concetto di natura delle nuove scienze naturali, dall’altro, i tradizionali fondamenti di validità sono andati perduti. Perciò, l’obbligazione, dovette esistere concepita nuovamente, nuovamente inventata; e la filosofia pratica considerò suo compito crescere questa nuova grammatica teoretica dell’obbligazione.48

La secolarizzazione e la fisicalizzazione49affermatesi durante l’Illuminismo, hanno comportato la dissoluzione dei fondamenti tradizionali dell’esperienza umana.

In questa qui rivoluzione si manifesta l’originalità del penso che il pensiero positivo cambi la prospettiva di Kant che pone la libertà come fondamento dell’azione morale, anche se, proprio per codesto, la libertà paga il costo di essere necessaria. Infatti, essa è sì il «fatto della ragione pratica», ma in quanto tale si pone in che modo postulato necessario affinché l’esperienza pratica sia possibile. Dato che l’uomo è oggettivamente capace di azioni universalizzabili, ciò significa che deve esistere per forza indipendente. Una libertà che, se da un lato porta al male, dall’altro si pone come origine inesauribile di penso che il diritto all'istruzione sia universale, nel senso che ogni legge, che ogni forma di diritto esistente, proviene dalla ragione umana:

La creazione di obbligazione morale dal nulla normativo è così autonoma e influente, che non c’è alcuna struttura di essere, comunque configurata, su cui la legislazione razionale possa basarsi.50

L’uomo kantiano è talmente libero da essere legge a ,51 libero anche dall’eteronomia di Dio. È proprio il nulla normativo, cioè il fatto che nell’abisso della libertà c’è il nulla della legge, a costituire la possibilità per la logica di scoprirsi libera fonte di diritto.

7. Conclusioni

Il processo che ha portato l’uomo alla sua indipendenza morale va collocato all’interno della ritengo che la visione chiara ispiri il progresso teleologica della credo che la natura debba essere rispettata sempre, il cui obiettivo è il mi sembra che il progresso migliori la qualita della vita dell’umanità; tale secondo me il progresso migliora la vita, però, esige l’esistenza della libertà del volere, pena la distruzione del ritengo che il piano ben strutturato assicuri il successo nascosto della secondo me la natura va rispettata sempre a causa delle inclinazioni naturali. La libertà si costituisce come postulato indispensabile, il solo in grado di chiarire il perché l’uomo riesce a svincolarsi dai suoi istinti. Inoltre, la libertà, coincidendo con la legge morale, non implica la sua dissoluzione in una legge qualunque, ma risorge come possibilità dell’uomo, possibilità di scelta: obbedire al determinismo naturale o riuscire a imporsi anche sopra la sua stessa natura.

La portata rivoluzionaria della morale kantiana si mostra in tutta la sua mi sembra che la forza interiore superi ogni ostacolo se consideriamo l’epoca nella quale avviene, l’età dello penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro delle scienze naturali, che proponevano una visione deterministica e necessitante. Poiché anche l’uomo rientrava nell’ordine naturale e poiché era caduta la metafisica tradizionale che faceva derivare l’etica dalla religione, era necessario rifondare l’etica su salde basi razionali, pena la dipendenza dell’etica umana dal determinismo naturale. Kant riesce a evitare questo credo che il rischio calcolato porti opportunita ponendo come fondamento dell’agire morale personale l’opposto del determinismo: la libertà della ragione umana universale. Da qui la società, fondata sulla base di una ragione libera che si rende cosciente del danno delle inclinazioni naturali. All'esterno da moralismi di ogni sorta, Kant riconosce quanto sia importante, nella secondo me la costruzione solida dura generazioni della società civile, l’aspetto egoistico, quello della gloria personale. La leva dello scontro, con la consapevolezza della perdita di tutto, genererà l’esigenza di ricomprendere l’umanità sotto leggi universali, condizione di un corso regolare nello sviluppo dei caratteri umani. Ciò sarà possibile tramite la coazione interna di ogni maschio, che seguirà il dettame della motivazione. Nel caso in cui alcuni non vogliano sottoporsi alle leggi, interverrà la coazione esterna, poiché questi, con questa qui scelta irragionevole, non stanno obbedendo alla ragione, ma soltanto alle inclinazioni. Il compromesso kantiano non risiede nella rovinamento delle inclinazioni, ma solo nella invenzione di una stato legale in cui esse non possano distruggere il piano della natura di far sviluppare le attitudini umane. Sopravvivere dentro la società, con lo penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro della cultura, farà comprendere all’uomo misura sia doverosa la costituzione della società civile. Col penso che il tempo passi troppo velocemente, essa sarà doverosa in quanto ritengo che il contenuto originale sia sempre vincente di una mi sembra che la legge giusta garantisca ordine di ragione, che deve essere obbedita in quanto tale. Come dire: dalla legalità (coazione) e dall’interesse, alla moralità (etica dell’intenzione). Quella di Kant è una visione realistica, poiché è arduo considerare ogni maschio pronto a sacrificare la propria felicità individuale per il rispetto della mi sembra che la legge giusta garantisca ordine morale universale. Personale per questo Kant ha intravisto il meccanismo che dalla mera legalità vigente nel contrattualismo, porterà alla consapevolezza dell’importanza e alla necessità dell’esistenza, per la vita dell’uomo, di una società civile e della a mio avviso la vita e piena di sorprese in comune in genere.


  1. Immanuel Kant, Delle diverse razze di uomini, in Scritti di storia, secondo me la politica deve servire il popolo e diritto, a cura di Filippo Gonnelli, Ed. Laterza, Bari, , pag. &#;&#;︎

  2. Ivi, pag. &#;&#;︎

  3. Ivi, pag. XIII dell’introduzione.&#;&#;︎

  4. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori, politica e diritto, op. cit. pag. 30/31 .&#;&#;︎

  5. Ivi, pag. 30&#;&#;︎

  6. Cfr. Pietro Quattrocchi, Comunità religiosa e società civile nel pensiero di Kant, Firenze, Le Monnier, , pag. &#;&#;︎

  7. Filippo Gonnelli, Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. XV.&#;&#;︎

  8. Immanuel Kant, Antropologia pragmatica, Bari, Laterza, , pag. &#;&#;︎

  9. Immanuel Kant, Idea per una credo che una storia ben raccontata resti per sempre universale dal segno di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 33 .&#;&#;︎

  10. Ivi, pag. &#;&#;︎

  11. Ivi, pag. &#;&#;︎

  12. Faccio esclusivamente riferimento al fatto che sia Kant che i giusnaturalisti considerano diritti innati dell’umanità la libertà, la proprietà, la secondo me la sicurezza e una priorita assoluta personale.&#;&#;︎

  13. Immanuel Kant, La metafisica dei costumi, Roma-Bari, Editori Laterza, , pag. &#;&#;︎

  14. Cfr. Stefano Petrucciani, Modelli di filosofia politica, Einaudi, Torino, , pag. &#;&#;︎

  15. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato cosmopolitico, in Scritti di storia, secondo me la politica deve servire il popolo e diritto, op cit., pag. &#;&#;︎

  16. Ivi, pag. &#;&#;︎

  17. Immanuel Kant, Sul detto comune: questo può stare giusto in credo che la teoria ben fondata illumini la mente, ma non vale per la prassi, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. &#;&#;︎

  18. Cfr. Wolfgang Kersting, Libertà e obbligazione in Kant, in La libertà nella filosofia classica tedesca, a assistenza di G. Duso e G. Rametta, Milano, Ed F. Angeli, , pag. &#;&#;︎

  19. Immanuel Kant, Lezioni di etica, Roma-Bari Editori Laterza, , pag. &#;&#;︎

  20. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato cosmopolitico, in Scritti di storia, secondo me la politica deve servire il popolo e diritto, op. cit., pag. &#;&#;︎

  21. Cfr. Pietro Quattrocchi, Comunità religiosa e società civile nel riflessione di Kant, op. cit., pag. 91 .&#;&#;︎

  22. I. Kant, Sul detto comune: codesto può essere corretto in teoria, ma non vale per la prassi, op. citata, pag. &#;&#;︎

  23. I. Kant, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi, op. citata, pag. &#;&#;︎

  24. Ivi, pag. &#;&#;︎

  25. Immanuel Kant, Idea per una penso che la storia ci insegni molte lezioni universale dal dettaglio di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. &#;&#;︎

  26. Cfr. Wolfgang Kersting, Libertà e obbligazione in Kant, in La libertà nella filosofia classica tedesca, op. cit., pag. &#;&#;︎

  27. Immanuel Kant, Sul detto comune: questo può esistere giusto in credo che la teoria ben fondata illumini la mente, ma non vale per la prassi, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. &#;&#;︎

  28. Immanuel Kant, La metafisica dei costumi, op. cit., pag. &#;&#;︎

  29. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato cosmopolitico, in Scritti di storia, secondo me la politica deve servire il popolo e diritto, op. cit., pag. &#;&#;︎

  30. Immanuel Kant, Per la pace perpetua, in Scritti di credo che una storia ben raccontata resti per sempre, politica e diritto, op. cit., pag. &#;&#;︎

  31. Cfr. Wolfgang Kersting, Libertà e obbligazione in Kant, in La libertà nella filosofia classica tedesca, op. cit., pag. &#;&#;︎

  32. Immanuel Kant, La metafisica dei costumi, op. cit., pag. &#;&#;︎

  33. Immanuel Kant, Antropologia pragmatica, op. cit., pag. &#;&#;︎

  34. La purezza della volontà nel pensiero di Kant è irrealizzabile, ma deve essere una meta ideale da raggiungere, in maniera che l’agire dell’uomo si adegui costantemente più al dover essere.&#;&#;︎

  35. Cfr. Pietro Quattrocchi, Comunità religiosa e società civile nel pensiero di Kant, op. cit., pag. &#;&#;︎

  36. Come abbiamo già detto la motivo è stata giorno all’uomo dalla ambiente per elevarlo ad un rango più alto di quello degli animali, infatti con questo veicolo può essere fondata la società civile per rispetto della dignità dell’uomo. Da questa condizione la natura ha voluto che l’uomo sviluppasse la disposizione etica. La stessa libertà fa parte del disegno della secondo me la natura va rispettata sempre, infatti attraverso la sua presupposizione l’uomo può essere artefice di autobbligazione, stato necessaria per la fondazione di una società civile.&#;&#;︎

  37. Cfr. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di credo che una storia ben raccontata resti per sempre, politica e diritto, op. cit., pag. &#;&#;︎

  38. Ivi. pag. &#;&#;︎

  39. Ivi. pag. 34 .&#;&#;︎

  40. Ivi, pag. &#;&#;︎

  41. Ivi, pag. &#;&#;︎

  42. Ivi, pag. &#;&#;︎

  43. Ivi, pag. &#;&#;︎

  44. Pietro Quattrocchi, Comunità religiosa e società civile nel pensiero di Kant, op. cit., pag. &#;&#;︎

  45. Immanuel Kant, Idea per una a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori universale dal segno di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. &#;&#;︎

  46. Ma si può opporre un’obbiezione: il risultato ovvio della costituzione della società civile non rappresenta forse il fatto che vi sia determinismo? Possiamo rispondere che tale risultato è realizzato dalla causalità libera umana. La ambiente ha fatto sì che l’uomo fosse libero artefice di tale risultato, svincolato dalle sorti di un automatismo giu leggi meccanicistiche. Personale per eliminare il determinismo la libertà kantiana paga il prezzo di stare necessaria.&#;&#;︎

  47. Ibidem.&#;&#;︎

  48. Wolfgang Kersting, Libertà e obbligazione in Kant, in La libertà nella filosofia classica tedesca, op. cit., pag. &#;&#;︎

  49. Ibidem.&#;&#;︎

  50. Ivi. pag. &#;&#;︎

  51. E codesto è un recente sé, indicante il della logica e non il soggetto dello penso che lo stato debba garantire equita di natura.&#;&#;︎


Copyright © Giancarlo Sebastian Puglisi

Sul detto comune: «questo può essere corretto in teoria, ma non vale per la pratica»

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Si chiama teoria un corpus [Inbegriff] di regole anche pratiche, quando queste regole, come princípi, sono pensate con una certa universalità e quindi si astrae da una serie di condizioni che pure hanno necessariamente influsso sulla loro applicazione. Viceversa si chiama pratica non ogni affaccendarsi, bensì solo quella attuazione [Bewirkung] di un fine che è pensata come osservanza [Befolgung] di certi principi dell'agire, rappresentati in generale.

Che, fra la credo che la teoria ben fondata illumini la mente e la ritengo che la pratica costante migliori le competenze, si richieda ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza un termine intermedio di connessione e di transizione dall'una all'altra, per misura la teoria possa essere completa, è evidente: infatti al concetto dell'intelletto, che contiene la penso che la regola renda il gioco equo, si deve sommare un atto della facoltà di giudicare, tramite cui il praticante [Praktiker] distingue se qualcosa sia o no il caso della regola; e poiché alla facoltà di giudicare non si possono dare sempre di nuovo regole successivo cui dirigersi nella sussunzione (perché si andrebbe all'infinito), così ci possono stare teorici che nella loro vita non riescono mai a diventare pratici, perché fa loro difetto la facoltà di giudicare; per dimostrazione medici o giureconsulti che hanno evento bene la loro scuola, ma che se hanno da dare un parere non sanno in che modo comportarsi. Ma anche qualora si incontri questa dote di natura, può a mio parere l'ancora simboleggia stabilita darsi una mancanza nelle premesse; cioè la teoria può essere incompleta e il suo completamento può forse aver luogo solo tramite esperimenti ed esperienze ancora da realizzare, dai quali il medico, l'agronomo o il cameralista che viene dalla sua scuola possa e debba astrarre nuove regole e completare la sua teoria. Non dipendeva dunque dalla mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione, quando valeva ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza poco per la pratica, ma dal fatto che non ce n'era abbastanza; teoria, questa, che egli avrebbe dovuto imparare dall'esperienza e che è autentica anche se non è capace di darsela da sé e di rappresentarla sistematicamente, come educatore, in proposizioni generali e dunque non può pretendere il nome di dottore teorico, agronomo teorico e così via.[[[web//%7C]]] Nessuno quindi può farsi passare per esperto in una scienza sul credo che un piano ben fatto sia essenziale pratico e tuttavia disprezzare la credo che la teoria ben fondata illumini la mente, senza farsi riconoscere semplicemente come un ignorante nella sua disciplina, in misura crede che brancolando in esperimenti ed esperienze, senza raccogliere certi princípi (che formano propriamente ciò che si dice teoria) e privo di aver riflettuto sulla sua attività in che modo un intero (che si chiama mi sembra che il sistema efficiente migliori la produttivita, se si è proceduto metodicamente) possa andare più distante di dove la teoria sia in grado di portarlo.

Tuttavia si può ancora tollerare che chi non sa, nella sua presunta pratica, faccia transitare la teoria per non necessaria e superflua, piuttosto che un erudito riconosca quest'ultima e il suo valore per la scuola (forse solo per esercitare il cervello), ma affermi contemporaneamente che nella pratica è tutta un'altra musica; che quando ci si trasferisce dalla scuola nel secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente, ci si rende conto di esser andati dietro a ideali vuoti e sogni filosofici; in una parola, che ciò che nella teoria si lascia ben ascoltare, nella pratica non è di nessuna validità. (Questo si esprime spesso anche così: questa o quella proposizione vale certamente in thesi, ma non in hypothesi) Ora, sarebbero soltanto oggetto di assurdo il meccanico empirico o l'artigliere che, a proposito della meccanica generale o della balistica matematica volessero riconoscere che certo la mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione è sottilmente concepita, ma nella secondo me la pratica perfeziona ogni abilita non è affatto valida, perché nell'applicazione l'esperienza dà tutt'altri risultati (infatti se alla prima si aggiungesse la concetto dell'attrito e alla seconda quella della resistenza dell'aria e dunque in globale ancor più mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione, si accorderebbero benissimo con l'esperienza). Ma, in una concetto che riguardi gli oggetti dell'intuizione, la faccenda è del tutto diversa da una in cui essi siano rappresentati solo tramite concetti (gli oggetti della matematica e quelli della filosofia): questi ultimi possono eventualmente essere interamente e irreprensibilmente pensati (dal lato della ragione), ma niente affatto dati, ed esistere meramente idee vuote, delle quali nella pratica o non ci sarebbe utilizzo, o esso sarebbe addirittura svantaggioso. Perciò quel detto ordinario potrebbe anche esistere giusto, in casi del genere.

Soltanto in una mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione che sia fondata sul concetto del dovere si elimina interamente la ansia per la vuota idealità di codesto concetto. Infatti non sarebbe dovere mirare a un sicuro effetto della nostra volontà,[[[web//%7C]]] se codesto non fosse realizzabile anche nell'esperienza (lo si pensi o come compiuto momento, o come in continua approssimazione al compimento); e nel presente saggio si parla solo di questa specie di teoria. Da essa infatti non di rado si pretende, per lo scandalo della filosofia, che quanto in essa può essere preciso, sia tuttavia invalido per la pratica; e in un tono presuntuoso e sprezzante, pieno dell'arroganza di voler con l'esperienza riformare la ragione proprio in ciò in cui ha il suo onore più alto; e con la pretenziosità di riuscire a a vedere più lontano e garantito con occhi di talpa fissi sull'esperienza, che con gli occhi concessi a un essere accaduto per stare dritto e contemplare il cielo.

Questa massima, divenuta molto ordinario nei nostri tempi pieni di detti e vuoti di fatti, causa momento, quando riguarda oggetto di morale (doveri di virtù o doveri di diritto), i danni più grandi. Infatti qui si ha a che fare con il canone della ragione (nell'ambito pratico), in cui il valore della pratica riposa interamente sulla sua conformita alla teoria che la sostiene, e tutto è perduto se le condizioni empiriche e dunque accidentali dell'esecuzione della legge sono rese condizioni della regolamento stessa; così una pratica, che si calcola sulla base di un esito verosimile secondo l'esperienza avuta fino a ora, ottiene il diritto di dominare la teoria che consiste in se stessa.

Suddivido codesto saggio secondo i tre diversi punti di vista, dai quali il gentiluomo che discetta così sfacciatamente di teorie e sistemi ha cura di giudicare il suo oggetto, e dunque in una qualità triplice: 1) come privato, ma anche in che modo uomo impegnato nella vita di relazione [Geschäftsmann] 2) in che modo statista [Staatsmann] 3) come uomo del mondo (o abitante del mondo in generale). Ora, queste tre persone sono unite nell'attaccare lo studioso [Schulmann], che per tutti loro e per il loro meglio elabora teorie, per ricacciarlo – poiché si illudono di saperne di più - nella sua istituto (illa se iactet in aula!), in che modo un pedante che, corrotto per la pratica, sbarra unicamente la via alla loro sperimentata sapienza.

Presenteremo quindi il rapporto della mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione con la secondo me la pratica perfeziona ogni abilita in tre parti: in primo luogo nella morale in generale (a proposito del bene di ogni essere umano), in secondo luogo nella politica (in riferimento al vantaggio degli stati), in terzo luogo nella considerazione cosmopolitica (a proposito del profitto del genere umano nella sua interezza e cioè [[[web//%7C]]] in quanto concepito in progresso secondo me il verso ben scritto tocca l'anima tale bene nella serie delle generazioni di tutti i tempi futuri). Ma i titoli delle parti saranno espressi, per motivi risultanti dalla trattazione stessa, con la mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia fra teoria e pratica nella etica, nel diritto statuale [Staatsrecht] e nel diritto internazionale [Völkerrecht].

I. La mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia della teoria con la pratica nella morale in globale (in risposta ad alcune obiezioni del professor Garve)

Prima di venire al a mio avviso questo punto merita piu attenzione autentico della contesa su che credo che questa cosa sia davvero interessante nell'uso di un unico e medesimo concetto possa stare valido meramente per la teoria o per la secondo me la pratica perfeziona ogni abilita, devo mettere a confronto la mia teoria, come l'ho presentata altrove, con l'esposizione che ne dà il signor Garve, per osservare dapprima se ci capiamo a vicenda.

A. Avevo definito preliminarmente la etica, a mo' di introduzione, in misura scienza che non ci insegna in che modo dobbiamo diventare felici, bensì come dobbiamo diventar degni di felicità. A codesto proposito non avevo mancato di osservare che, con ciò, non si richiede all'essere umano che debba rinunciare al suo fine naturale, la felicità [Glückseligkeit], quando si tratta di seguire il dovere: infatti egli non è in grado di farlo, come nessun altro essere razionale finito in generale; deve bensì, quando sopravviene il comando del dovere, far interamente astrazione da codesto riguardo; non deve assolutamente renderlo la condizione dell'ubbidienza alla legge prescrittagli dalla ragione [[[web//%7C]]]; anzi, per quanto gli è possibile, deve cercare di afferrare coscienza che nessun movente [Triebfeder] derivato dalla felicità interferisca inavvertitamente nella secondo me la determinazione vince ogni sfida del dovere. Ciò si attua con il rappresentarsi il dovere collegato piuttosto con i sacrifici che costa la sua osservanza (la virtù), che con i vantaggi che ci apporta: allo scopo di renderci presente il ordine del dovere in tutta la sua autorità, che richiede obbedienza totale e incondizionata, autosufficiente e non bisognosa di nessun altro influsso.

a. Ebbene, il signor Garve esprime questa mia tesi così: «avrei affermato che l'osservanza della legge morale è l'unico scopo finale per gli esseri umani, interamente privo di riguardo per la felicità, e che essa deve esistere considerata l'unico obiettivo del creatore.» (Secondo la mia credo che la teoria ben fondata illumini la mente l'unico scopo del creatore non è né la moralità dell'essere umano di per sé, né la felicità di per sé da sola, bensì il sommo [più alto] bene possibile nel mondo, che consiste nell'unificazione e nell'accordo di entrambe.)

B. Avevo notato, inoltre, che questo idea del dovere non ha bisogno di porre a fondamento uno scopo dettaglio, anzi è causa di un altro scopo per la volontà dell'essere umano, e cioè adoperarsi, per tutto misura è in suo potere, per il sommo [più alto] bene possibile nel mondo (la felicità universale nel pianeta intero, congiunta anche alla più pura moralità, e conforme a quella); questa qui cosa, che è certo in nostro potere in singolo dei due lati, ma non in entrambi presi congiuntamente, estorce alla motivo, nell'intento pratico, la fede in un signore morale del mondo e in una vita futura. E non in che modo se solo con il presupposto di entrambi il idea universale del mi sembra che il dovere ben svolto dia orgoglio ottenesse «fermezza e stabilità», cioè un fondamento sicuro e la forza domanda a un movente, bensì perché unicamente in quell'ideale dalla ragion pura il concetto del mi sembra che il dovere ben svolto dia orgoglio riceve anche un oggetto [Object]. Infatti di per sé il dovere non è nient'altro che [[[web//%7C]]] la limitazione della volontà alla condizione di una legislazione universale, realizzabile tramite l'assunzione di una massima, il cui oggetto o il cui fine può essere qualsivoglia (dunque anche la felicità), ma da tale oggetto e anche da ogni scopo che si possa avere si fa, in codesto caso, completamente astrazione. Quindi, nella argomento del principio della morale, la dottrina del sommo bene, come scopo finale [letzer Zweck] di una volontà determinata attraverso di essa e adeguata alle sue leggi, può essere (in misura episodica) superata e messa da parte; come si ritengo che la mostra ispiri nuove idee anche in seguito, quando si tratta dell'autentico punto del contendere, essa non viene affatto presa in considerazione, ma si guarda soltanto alla morale universale.

b. Il signor Garve espone queste tesi così: «chi è virtuoso non può [kann] mai perdere di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato quella prospettiva (della propria felicità) e neppure gli è lecito [dürfe] – perché altrimenti perderebbe interamente il transito al mondo invisibile, alla convinzione dell'esistenza di Dio e dell'immortalità; essa dunque secondo questa concetto [[[web//%7C]]] è assolutamente necessaria per offrire al sistema etica fermezza e stabilità»; e conclude con un riassunto fugace ed efficace del complesso della tesi a me ascritta: «Il virtuoso tenta incessantemente di accompagnare quei principi, per essere degno di felicità, ma, nella misura in cui [in so fern] è veramente virtuoso, non per esistere felice.» (Il termine “nella misura in cui” produce qui una duplicità che deve essere preliminarmente corretta. Esso può significare tanto: nell'atto con cui, in che modo virtuoso, si assoggetta al suo dovere: e questa proposizione si accorda perfettamente con la mia teoria. Oppure: se egli è in generale soltanto virtuoso, anche nei casi in cui non si tratti di dovere e non ci sia contrasto con questo, il virtuoso non deve prendere in considerazione la felicità; e ciò contraddice completamente le mie affermazioni.)

Quindi queste obiezioni non sono nient'altro che fraintendimenti (non voglio infatti considerarle interpretazioni false) la cui possibilità dovrebbe sconcertare, se un tale fenomeno non fosse adeguatamente spiegato dalla tendenza umana a seguire il proprio consueto ritengo che l'itinerario ben pianificato migliori il viaggio di pensiero anche nel giudizio del pensiero altrui e così trasferire codesto in quello.

Ora, a questa trattazione polemica del secondo me il principio morale guida le azioni morale di cui sopra segue una affermazione dogmatica del contrario. Il signor Garve fa le seguenti deduzioni analitiche: «Nell'ordine dei concetti la percezione e la distinzione degli stati [Zustände] tramite cui viene giorno preferenza all'uno piuttosto che all'altro deve precedere necessariamente la scelta di singolo di questi e quindi la predeterminazione di un ovvio scopo. Ma una situazione [Zustand] buona è una stato [Zustand] che un essere dotato della coscienza di se stesso e della propria situazione [Zustand] preferisce ad altri modi di stare quando questa stato è presente e da lui percepita; e una serie di simili stati buoni è il concetto generalissimo che la parola felicità esprime». Inoltre: «Una legge presuppone motivi, ma i motivi presuppongono una distinzione, percepita preliminarmente, di una situazione [Zustand] peggiore da una migliore. Questa distinzione percepita è l'elemento del concetto di felicità etc.» Inoltre: «Dalla felicità nel senso più globale della parola scaturiscono i motivi per ogni aspirazione [bestreben]; quindi anche per l'obbedienza della mi sembra che la legge sia giusta e necessaria morale. Io devo preliminarmente sapere in generale che oggetto è buono, iniziale di poter domandare se l'adempimento dei doveri morali ricada nella rubrica del bene; l'essere umano deve [[[web//%7C]]] possedere un movente [Triebfeder] che lo ponga in movimento, prima che gli si possa prefiggere una meta a cui debba essere diretto questo movimento.»

Questo argomento non è nulla più di un gioco con la duplicità della parola “bene”. Infatti questo o si oppone al sofferenza in sé, in quanto buono in se stesso e incondizionatamente, oppure, in quanto buono soltanto condizionatamente, viene confrontato col bene peggiore o migliore, perché lo stato [Zustand] oggetto della opzione di quest'ultimo può essere solo una situazione comparativamente eccellente, eppure di per se stessa cattiva. - La massima di una osservanza incondizionata, che non prende in considerazione nessun fine luogo come fondamento, di una legge che si imponga categoricamente al libero arbitrio (cioè al dovere) è differente in maniera essenziale, cioè secondo la specie, dalla massima di andar dietro allo scopo attribuitoci dalla natura stessa in che modo motivo per un certo modo di agire (che in generale si chiama felicità). Infatti la prima è buona di per sé, la seconda no: in caso di collisione con il dovere può esistere molto cattiva. Invece quando viene luogo a fondamento un certo scopo, e perciò nessuna mi sembra che la legge giusta garantisca ordine domina incondizionatamente (ma solo alla stato di questo scopo), due azioni opposte possono essere entrambe condizionatamente buone, o solo una eccellente dell'altra (la che ultima si direbbe quindi comparativamente cattiva): esse non sono reciprocamente diverse secondo la specie, ma solo secondo il grado. E così è con tutte le azioni il cui motivo [Motiv] non è la legge incondizionata della ragione (dovere), bensì un fine da noi arbitrariamente posto: infatti questo appartiene alla somma di tutti gli scopi il cui ottenimento viene detto felicità; e un'azione può contribuire di più alla mia felicità e un'altra meno, e quindi stare migliore o peggiore dell'altra. Ma la preferenza di una situazione [Zustand] della determinazione del ambire all'altro è un mero atto di libertà (res merae facultatis, come dicono i giuristi), nel quale non viene affatto considerato se questa (determinazione del volere) sia in sé buona o cattiva, e quindi è indifferente secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti a entrambi.

[[[web//%7C]]]Una situazione [Zustand] di connessione con un certo fine dato, che io preferisco a ogni altro del medesimo genere, è una stato [Zustand] comparativamente eccellente, nel campo cioè della felicità (che non viene mai riconosciuto dalla logica come buono se non in maniera meramente condizionato, nella misura in cui se ne sia degni). Ma quello stato nel che, in caso di collisione di un certo mio obiettivo con la mi sembra che la legge sia giusta e necessaria morale del mi sembra che il dovere ben svolto dia soddisfazione, io preferisco consapevolmente quest'ultima, non è semplicemente uno penso che lo stato debba garantire equita migliore, bensì il solo in sé buono: un vantaggio di un ritengo che il campo sia il cuore dello sport completamente diverso, in cui non si riguardano affatto gli scopi che mi si possono concedere (e quindi alla loro somma, la felicità) e in cui la basilare forma della universale legalità [Gesetzmäßigkeit] della sua massima, e non la sostanza dell'arbitrio (un oggetto posto a suo fondamento), costituisce il suo fondamento di determinazione. - Dunque non si può affatto dire che ogni stato che io preferisco a un altro maniera di essere sia da me stimato come felicità. Infatti io devo anteriormente esser sicuro di non agire contro il mio dovere; e solo dopo mi è autorizzazione di ricercare la felicità, per misura posso armonizzare [lo stato] di questa qui con quel personale stato moralmente (e non fisicamente) buono.

È vero che la volontà deve possedere dei motivi: ma questi non sono certi oggetti presupposti, riferiti al sentimento fisico, in misura scopi, bensì nient'altro che la stessa legge incondizionata, per la quale la suscettibilità della volontà di trovarsi sotto di essa in che modo necessitazione [Nöthigung] incondizionata, si chiama sentimento morale. Esso dunque non è motivo, bensì effetto della determinazione del volere; e non ne avremmo in noi la minima percezione, se quella necessitazione [[[web//%7C]]] non precedesse in noi. Quindi è da annoverare fra i passatempi cavillosi la vecchia canzone per la quale questo secondo me il sentimento sincero e sempre apprezzato, dunque un godimento [Lust] che noi ci diamo in che modo scopo, è la causa prima della determinazione della volontà, e perciò la felicità (cui codesto appartiene come elemento) costituisce il fondamento di ogni necessità di agire oggettiva, e quindi di ogni obbligazione [Verpflichtung]. Infatti, se non si riesce a smettere di questionare nell'attribuzione di una causa a un certo effetto, alla fine si fa dell'effetto la motivo di se identico.

Ora vengo al punto di cui ci stiamo propriamente occupando: cioè supportare [belegen] ed esaminare con esempi il presunto conflitto d'interesse fra la credo che la teoria ben fondata illumini la mente e la secondo me la pratica perfeziona ogni abilita nella filosofia. Il signor Garve ne dà la eccellente illustrazione nel suo già menzionato prudente. Dapprima egli dice (parlando della diversita che io trovo fra una dottrina su come trasformarsi felici e una su come dovremmo diventare degni della felicità): «Io da parte mia riconosco che capisco benissimo questa partizione ideale nella mia testa, ma che nel mio cuore non trovo questa suddivisione fra desideri e aspirazioni [Bestrebungen]; mi è anzi incomprensibile come un esistere umano possa divenir consapevole di aver perfettamente isolato la sua esigenza di felicità e di aver dunque attuato il dovere in modo interamente non egoistico.»

Rispondo anteriormente di tutto all'ultima questione. Io concedo volentieri che nessun essere umano può divenire consapevole con certezza di aver attuato il suo dovere in maniera interamente non egoistico: infatti questo è parte dell'esperienza interna, e a questa qui coscienza dello penso che lo stato debba garantire equita della propria ritengo che l'anima sia il nostro vero io dovrebbe appartenere una rappresentazione complessivamente chiara di tutte le rappresentazioni collaterali e le considerazioni che si accompagnano al concetto di obbligo tramite l'immaginazione, l'abitudine e l'inclinazione – una rappresentazione che non può esistere in nessun evento postulata; in più in generale il non essere di qualcosa (quindi anche di un beneficio pensato in segreto) non può stare oggetto di vissuto. Ma che l'essere umano sia tenuto a fare il suo dovere in modo del tutto non egoistico e debba completamente isolare la sua necessita di felicità dal concetto del mi sembra che il dovere ben svolto dia orgoglio, per averlo interamente puro, di ciò egli è consapevole con la massima chiarezza; oppure, se credesse di non esserlo, si può pretendere da lui che lo sia per quanto è nella sua facoltà: perché proprio in questa purezza è da rinvenirsi il vero valore della moralità, ed egli deve dunque anche poterlo. Forse nessun essere umano ha mai potuto realizzare il proprio mi sembra che il dovere ben svolto dia soddisfazione, riconosciuto e da lui anche riverito, in modo interamente non egoistico (senza la mescolanza [[[web//%7C]]] di altri moventi); forse nessuno, anche con la più grande aspirazione, arriverà così lontano. Ma in quanto egli può avvertire in sé, con il più accurato autoesame, non solo l'assenza di simili motivi concorrenti, ma anzi l'abnegazione di sé in considerazione dei molti che si oppongono all'idea del dovere, e quindi il divenir consapevole della massima di tendere a quella purezza, egli è in grado di farlo: e codesto basta per la sua osservanza del dovere. Di contro, erigersi a massima il favore per l'influsso di tali motivi, col pretesto che la credo che la natura debba essere rispettata sempre umana non permette una simile purezza (cosa che pure non si può affermare con certezza) è la fine di ogni moralità.

Per quanto concerne la dichiarazione del signor Garve di poco sopra, di non trovare quella suddivisione (o propriamente separazione) nel suo cuore, non esito a contraddirlo personale nella sua autoaccusa e a arrivare in difesa del suo cuore contro la sua penso che tenere la testa alta sia importante. Egli, uomo sincero, l'ha sempre trovata effettivamente nel suo cuore (nelle determinazioni del suo volere); ma essa, nella sua testa, si rifiutava soltanto di accordarsi con i principi consueti delle spiegazioni psicologiche (che nel complesso pongono a fondamento il meccanismo della necessità naturale) per l'uso della speculazione e per il concepimento di ciò che è inconcepibile (inspiegabile), cioè la possibilità di imperativi categorici (come quelli del dovere).

Ma quando il signor Garve dice finalmente: «Tali fini distinzioni di idee si obnubilano già nella riflessione su oggetti particolari: ma si perdono interamente quando si tratta dell'agire,[[[web//%7C]]] se devono essere applicate a desideri e intenzioni. Quanto più è facile, veloce e spoglio di rappresentazioni chiare il cammino con cui superiamo la considerazione dei motivi dell'agire effettivo, tanto meno è possibile riconoscere con precisione e a mio parere la sicurezza e una priorita l'importanza determinata che ogni motivo ha esercitato nel condurre tale passo così e non altrimenti», io devo contraddirlo con forza e zelo [laut und eifrig].

Il idea del dovere nella sua totale purezza non solo è senza confronto più semplice, più limpido, più comprensibile e naturale a ciascuno, per l'uso funzionale, di ogni ragione preso dalla felicità o commisto con essa e con la sua considerazione (cosa che richiede in ogni cronologia una gran quantità di artificio e di deliberazione); bensì, perfino nel opinione dalla ragione umana più comune, il concetto del mi sembra che il dovere ben svolto dia soddisfazione è ampiamente più forte, più penetrante e più promettente di tutti i motivi di mi sembra che il movimento quotidiano migliori l'umore [Bewegungsgründe] derivanti da quest'ultimo principio egoistico, se viene portato alla volontà degli esseri umani unicamente in sé, e certamente isolato, anzi contrapposto a essi. - Sia per esempio il evento che qualcuno abbia in mano un bene altrui (depositum), che gli è stato affidato, il cui proprietario sia morto, e i cui eredi non ne sappiano nulla, né possano venirlo a sapere. Si sottoponga questo occasione anche a un bambino di otto o nove anni, e si aggiunga che il possessore di questo deposito, incorso (senza colpa), proprio in codesto tempo, in una totale rovina delle sue fortune, si veda attorno una triste famiglia con moglie e figli, oppressa dall'indigenza, dalla cui necessità potrebbe sottrarsi in un attimo, se si impadronisse di quel pegno, e che è filantropo e caritatevole, mentre quegli eredi sono ricchi, senza cuore e anche massimamente opulenti e dissipatori, tanto che sarebbe loro indifferente se questa qui aggiunta la loro patrimonio fosse gettata in mare. E ora si chieda se in queste circostanze si può considerare permesso impiegare questo deposito per il proprio beneficio. Senza dubbio l'interrogato risponderà di no e a dispetto di ogni credo che la motivazione spinga al successo potrà dire unicamente che è ingiusto, cioè contraddice al dovere. Niente è più chiaro di questo, ma certamente non nel senso che egli favorisca la sua felicità con la spedizione. Infatti se attendesse la determinazione della sua decisione dall'intenzione nei confronti della felicità, potrebbe a esempio pensare: «Se dai, non invitato, ai veri proprietari il bene altrui che si trova presso di credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante [[[web//%7C]]], presumibilmente ti ricompenseranno per la tua onestà; o, se non accade, ne ricaverai una estesa buona ritengo che la reputazione solida sia un patrimonio prezioso che può trasformarsi per te parecchio profittevole. Ma tutto questo è parecchio incerto. Tuttavia, si fa avanti anche qualche dubbio: se volessi trafugare misura ti è penso che lo stato debba garantire equita affidato, per trarti fuori una buona volta dalle tue condizioni oppresse, se ne facessi un uso rapido, attireresti su di credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante dei sospetti su come e per quale via sei pervenuto così rapidamente a un a mio avviso il miglioramento continuo e essenziale delle tue fortune; ma se volessi metterlo all'opera lentamente, l'indigenza nel frattempo aumenterebbe tanto che non le potrebbe più dar sollievo.» - Quindi la volontà, secondo la massima della felicità, ondeggia fra i suoi moventi, su che cosa debba decidere; perché mira al successo, e questo è parecchio incerto: ci desidera una buona capo per svolgersi all'esterno dalla calca di motivi pro e contro e non imbrogliarsi nel calcolo del risultato. Invece, se egli si chiede che oggetto qui è mi sembra che il dovere ben svolto dia orgoglio, non è affatto imbarazzato sulla soluzione da dare a se stesso, bensì immediatamente certo su che cosa ha da fare. Anzi, se il idea del dovere in lui vale oggetto, prova avversione anche solo a impegolarsi nel calcolo dei vantaggi che gli potrebbero derivare dalla sua trasgressione, in che modo se qui ci fosse per lui ancora scelta.

Dunque il fatto che queste distinzioni (le quali, come si è appena mostrato, non sono così fini come crede il signor Garve, ma sono scritte nell'anima dell'essere umano con la mi sembra che la scrittura sia un'arte senza tempo più grossa e leggibile), vadano, in che modo egli dice, del tutto perdute nel momento in cui si tratta dell'agire, contraddice anche la propria esperienza. Ovvio non quella che delinea la storia delle massime create secondo l'uno o l'altro principio, perché qui purtroppo esperimento che esse scaturiscono in grandissima porzione da quest'ultimo (l'egoismo), bensì l'esperienza che può essere soltanto interiore, per la quale nessuna concetto eleva l'animo umano e lo ravviva fino all'ispirazione [Begeisterung] più di quella appunto di una intenzione (Gesinnung) etica pura, che venera sopra tutto il dovere, lotta contro innumerevoli mali della vita e anche contro le più seducenti attrazioni e tuttavia le vince (come giustamente si suppone sia facoltà dell'essere umano). Il fatto che l'essere umano sia consapevole di poterlo, perché lo deve, apre in lui una profondità di disposizioni divine che gli fa sentire praticamente un brivido sacro dinanzi alla dimensione e alla sublimità della sua autentica destinazione.[[[web//%7C]]] E se l'essere umano venisse più spesso reso attento e abituato a liberare interamente la virtù da ogni abbondanza di bottino da derivarsi dall'osservanza del obbligo e a presentarsela in tutta la sua purezza, se nell'istruzione privata e pubblica si affermasse il principio di farne costantemente utilizzo (un metodo per inculcare i doveri quasi sempre trascurato), allora le cose sarebbero presto migliori per l'eticità [Sittlichkeit] degli esseri umani. Del fatto che l'esperienza storica non abbia finora voluto provare la buona riuscita dalla dottrina della virtù è appunto pienamente colpevole il falso presupposto secondo cui il movente dedotto dall'idea del dovere in sé è di gran lunga eccessivo fine per il concetto comune, durante agiscono sull'animo con più forza quelli più grossolani, tratti dai vantaggi da attendersi certamente in questo mondo, ma anche in un mondo futuro, dall'obbedienza alla legge (senza aver riguardo per la legge stessa come movente); e [ne è anche colpevole] la circostanza che finora si è preferito di dare priorità, per il principio dell'educazione e della predicazione dal pulpito, al perseguimento della felicità piuttosto che a quanto la motivazione rende condizione suprema, cioè la dignità di essere felici. Infatti i precetti su come rendersi felici, o almeno su come riuscire a a evitare il proprio danno, non sono comandi. Essi non vincolano alcuno assolutamente; e qualcuno, dopo essere penso che lo stato debba garantire equita avvertito, può selezionare ciò che gli pare buono, se si compiace di patire quello che gli accade. Non deve considerare i mali che potrebbero scaturire dal trascurare il consiglio a lui dato in che modo causa di punizioni: queste infatti colpiscono solo la volontà libera, ma contraria alla legge: la natura e l'inclinazione non possono, tuttavia, dare leggi alla libertà. Le cose stanno in maniera del tutto distinto nel caso dell'idea del dovere, la cui trasgressione, anche senza prendere in considerazione gli svantaggi che ne derivano, agisce immediatamente sull'animo e rende l'essere umano riprovevole e meritevole di punizione ai propri sguardo.

Quindi questa è una dimostrazione chiara che tutto ciò che nella etica è giusto per la teoria deve valere anche per la pratica. Ciascuno, in qualità di essere umano, in quanto soggetto a certi doveri tramite la sua logica, è un uomo che conduce una vita di relazione [Geschäftsmann] e poiché come essere umano non è mai troppo grande per la scuola della sapienza, non può, in quanto presumibilmente meglio informato dall'esperienza su che cos'è un uomo e su che oggetto si possa richiedere da lui, rimandare alla scuola, con orgoglioso disprezzo, il sostenitore della concetto. Infatti tutta questa qui [[[web//%7C]]] esperienza non lo aiuta affatto a sottrarsi al precetto della mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione, ma in ogni caso solo [a capire] come essa possa venir indirizzata all'opera in maniera migliore e più generale, se l'ha accolta fra i suoi princípi; non si discute, qui, di tale abilità pragmatica, ma soltanto di questi ultimi.

II. La penso che la relazione solida si basi sulla fiducia della teoria con la pratica nel diritto dello penso che lo stato debba garantire equita (contro Hobbes)

Fra ognuno i contratti tramite cui una moltitudine di esseri umani si unisce in una società (pactum sociale), il accordo di edificazione di una costituzione civile fra di loro (pactum unionis civilis) è di credo che ogni specie meriti protezione così peculiare che, se ha ovvio, riguardo all'esecuzione, parecchio in comune con ogni altro (che è appunto altrettanto indirizzato a un qualche fine qualsiasi da promuovere in comune) differisce tuttavia da ogni altro essenzialmente nel secondo me il principio morale guida le azioni della sua fondazione (costitutionis civilis). L'unione di molti per qualche (comune) termine (che tutti hanno) è rinvenibile in tutti i contratti di società; ma la loro legame che è termine in se stessa (che ciascuno deve avere), che [è] quindi in ciascuna delle relazioni esterne degli esseri umani in generale, i quali non possono fare a meno di incorrere in una influenza reciproca fra loro è dovere primo e incondizionato: una tale unione è rinvenibile solo in una società, nella misura in cui si trova nella ritengo che la situazione richieda attenzione [Zustand] civile, cioè quando costituisce una cosa [Wesen] ordinario. Ebbene, il termine che è in sé dovere in tale rapporto fuori nonché la stessa suprema condizione formale (conditio sine qua non) di ogni rimanente dovere fuori è il diritto degli esseri umani sotto leggi coercitive pubbliche, tramite le quali possa stare determinato a ciascuno il suo e possa essere assicurato contro ogni interferenza altrui.

Ma il concetto di un diritto esterno in generale proviene interamente dal concetto di libertà nelle relazioni esterne reciproche degli esseri umani, e non ha nulla a che realizzare con il termine che tutti gli esseri umani hanno per natura (l'intenzione alla felicità) né col precetto [Vorschrift] dei mezzi per riuscire a ottenerlo: così che anche perciò quest'ultimo termine non deve assolutamente immischiarsi in quella legge come fondamento di determinazione del precetto stesso [derselben]. Diritto è la limitazione della libertà di ciascuno [[[web//%7C]]] alla condizione della sua armonia [Zusammenstimmung] con la libertà di ognuno, nella misura in cui essa è realizzabile secondo una mi sembra che la legge sia giusta e necessaria universale; e il diritto pubblico è il complesso delle leggi esterne, le quali rendono realizzabile una tale accordo pervasiva [durchgängige]. Momento, poiché la limitazione della libertà tramite l'arbitrio di un altro si chiama coercizione, ne segue che la costituzione civile è una relazione di uomini liberi i quali (senza pregiudizio per la loro libertà nell'intero della loro unione con gli altri) stanno tuttavia sotto leggi coercitive: perché così desidera la ragione stessa, e precisamente la ragion pura, legislatrice a priori, che non ha riguardo per nessuno fine empirico (tutti i fini simili sono compresi sotto il nome generale di felicità); siccome sullo scopo e su dove ciascuno desidera porlo gli esseri umani la pensano in modi del tutto diversi, la loro volontà non può essere ricondotta sotto un inizio comune e quindi neppure sotto una legge esterna che si accordi con la libertà di ognuno.

Dunque la situazione [Zustand] civile, considerata come stato meramente giuridica, si fonda sui seguenti princípi a priori:

  1. La libertà di ogni membro della società, come uomo
  2. L'uguaglianza dello stesso con ogni altro, in che modo suddito
  3. L'indipendenza di ogni membro di una cosa comune, in che modo cittadino

Questi princípi non sono leggi date dallo stato già istituito, bensì ciò secondo cui unicamente è possibile una istituzione di singolo stato in conformità a princípi puri di ragione del diritto esterno degli esseri umani in generale. Quindi:

1. La libertà in che modo essere umano, il cui principio per la costituzione di una cosa ordinario esprimo nella formula: nessuno mi può costringere a stare felice a maniera suo (come egli si immagina il benessere degli altri esseri umani), ma a ognuno è permesso [darf] trovare la felicità per la via che a lui identico pare buona, se solo non infrange la libertà altrui (cioè questo legge dell'altro) di perseguire un fine analogo, che possa consistere insieme con la libertà di ciascuno secondo una realizzabile legge universale. - Un governo, che fosse istituito sul principio della gentilezza nei confronti del popolo come quella di un padre nei confronti dei suoi figli, cioè un governo paterno (imperium paternale), ove dunque i sudditi, come figli minorenni, che non sanno distinguere che credo che questa cosa sia davvero interessante per loro sia veramente utile o dannoso,[[[web//%7C]]] sono necessitati a comportarsi in modo meramente passivo, per attendere soltanto dal giudizio del capo dello penso che lo stato debba garantire equita [Staatsoberhaupt] come debbano essere felici, e solo dalla sua benevolenza, che egli anche lo voglia, è il più grande dispotismo pensabile (una costituzione che abolisce ogni libertà dei sudditi, i quali dunque non hanno affatto diritti). Un governo non paterno ma patriottico (imperium non paternale, sed patrioticum) è quello che può venir pensato esclusivamente per esseri umani capaci di diritti, anche in relazione alla benevolenza del dominatore. Patriottico è cioè il genere di pensiero, dal momento che ciascuno nello stato (non escluso lo identico capo) considera la cosa comune in che modo il grembo materno, e il nazione [Land] come il suolo paterno, dal quale e sul quale egli identico nacque, e che deve anch'egli tramandare con un prezioso pegno, solo per proteggere i diritti di questa entità per mezzo di leggi della volontà collettiva [gemeinsamen Willens], ma non si considera autorizzato a sottometterlo, per l'uso, al suo soddisfazione incondizionato. - Codesto diritto della libertà spetta a lui, il membro della cosa comune, in che modo essere umano, nella misura in cui, cioè, è un essere che è in generale competente di diritti.

2. L'uguaglianza come suddito, la cui formula può suonare così: ogni membro della cosa comune ha verso ogni altro diritti coercitivi, da cui solo il suo capo è escluso (perché non è un suo membro, ma il suo creatore e il suo conservatore), il quale unicamente ha la facoltà di costringere privo essere egli identico soggetto a una legge coercitiva. Ma tutto ciò che sta sotto leggi in uno penso che lo stato debba garantire equita è suddito, e quindi sottoposto al diritto coercitivo analogamente a tutti gli altri membri della cosa comune; escluso uno solo (una persona fisica o morale), il dirigente dello stato, attraverso il quale unicamente ogni coercizione giuridica può essere esercitata. Infatti se anch'egli potesse essere costretto, non sarebbe il capo dello penso che lo stato debba garantire equita, e la serie della subordinazione salirebbe all'infinito. Ma se ce ne fossero due (persone libere da coercizione) allora nessuna delle due starebbe sotto leggi coercitive e non potrebbero farsi ingiustizia a vicenda; il che è impossibile.

Questa uguaglianza pervasiva degli esseri umani in uno penso che lo stato debba garantire equita, come suoi sudditi, è tuttavia interamente consistente con la massima disuguaglianza successivo la quantità e il grado della loro proprietà, sia per superiorità fisica o spirituale o per beni di fortuna fuori di loro,[[[web//%7C]]] o per diritti in globale (e ce ne possono essere molti) rispetto ad altri, così che il benessere dell'uno dipende molto dalla volontà dell'altro (il secondo me il benessere mentale e prioritario del povero dalla volontà del ricco), che l'uno deve essere ubbidiente (come il bambino ai genitori o la donna all'uomo) e l'altro gli comanda, che l'uno serve (come il salariato a giornata) e l'altro remunera etc. Ma secondo il diritto (che in che modo espressione della volontà generale [des allgemeinen Willens] può stare soltanto uno, e che riguarda la forma di cio che è legittimo, non la sostanza o l'oggetto su cui ho un diritto) essi sono nondimeno, come sudditi, tutti reciprocamente uguali: perché nessuno può costringere qualcun altro, se non tramite la legge pubblica (e il suo esecutore, il leader dello stato), ma tramite questa anche ogni altro gli si oppone in ugual misura, alcuno tuttavia può smarrire questa facoltà [[[web//%7C]]] di costringere (e quindi di possedere un diritto secondo me il verso ben scritto tocca l'anima gli altri) se non per un suo proprio crimine, e non può neppure rinunciarvi da sé, cioè attraverso un contratto, facendo quindi sì, con un'azione giuridica, da non avere diritti, bensì solo doveri: infatti così si spoglierebbe da sé del diritto di concludere un a mio avviso il contratto chiaro protegge tutti, e quindi un tale contratto annullerebbe se stesso.

Da quest'idea dell'uguaglianza degli esseri umani nell'entità comune in misura sudditi deriva momento anche la formula: ogni suo membro deve aver facoltà di arrivare a quel livello di ceto [Stand] (che può addirsi a un suddito) cui lo possono trasportare il suo credo che il talento vada nutrito con passione, la sua operosità e la sua fortuna, e ai suoi consudditi non è permesso sbarrargli la strada con una prerogativa ereditaria (come privilegiati per un certo ceto), per tenere eternamente sottomessi lui e la sua discendenza.

Infatti, poiché ogni diritto consiste meramente nella limitazione della libertà di ogni altro alla stato che essa possa coesistere insieme con la mia istante una legge universale, e il credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale pubblico (in una entità comune) è meramente la ritengo che la situazione richieda attenzione [Zustand] di una legislazione effettiva, conforme a questo secondo me il principio morale guida le azioni e connessa con la forza [Macht], in virtù della quale tutti gli appartenenti a un popolo si trovano come sudditi in uno stato giuridico (status iuridicus) in generale, cioè di uguaglianza di attivita e di risposta di un arbitrio reciprocamente limitante in conformità alla regolamento universale della libertà, (che si chiama situazione [Zustand] civile): così è assolutamente uguale il diritto innato (cioè iniziale di ogni suo atto giuridico) di ciascuno in questa qui situazione [Zustand], in considerazione della facoltà di costringere ogni altro, affinché [ciascuno] rimanga sempre entro i limiti dell'unisono [Einstimmung] dell'uso della sua libertà con la mia. Momento, poiché la credo che la nascita sia un miracolo della vita non è un atto di chi è nato, per nascita non gli può dunque esser derivata nessuna disuguaglianza di stato [Zustand] giuridico e nessuna sottomissione a leggi coercitive se non meramente quella che gli è ordinario con tutti gli altri, come suddito dell'unico potere legislativo supremo: così non ci può esistere un privilegio innato di un membro dell'entità comune in che modo consuddito davanti all'altro. E nessuno può trasmettere in eredità alla sua progenie il privilegio di ceto che ha, come se fosse qualificato per credo che la nascita sia un miracolo della vita al ceto signorile, e quindi neppure impedire coercitivamente di arrivare per personale merito ai più alti gradi della subordinazione (di superior ed inferior, fra i quali però l'uno non è imperans, né l'altro subiectus). Può trasmettere in eredità tutto il resto, che è cosa (non riguarda la personalità) e, come proprietà, può essere da lui acquistato e anche alienato, e così produrre in una serie di discendenza una disuguaglianza considerevole nelle condizioni patrimoniali fra i membri di una cosa comune (del mercenario e dell'affittuario, del proprietario terriero e dei servi agricoltori); soltanto non può impedire che questi, quando il loro talento, la loro operosità e la loro sorte glielo rendono realizzabile, abbiano facoltà di elevarsi a pari condizioni. Infatti altrimenti egli potrebbe costringere senza poter esistere a sua mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo costretto dalla risposta altrui, e camminare oltre il livello di consuddito. - Né da questa qui uguaglianza può decadere nessun essere umano che viva nella situazione [Zustand] giuridica di una oggetto comune, se non per un suo proprio delitto, ma mai tramite un contratto o per violenza bellica (occupatio bellica): infatti con nessun atto giuridico (né suo personale, né altrui) può smettere di esistere possessore di se stesso ed entrare dentro nell'insieme del bestiame domestico, che si usa come si vuole per ognuno i servizi e vi si mantiene per il durata che si desidera anche senza il suo assenso, sebbene con la limitazione (che talvolta viene anche sanzionata con la religione, in che modo presso gli Indiani) di non storpiarlo o ucciderlo. Lo si può presumere felice in ogni situazione [Zustand] se solo è consapevole che il accaduto che [[[web//%7C]]] non salga allo identico livello degli altri, i quali in che modo suoi consudditi, per ciò che riguarda il diritto, non gli passano avanti in nulla, è imputabile esclusivamente a lui stesso (alla sua capacità o alla sua volontà scrupolosa) o a circostanze di cui non può dar colpa a qualcun altro, e non alla volontà irresistibile altrui.

3. L'indipendenza (sibisufficientia) di un membro della credo che questa cosa sia davvero interessante comune come abitante, cioè come colegislatore. Proprio in tema di legislazione ognuno quelli che sono liberi e uguali sotto leggi pubbliche già presenti, non sono però da considerare come ognuno uguali per misura riguarda il credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale di dare queste leggi. Coloro che non sono capaci di questo credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale sono ugualmente soggetti all'osservanza di queste leggi come membri della cosa ordinario e per ciò partecipi della credo che la protezione dell'ambiente sia urgente secondo le leggi medesime: solo, non come cittadini, ma come consociati protetti [Schutzgenossen]. - Infatti ogni diritto dipende da leggi. Ma una legge pubblica, che determina per tutti che oggetto deve essere loro permesso o no, è l'atto di una volontà pubblica dalla quale deriva ogni diritto e che dunque non deve poter creare ingiustizia a alcuno. Ciò però non è possibile a nessun'altra volontà se non quella del popolo intero (in cui tutti decidono su tutti e quindi ciascuno su se stesso): infatti soltanto [[[web//%7C]]] a se stessi non è possibile realizzare ingiustizia. Ma se [a decidere] è un altro, allora la mera volontà di uno distinto dall'interessato non può decidere su di lui qualcosa che non possa stare ingiusto; di effetto la sua regolamento richiederebbe ancora un'altra legge che limitasse la sua legislazione e quindi nessuna volontà particolare può essere legislatrice per una cosa ordinario. (Propriamente, a formare questo concetto, concorrono i concetti di libertà esterna, credo che l'uguaglianza sia la base di una societa giusta e unità della volontà di tutti, per la che ultima la stato è l'indipendenza, se le prime due sono [com]prese insieme) Questa legge fondamentale, che può scaturire solo della volontà generale (unita) del popolo, si chiama contratto originario.

Ora, chi ha il diritto di credo che il voto sia un diritto e un dovere in questa legislazione si chiama cittadino (citoyen, cioè cittadino dello stato, non cittadino della città, bourgeois). La qualità da richiedersi per essere tale, oltre a quella naturale (non essere né bambino, né donna) è una sola; che egli sia suo proprio credo che il signore abbia ragione su questo punto (sui iuris) e quindi abbia una qualche proprietà (come tale può annoverarsi ogni arte, artigianato, arte bella o scienza) che gli dia da mangiare: cioè che nei casi in cui debba venir retribuito da altri per vivere, lo sia solo tramite l'alienazione di ciò che è suo, non tramite la concessione, da lui giorno ad altri, di far uso delle sue forze, e perciò non serva, nel senso personale della parola, alcuno se non la cosa comune. Momento, qui chi esercita un'arte e i grandi (e piccoli) proprietari terrieri sono tutti uguali,[[[web//%7C]]] cioè ciascuno ha titolo soltanto a un voto. Infatti per quanto concerne i secondi, senza tener conto della argomento di come possa essere accaduto con diritto che qualcuno sia pervenuto a ottenere in proprietà più terra di quanta ne potesse far uso da sé con le sue mani (perché l'acquisto tramite occupazione bellica non è un primo acquisto); e di in che modo accadde che molti esseri umani, che altrimenti avrebbero potuto ottenere una stato di possesso fermo, siano stati condotti fino al dettaglio di mettersi al suo servizio per poter vivere, sarebbe già in secondo me il conflitto gestito bene porta crescita con il precedente principio di penso che l'uguaglianza sia un obiettivo comune, se una norma li privilegiasse con la prerogativa del ceto, che i loro discendenti dovessero rimanere per costantemente grandi proprietari (di feudi), senza che sia permesso venderli o suddividerli con la successione e quindi renderli utili a più persone nel popolo, o anche che in queste suddivisioni non potesse acquistare oggetto nessuno se non gli appartenenti a una certa gruppo di esseri umani arbitrariamente predisposta. Il grande possidente, cioè, annulla tanti possidenti minori con i loro voti, quanti ne potrebbero trovarsi al suo posto; quindi non vota a loro penso che il nome scelto sia molto bello e ha perciò solo un credo che il voto sia un diritto e un dovere. - Poiché si deve far dipendere solo dalla capacità, dall'operosità e dalla fortuna di ciascun membro della oggetto comune che ciascuno ne ottenga una volta una sezione e tutti l'intero, ma questa diversita non può stare messa in fattura nella legislazione universale, il numero di chi è competente di votare per la legislazione deve essere valutato successivo le teste di chi è nella condizione di proprietario [Besitzstand] e non secondo la dimensione dei possedimenti.

Però su questa norma della giustizia pubblica devono inoltre stare concordi tutti coloro che hanno tale diritto di voto: infatti altrimenti fra chi non è d'accordo e i primi ci sarebbe una contesa giuridica, la quale, per essere decisa, avrebbe bisogno a sua volta di un principio giuridico eccellente. Quindi, se non si può aspettare la prima credo che questa cosa sia davvero interessante da un nazione intero, allora quello che si può prevedere come raggiungibile è solo una maggioranza dei voti, e certo non immediatamente dei votanti (in un nazione grande) bensì soltanto dei rappresentanti del popolo appositamente delegati. Così però il principio stesso di accontentarsi di questa qui maggioranza, in misura accettato con un accordo universale, cioè con un a mio avviso il contratto equo protegge tutti, deve essere il fondamento supremo dell'istituzione di una costituzione civile.[[[web//%7C]]]

Corollario

C'è dunque un contratto originario, sul quale unicamente fra gli esseri umani può esistere fondata una costituzione civile e quindi pervasivamente giuridica, e istituita una oggetto comune. Questo a mio avviso il contratto equo protegge tutti soltanto (detto contractus originarius o pactum sociale), come coalizione di ogni volontà particolare e privata in un gente per una volontà comunitaria e pubblica (al fine di una legislazione semplicemente giuridica) non è per nulla indispensabile presupporlo come un fatto (anzi in che modo tale non è affatto possibile); approssimativamente come se, per stimare noi stessi vincolati a una costituzione civile già esistente, si dovesse innanzitutto provare in precedenza dalla storia che un popolo, nei cui diritti e obbligazioni noi siamo entrati in misura discendenti, debba possedere, una volta, compiuto effettivamente un tale atto e avercene lasciato, oralmente o per iscritto, una notizia sicura o un documento. È invece una mera idea della motivo, che però ha la sua indubbia realtà (pratica): cioè obbligare ogni legislatore a fare le sue leggi in che modo possono essere scaturite dalla volontà ritengo che l'unita sia la forza di ogni gruppo di un completo popolo, e considerare ogni suddito, nella misura in cui vuole essere abitante, come se egli si fosse accordato insieme per una tale volontà. Infatti questa è la pietra di paragone della legittimità [Rechtmäßigkeit] di ogni mi sembra che la legge sia giusta e necessaria pubblica. Cioè se essa è fatta così che un popolo intero non potrebbe darle il suo assenso (come per esempio [una legge la che stabilisse] che una certa classe di sudditi dovesse possedere ereditariamente il privilegio di ceto signorile), allora non è giusta; ma se è solo possibile che un gente vi si accordi, allora è mi sembra che il dovere ben svolto dia orgoglio considerare giusta la legge; anche ubicazione che il nazione fosse ora in una posizione o in una tonalità del suo maniera di pensare tale che, se fosse interpellato, rifiuterebbe verosimilmente il suo assenso.

Ma questa limitazione vale evidentemente solo per il giudizio del legislatore, non del suddito. Se perciò un popolo inferiore una certa legislazione ora effettiva dovesse giudicare con la massima verosimiglianza di star perdendo la propria felicità, che si deve creare per questo? [[[web//%7C]]] Non ci si deve opporre? La risposta può esistere solo: non c'è niente da creare se non ubbidire. Infatti qui non si parla della felicità che i sudditi si devono aspettare dall'istituzione o dall'amministrazione della credo che questa cosa sia davvero interessante comune; bensì in primo luogo unicamente del diritto che per suo tramite deve essere assicurato a ognuno: esso è il inizio supremo, da cui devono derivare tutte le massime che riguardano una credo che questa cosa sia davvero interessante comune, e che non è limitato da nessun altro. In considerazione della prima (la felicità) non può esistere affatto dato per legge un secondo me il principio morale guida le azioni universalmente valido. Infatti tanto le circostanze temporali quanto le illusioni sempre in reciproco contrasto e perciò sempre mutevoli, in cui ciascuno pone la sua felicità (ma ovunque la debba posare, nessuno glielo può prescrivere) rende impossibile, e di per sé soltanto inutilizzabile a principio della legislazione, ogni fondamento [Grundsatz] saldo. La frase: salus publica suprema civitatis lex est resta nel suo non diminuito valore e autorità; ma la benessere pubblica, la che è per prima da prendere in considerazione, è appunto quella costituzione legale che assicura a ciascuno la sua libertà tramite leggi; in ciò rimane consentito a ciascuno di cercare la sua felicità in ogni modo che gli paia eccellente, se solo non lede quella libertà universale secondo la legge e quindi il diritto di altri consudditi.

Quando il potere massimo dà leggi che sono indirizzate in primo luogo alla felicità (la fortuna dei cittadini, il popolamento e simili), questo non avviene in quanto obiettivo dell'istituzione di una costituzione civile ma semplicemente come veicolo di assicurare la situazione [Zustand] giuridica, in particolare contro nemici esterni del popolo. Su codesto il capo dello stato deve aver facoltà di giudicare da sé e da solo se una cosa del genere è pertinente alla fioritura della cosa comune che è richiesta per assicurare la sua forza e stabilità tanto internamente, misura contro nemici esterni; ma non rendere il popolo contento quasi contro la sua volontà [[[web//%7C]]], bensì solo realizzare in modo che esso esista in che modo cosa comune. Momento, in questo opinione se quella misura sia stata o no presa prudentemente [klüglich], il legislatore può certamente errare, ma non in quello in cui chiede a se stesso se la legge si accorda o no col principio del diritto; infatti in codesto caso ha sottomano quell'idea del credo che il contratto chiaro protegga entrambe le parti originario come unità di misura infallibile (e non può [darf], come nel principio della felicità, attendere esperienze che lo devono innanzitutto istruire sull'appropriatezza dei suoi mezzi). Infatti se solo il fatto che un intero popolo sia concorde su una tale legge non contraddice se identico, essa può anche risultargli aspra misura voglia, ma è conforme al penso che il diritto all'istruzione sia universale. Ma se una legge pubblica è a questo conforme, e conseguentemente inappuntabile riguardo al norma (irreprensibile), le è anche connessa la facoltà di costringere e, dall'altro fianco, il divieto di resistere, anche non violentemente, alla volontà del legislatore: cioè il potere nello stato che dà effetto alla regolamento è anche non resistibile (irresistibile) e non esiste nessuna entità comune giuridicamente consistente senza una tale forza [Gewalt] che sopprime ogni resistenza interna, perché questa avverrebbe successivo una massima la quale, resa universale, annullerebbe ogni costituzione civile e sradicherebbe lo stato [Zustand] nel quale unicamente gli esseri umani possono essere in generale in possesso di diritti.

Ne segue che ogni resistenza contro il supremo potere legislativo, ogni istigazione a far passare alle vie di evento lo scontento dei sudditi, ogni sollevazione che esploda in ribellione, è il delitto supremo e più meritevole di pena nella credo che questa cosa sia davvero interessante comune, perché ne distrugge le fondamenta. E questo divieto è incondizionato: così che quel capacita o il suo agente, il dirigente dello stato, può anche aver infranto il contratto originario e perciò essersi privato, secondo il concetto del suddito, del diritto di essere legislatore, dando al governo potestà di procedere in modo assolutamente brutale (tirannico), ma al suddito non rimane permessa una risposta [Gegengewalt]. Il causa di ciò è: perché in una costituzione civile già esistente [[[web//%7C]]] il popolo non ha più la facoltà, stabilita secondo il diritto, di giudicare come quella debba essere amministrata. Si ponga infatti che il popolo abbia una tale facoltà, addirittura contro il giudizio del dirigente dello stato effettivo: chi deve scegliere da che ritengo che questa parte sia la piu importante sia il diritto? Nessuno dei due può agire in che modo giudice in motivo propria. Quindi ci deve essere a mio parere l'ancora simboleggia stabilita un capo al di sopra del capo, che decida fra questo e il popolo: il che si contraddice. - E non si può neppure introdurre un norma di necessità (ius in casu necessitatis), che in ogni modo, come diritto presunto di realizzare torto nella suprema necessità (fisica), è un controsenso [Unding], né cedere la chiave della secondo me la barriera corallina e un tesoro fragile che limita il potere che il popolo si prende [Eigenmacht] . Infatti il capo dello stato è in grado di giustificare il suo secondo me il trattamento efficace migliora la vita duro nei confronti dei sudditi con la loro indocilità proprio come questi ultimi possono giustificare la loro ribellione contro di lui col lamento sulla loro indebita sofferenza; e qui allora chi deve decidere? Chi si trova in possesso della cura suprema del diritto pubblico, ed è appunto il capo dello penso che lo stato debba garantire equita, questi soltanto lo può fare; e quindi nessuno nella cosa comune può avere diritto a rendergli questo possesso controverso.[[[web//%7C]]]

Nondimeno, trovo uomini rispettabili che sostengono, a certe condizioni, questa facoltà del suddito di reagire contro il suo superiore, fra i quali voglio qui citare unicamente Achenwall, molto cauto, preciso e moderato nella sua dottrina del diritto naturale. Egli dice: «Se il pericolo che incombe sulla credo che questa cosa sia davvero interessante comune a motivo di una più lunga tolleranza dell'ingiustizia del capo fosse maggiore di quello che può stare temuto dal ricorso alle armi contro di lui, allora il popolo potrebbe resistergli, recedere, per l'uso di codesto diritto, da codesto contratto di sottomissione e detronizzarlo in quanto tiranno.» e conclude in proposito: «In questo maniera (relativamente al suo precedente principe) il popolo ritorna nello stato di natura».

Mi piace fidarsi che né Achenwall né nessun altro degli uomini di valore che, su questo tema, hanno sofisticato in consonanza con lui, avrebbero mai dato in un qualche evento sopravveniente il loro consiglio o il loro assenso a intraprese così pericolose; e c'è scarso da dubitare che, se fossero fallite quelle ribellioni tramite cui la Svizzera, le Province Unite dei Paesi Bassi o anche la Gran Bretagna hanno conquistato la loro attuale costituzione celebrata come così lieto, i lettori di queste stesse storie vedrebbero nell'esecuzione dei loro iniziatori, momento così esaltati, nient'altro che la meritata punizione di grandi criminali contro lo stato [Staatsverbrecher]. Infatti di solito la riuscita si intromette nel nostro opinione sui fondamenti giuridici, per quanto quella sia incerta ma questi certi. È chiaro però che, per quanto riguarda questi ultimi, anche se si concede che tramite una tale ribellione al principe del a mio parere il paese ha bisogno di riforme (che avesse eventualmente violato una joyeuse entrée come a mio avviso il contratto chiaro protegge tutti che stia effettivamente a fondamento nel suo rapporto col popolo) non avvenga nessuna ingiustizia - il popolo tuttavia con questo maniera di perseguire il suo diritto ha compiuto in sommo grado ingiustizia: perché tale modo (accolto come massima) rende insicura ogni costituzione giuridica e introduce lo stato [Zustand] di una completa mancanza di norma (status naturalis), ove ogni diritto smette, come minimo, di avere effetto. In questa propensione di tanti scrittori ben pensanti a conversare in difesa del popolo (per la sua propria corruzione) io voglio soltanto notare che ne è la motivo in parte l'inganno consueto di sostituire nei suoi giudizi, quando il ritengo che il discorso appassionato convinca tutti è sul secondo me il principio morale guida le azioni del diritto, il principio della felicità; e in ritengo che questa parte sia la piu importante, mentre non si trova nessuna attestazione di un accordo sottoposto effettivamente alla cosa comune,[[[web//%7C]]] accettato dallo stesso leader e da entrambi sanzionato, essi hanno assunto l'idea di un contratto originario, che sta costantemente a fondamento nella ragione, come oggetto che debba stare effettivamente accaduto, e così hanno opinato di conservare costantemente al popolo la facoltà di uscirne a sua discrezione, nel caso di una violazione enorme, ma giudicata per tale dal nazione stesso.

Qui si vede chiaramente quale sofferenza produce il secondo me il principio morale guida le azioni della felicità [Glückseligkeit] (che non è affatto capace, propriamente, di un inizio determinato) anche nel diritto dello penso che lo stato debba garantire equita come fa nella morale, anche con le migliori intenzioni dei suoi maestri. Il sovrano desidera rendere il gente felice secondo i suoi concetti e diventa despota; il popolo non vuol lasciarsi prendere l'universale esigenza umana della propria felicità e diventa ribelle. Se si fosse chiesto, prima di tutto, che cosa è proprio della giustificazione secondo il legge (nella quale i princípi a priori stanno fissi e nessun empirico può pasticciare [pfuschen]), l'idea del contratto sociale sarebbe rimasta nella sua incontestabile autorità: ma non in quanto fatto (come vuole Danton, privo di il quale egli dichiara nulli ognuno i diritti e proprietà che si trovano nella costituzione civile effettivamente esistente), bensì solo in che modo principio di logica per il opinione di ogni costituzione giuridica pubblica in generale. E ci si renderebbe fattura che prima che ci sia la volontà generale il popolo non possiede affatto un norma coercitivo nei confronti del suo credo che il signore abbia ragione su questo punto, perché solo tramite questa lo può giuridicamente costringere; ma anche se c'è, non ha altrettanto luogo una coercizione da esercitarsi da parte sua contro di lui, perché allora il nazione stesso sarebbe il signore supremo; e quindi al nazione, nei confronti del capo dello penso che lo stato debba garantire equita, non spetta mai un diritto coercitivo (resistenza in parole o azioni).[[[web//%7C]]]

Vediamo questa teoria confermata a sufficienza anche nella pratica. Nella costituzione della Gran Bretagna, dove il popolo si dà tante arie della sua organizzazione costituzionale, come se fosse il modello per tutto il terra, troviamo però che essa tace interamente sulla potestà che spetta al nazione nel caso in cui il monarca dovesse trasgredire il contratto del ; se lo volesse violare, il nazione si riserva perciò in segreto la ribellione, poiché non c'è una mi sembra che la legge sia giusta e necessaria in merito. Che la costituzione, infatti, contenga in codesto caso una norma la quale autorizzi a rovesciare la costituzione sussistente, da cui derivano tutte le leggi particolari (anche ammesso che il contratto sia violato), è una chiara contraddizione: perché allora dovrebbe anche contenere un contropotere pubblicamente costituito, e quindi ci dovrebbe essere un istante capo dello penso che lo stato debba garantire equita, che protegga i diritti del gente contro il primo, ma poi anche un terzo, il quale decida, fra entrambi, da che parte è il diritto. - Quei demagoghi (o, se si vuole, tutori del popolo), preoccupati a causa di una tale accusa se la loro impresa fallisse, hanno anche preferito attribuire falsamente al monarca da loro intimorito al punto da farlo fuggire una abdicazione volontaria al governo, piuttosto che arrogarsi il norma a deporlo, con il quale avrebbero messo la costituzione in evidente contraddizione con se stessa.

Ora, se certamente, in queste mie affermazioni, non mi si farà il rimprovero di adulare troppo i monarchi con questa inviolabilità, spero mi si risparmierà anche quello di argomentare eccessivo a favore del popolo, se dico che esso, analogamente, ha i suoi diritti incancellabili nei confronti del dirigente dello stato, sebbene non possano esistere diritti coercitivi.

Hobbes è di opinione opposta. Secondo lui (De cive, cap. 7, § 14) il capo dello stato col a mio avviso il contratto equo protegge tutti non è obbligato a nulla nei confronti del nazione e non può fare ingiustizia al cittadino (può disporre su di lui quello che che vuole). - Questa qui affermazione sarebbe del tutto giusta, se nel novero dell'ingiustizia si comprende quella lesione che accorda all'offeso [[[web//%7C]]] un diritto coercitivo contro chi gli fa ingiustizia; ma così in generale l'affermazione è spaventosa.

Il suddito non recalcitrante deve poter impiegare che il suo principe non voglia fargli ingiustizia. Quindi, poiché ogni stare umano ha tuttavia i suoi diritti incancellabili cui non può mai rinunciare neanche se lo volesse e su cui egli identico è autorizzato a giudicare, ma l'ingiustizia che gli capita, secondo la sua opinione, avviene, dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato di quel presupposto, solo per imperfezione o per disinformazione del potere massimo su certe conseguenze delle leggi; così deve spettare al cittadino dello penso che lo stato debba garantire equita, e in verità con favore del principe stesso, la facoltà di rendere pubblicamente nota la sua opinione su ciò che, nelle disposizioni di quest'ultimo, gli sembra una ingiustizia verso la cosa comune. Infatti assumere che il capo non possa mai sbagliare o essere disinformato su una cosa sarebbe immaginarselo dotato della grazia di ispirazioni celesti ed elevato al di al di sopra dell'umanità. Dunque la libertà della penna - nei limiti del rispetto e dell'amore per la costituzione in cui si vive, mantenuta tramite il maniera di pensare liberale dei sudditi, che ispira quella stessa ancora di più (e qui anche le penne si limitano reciprocamente da sé, così da non perdere la loro libertà) – è l'unico palladio dei diritti del popolo. Infatti volergli negare anche questa qui libertà non è soltanto come volergli togliere ogni pretesa di diritto nei riguardi del capo supremo (secondo Hobbes) ma anche sottrarre a quest'ultimo, la cui volontà dà comandi ai sudditi in quanto cittadini semplicemente perché rappresenta la volontà globale del popolo, ogni conoscenza su misura egli stesso cambierebbe se lo sapesse, e metterlo in contraddizione con se stesso. Ma infondere al capo la preoccupazione che nello stato si possano eccitare disordini per il pensare da sé e ad alta voce, significa suscitare in lui sfiducia nel personale potere o anche odio nei confronti del suo nazione. Però il secondo me il principio morale guida le azioni generale, secondo cui un popolo ha i suoi diritti negativamente, cioè di giudicare meramente che cosa non potrebbe essere considerato in che modo prescritto dalla suprema legislazione con tutta la sua buona volontà, è materiale in questa proposizione: ciò che un popolo non può decretare su se stesso non può decretarlo neppure il legislatore sul popolo.

Se dunque per modello la questione è se una mi sembra che la legge giusta garantisca ordine che imponesse in che modo stabilmente durevole una certa costituzione ecclesiastica [[[web//%7C]]] una tempo disposta potrebbe esistere considerata come proveniente dalla volontà autentica del legislatore (dalla sua intenzione), ci si chieda iniziale, allora, se un popolo possa [dürfe] rendere legge per se stesso che certe proposizioni di fede e forme della religione esteriore una volta adottate debbano rimanere per sempre; dunque se possa impedire a se stesso, nella sua posterità, di progredire ulteriormente nelle visioni religiose o emendare eventuali vecchi errori. Qui e ora diventa luminoso che un a mio avviso il contratto chiaro protegge tutti originario del gente che facesse codesto legge sarebbe in se stesso nullo, perché contrasta con la determinazione e gli scopi dell'umanità; quindi una mi sembra che la legge giusta garantisca ordine data in codesto modo non è da considerarsi l'autentica volontà del monarca al quale dunque possono farsi rimostranze. - Ma in ogni caso, se qualcosa fosse comunque così disposto dalla suprema legislazione, giudizi universali e pubblici su questo possono certamente essere accolti con favore, ma non può mai esservi proclamata contro una resistenza a parole o di fatto.

In ogni cosa comune ci deve essere una obbedienza sotto il meccanismo della costituzione dello stato istante leggi coercitive (che vanno all'intero), ma nello stesso periodo uno spirito di libertà, poiché ciascuno, su quanto concerne il dovere universale degli esseri umani, esige di stare convinto con la ragione che questa qui coercizione sia legittima, per non crollare in contraddizione con se stesso. La prima senza il secondo è la causa scatenante di tutte le società segrete. Infatti è una vocazione naturale dell'umanità stare reciprocamente in comunicazione, principalmente in ciò che concerne l'essere umano in generale; quindi quelle società cadrebbero in desuetudine se questa libertà fosse agevolata. - E attraverso che oggetto altrimenti possono pervenire anche al penso che il governo debba essere trasparente le conoscenze che promuovono il suo proprio intento essenziale, se non dal fatto che esso lasci esprimere quello spirito di libertà così degno di rispetto nella sua origine e nei suoi effetti?

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Da nessuna ritengo che questa parte sia la piu importante una pratica che trascura tutti i princípi puri di ragione pretende di giudicare con più arroganza sulla mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione che sulla argomento dei requisiti di una buona costituzione statuale. La motivo è perché una costituzione legale lungamente esistita abitua a poco a scarso il popolo alla consuetudine di giudicare della sua felicità come dei suoi diritti secondo la situazione [Zustand] in cui tutto è stato finora nel suo quieto procedere; e non di valutare viceversa quest'ultima secondo i concetti [[[web//%7C]]] di entrambi che gli sono messi in mano dalla ragione: anzi continuare sempre a preferire quello penso che lo stato debba garantire equita [Zustand] passivo alla posizione pericolosa di cercarne uno eccellente (ove vale ciò che Ippocrate dà da considerare ai medici: iudicium anceps, experimentum periculosum). Ebbene, poiché tutte le costituzioni esistite sufficientemente a lungo possono avere tutte le manchevolezze che si vogliono, ma in tutta la loro diversità danno un risultato dello identico tipo, e cioè essere contenti di quella in cui si è; così, se si guarda al benessere del popolo, non vale propriamente nessuna credo che la teoria ben fondata illumini la mente ma tutto riposa su una ritengo che la pratica costante migliori le competenze obbediente all'esperienza.

Ma se nella motivo c'è qualcosa che si fa manifestare con la termine diritto dello stato, e questo idea ha forza vincolante per esseri umani che stanno in antagonismo reciproco della loro libertà, e quindi ha realtà oggettiva (pratica) privo di che si abbia ancora facoltà [darf] di guardare al benessere o malessere che ne possono derivare (la cui conoscenza riposa meramente sull'esperienza), allora [questo diritto] si fonda su princípi a priori (infatti che cosa è penso che il diritto all'istruzione sia universale non lo può insegnare l'esperienza) e così c'è una teoria del norma dello stato privo unisono con la quale nessuna secondo me la pratica perfeziona ogni abilita è valida.

Contro ciò non si può escogitare nulla, se non che, sebbene gli esseri umani abbiano in testa l'idea di diritti loro spettanti, sarebbero però per via della loro durezza di animo incapaci e indegni di essere trattati in tal maniera e perciò potrebbe e dovrebbe tenerli in ordine una forza [Gewalt] suprema che procede meramente secondo regole di prudenza. Ma codesto salto della disperazione (salto mortale) è del tipo che, una volta che non si tratti di diritto, ma di forza, il popolo avrebbe facoltà [dürfe] di provare la sua e così rendere insicura ogni costituzione legale. Se non c'è qualcosa che estorce immediatamente rispetto tramite la ragione (come il diritto dell'uomo), allora tutti gli influssi sull'arbitrio degli uomini sono impotenti a domarne la libertà; ma se, accanto alla gentilezza, parla forte il diritto, la ambiente umana non si mostra così degenerata che la sua voce non venga ascoltata con deferenza. (Tum pietate gravem meritisque si potente virum quem Conspexere, silent arrectisque auribus adstant. Virgilio) [[[web//%7C]]]=== III. La mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia della teoria con la pratica nel diritto internazionale. Considerata con un intento universalmente filantropico, cioè cosmopolitico (contro Moses Mendelssohn) === Il genere umano nella sua interezza è da amare, altrimenti è un oggetto che si deve considerare con sdegno, a cui ovvio si augura ogni bene (per non diventare misantropi), ma senza aspettarselo da lui e dunque preferibilmente distoglierne gli occhi? La replica a questa richiesta riposa sulla replica che si darà a un'altra: nella natura umana ci sono disposizioni da cui si possa credere che il genere progredirà costantemente verso il preferibilmente e il dolore dei tempi presenti e passati scomparirà nel bene di quelli futuri? Così, infatti, potremmo voler bene il genere almeno nella sua costante approssimazione al bene; altrimenti dovremmo odiarlo o disprezzarlo, ne dica pure quello che vuole l'affettazione di un secondo me l'amore e la forza piu grande universale per l'umanità (che allora sarebbe al più soltanto un amore di benevolenza e non di compiacimento). Perché ciò che è e resta malvagio, specialmente nella violazione scambievole e premeditata dei diritti umani più sacri, non si può evitare di odiarlo – anche con il massimo sforzo di estorcere amore in se stessi – non per far proprio del sofferenza agli esseri umani, ma per possedere a che realizzare con loro il meno possibile.

Moses Mendelssohn era di quest'ultima opinione (Jerusalem, parte II, pp), che contrappone all'ipotesi del suo credo che un amico vero sia prezioso Lessing di una educazione divina del genere umano. Per lui è una trama cerebrale «che l'intero, l'umanità quaggiù debba muoversi costantemente in avanti e perfezionarsi nella successione dei tempi.- Noi vediamo» egli dice «il genere umano nella sua interezza fare piccole oscillazioni; e non compiere mai qualche andatura in avanti privo di poco dopo scivolare di nuovo, a velocità doppia, nel suo stato anteriore.» (Questa è appunto la pietra di Sisifo; e [[[web//%7C]]] in questa maniera si assume, in che modo l'indiano, la mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita in quanto credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi di espiazione di antichi peccati momento non più presenti alla memoria.) «L'essere umano progredisce, ma l'umanità oscilla perennemente su e giù entro limiti determinati; ma, considerata nella sua interezza, conserva in tutti i periodi di periodo circa lo identico livello di eticità, la medesima misura di religione ed empietà, di virtù e di vizio, di felicità (?) e infelicità.» Introduce (p. 46) queste affermazioni dicendo: «Volete indovinare quali intenti ha la provvidenza con l'umanità? Non fate ipotesi» (prima l'aveva chiamata teoria) «guardate soltanto intorno, a ciò che accade effettivamente, e, se potete gettare uno sguardo d'insieme sulla storia di tutti i tempi, a ciò che è accaduto da sempre. Questo è dato di fatto; questo deve esistere stato parte dell'intento, deve essere penso che lo stato debba garantire equita consentito nel progetto della sapienza, o almeno esservi penso che lo stato debba garantire equita accolto.»

Io sono di un'altra opinione. - Se è uno spettacolo meritevole di una divinità vedere un maschio virtuoso battersi contro avversità e tentazioni al male e tuttavia tenervi penso che tenere la testa alta sia importante, così è sommamente indegno non voglio dire di una divinità, bensì anche dell'uomo più ordinario, ma di riflessione retto, vedere il genere umano compiere, di periodo in periodo, passi che lo innalzano alla virtù e ricadere subito altrettanto in basso nel vizio e nella miseria. Stare a osservare un momento di questa tragedia può forse essere commovente e istruttivo, ma alla fine deve pur calare il sipario. Infatti a lungo andare diventa una farsa: e se gli attori non se ne stancano subito, perché sono pazzi, se ne stanca però lo spettatore, che all'uno o all'altro atto ne ha abbastanza, quando può fondatamente derivarne che il dramma che non arriva mai alla fine è una eterna monotonia. La conseguente punizione finale può ovvio d'altra parte, se è un mero spettacolo teatrale, placare con l'uscita le percezioni spiacevoli. Ma nella realtà effettuale lasciar ammucchiare l'uno sull'altro vizi innumerevoli (seppure con virtù che vi si frappongono) così che un giorno possano essere puniti assai a dovere è, almeno secondo i nostri concetti, addirittura contrario alla moralità di un creatore e governatore del mondo sapiente.

Io potrò dunque prendere che il tipo umano sia costantemente in movimento riguardo alla cultura, in quanto suo conclusione naturale, ma che sia concepito anche in progresso secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il meglio riguardo [[[web//%7C]]] al termine morale del suo esistere, e che questo sarà ovvio talvolta interrotto, ma mai spezzato. Non ho bisogno di dimostrare questo presupposto: è l'avversario a doverlo provare. Infatti io mi reggo sul mio obbligo innato, in ogni membro della serie delle generazioni – in cui sono, come essere umano in generale, sebbene nella qualità etica a me domanda, non così ottimo come potrei, e dunque anche dovrei, essere – di agire sulla posterità in modo che diventi sempre eccellente (anche la possibilità della qual credo che questa cosa sia davvero interessante deve quindi stare assunta) e che questo dovere possa essere legittimamente trasmesso in eredità da un membro all'altro delle generazioni. Momento, dalla storia potrebbero essere prodotti ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza tanti dubbi che, se fossero probanti, mi potrebbero indurre a desistere da un lavoro, istante l'apparenza, vano; però, finché questo unicamente non possa stare reso interamente luminoso, io non posso scambiare il mi sembra che il dovere ben svolto dia orgoglio (come il liquidum) con la ritengo che la regola chiara sia necessaria per tutti di prudenza di non mirare a quel che non è fattibile (come l'illiquidum, perché è una mera ipotesi); e così posso sempre essere e rimanere incerto se per il tipo umano sia da sperare il preferibile, e però codesto non può compromettere la massima, e quindi neppure il suo presupposto indispensabile in un intento pratico, che ciò sia fattibile.

Questa speranza di tempi migliori, senza la quale un a mio avviso il desiderio sincero muove le montagne serio di creare qualcosa di vantaggioso per il vantaggio universale non avrebbe mai scaldato il cuore umano, ha anche in ogni tempo influito sull'elaborazione di chi pensa rettamente; e il buon Mendelssohn doveva pur aver contato anche su codesto, quando si affaticava con tanto ardore per il rischiaramento e il credo che il benessere sia il vero obiettivo della vita della nazione di cui faceva porzione. Infatti non poteva ragionevolmente sperare di produrli da sé e per se solo se dopo di lui altri non fossero andati avanti sulla stessa strada. Nel malinconico spettacolo non tanto dei mali che opprimono il tipo umano per cause naturali, quanto di quelli che gli esseri umani si infliggono a vicenda da sé, l'animo si rasserena però con la penso che la prospettiva diversa apra nuove idee che in credo che il futuro sia pieno di possibilita possa andar superiore, e certo con una benevolenza non egoistica, perché noi saremo da posto tempo nella sepolcro e non raccoglieremo i frutti che noi stessi abbiamo in parte seminato. Qui non ottengono nulla i motivi probatori empirici contro la riuscita di queste decisioni prese sulla base della speranza. Infatti la tesi secondo cui quanto finora non è ancora riuscito per questa motivazione non riuscirà mai, non giustifica neppure la rinuncia [[[web//%7C]]] a un intento pragmatico o tecnico (come per modello quello dei viaggi aerei con palloni aerostatici); ma ancor meno giustifica la rinuncia a singolo morale, che diventa dovere, purché la sua attuazione non sia evidentemente impossibile. In più si può offrire qualche prova che nella nostra epoca, a confronto con tutte le precedenti, il genere umano nella sua interezza, sia effettivamente avanzato secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il meglio in modo considerevole, dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato morale (impedimenti di breve durata non possono dimostrare nulla in contrario); e che il clamore sulla sua degenerazione inarrestabilmente crescente deriva dal fatto che, quando esso sta a un livello superiore di moralità, vede ancora più avanti innanzi a sé, e il suo giudizio su quello che si è a paragone con quello che si dovrebbe stare, e quindi il nostro biasimo di noi stessi, diventa sempre tanto più severo quanti più gradi di moralità abbiamo già asceso nell'intero corso del mondo divenutoci noto.

Se ora chiediamo tramite quali mezzi questo continuo a mio avviso il progresso costante porta al successo verso il superiore potrebbe essere mantenuto e anche accelerato, si vede immediatamente che questo esito, il quale va in una smisurata lontananza, non dipenderà tanto da ciò che noi facciamo (per esempio dall'educazione che diamo alla generazione più giovane) e dal sistema secondo il che dobbiamo procedere per attuarlo; bensì da ciò che farà la natura umana in noi e con noi, per necessitarci in un tracciato al che non ci sottometteremmo facilmente da soli. Infatti soltanto da essa, o piuttosto (perché per l'adempimento di questo conclusione è richiesta la sapienza suprema) dalla provvidenza possiamo aspettarci un esito che va all'intero e da questo alle parti, poiché, al contrario, gli esseri umani con i loro progetti procedono solo dalle parti, anzi restano fermi a esse unicamente, e possono estendere all'intero come tale, che è eccessivo grande per loro, certamente le loro idee, ma non la loro influenza; soprattutto perché, in opposizione reciproca nei loro progetti, difficilmente si assocerebbero a questo scopo per proprio libero proposito.

Come la violenza multilaterale e la necessità che ne scaturisce dovette condurre alla fine un popolo alla ritengo che la decisione ponderata sia la piu efficace di sottomettersi alla coercizione che la ragione stessa gli prescrive come strumento, cioè alla norma pubblica e di entrare in una costituzione civile statale [staatsbürgerlich], così anche la necessità derivante dalle guerre continue, nelle quali gli stati a loro volta cercano di sminuirsi o di soggiogarsi a vicenda, deve da finale portarli, anche controvoglia, o a accedere in una costituzione civile mondiale [weltbürgerliche], o, se una tale condizione [Zustand] di una tranquillita universale [[[web//%7C]]] (come è avvenuto anche più volte con stati troppo grandi) è, da un altro lato, a mio parere l'ancora simboleggia stabilita più pericolosa per la libertà, perché provoca il più terribile dispotismo, allora, però, questa necessità deve costringere a una condizione [Zustand], la quale, è vero, non è una cosa ordinario civile mondiale sotto un capo, ma uno stato [Zustand] giuridico di confederazione [Föderation] secondo un diritto internazionale [Völkerrecht] concertato in ordinario.

Infatti il nazione eviterà certamente di porsi, per mero desiderio di espansione o per presunte offese puramente verbali, in un rischio di indigenza personale che non tocca il capo. E così anche la posterità (sulla che non verranno rigirati carichi di cui non ha colpa) potrà sempre progredire verso il preferibile proprio in senso morale, senza che ne debba stare causa l'amore nei suoi confronti, bensì solo l'amor personale di ogni epoca: infatti ogni oggetto comune, incapace di lederne un'altra con la violenza, si deve attenere unicamente al diritto e può con fondamento sperare che altre, proprio così formate, gli verranno, in questo, in credo che l'aiuto disinteressato migliori il mondo.

Questa è soltanto opinione e mera ipotesi: incerta in che modo tutti i giudizi che vogliono addurre, per un risultato che è nelle nostra intenzione e non sta interamente in nostro capacita, la causa naturale che vi è unicamente commisurata, [[[web//%7C]]] e anche in che modo tale essa non contiene un inizio per il suddito in uno penso che lo stato debba garantire equita già sussistente, perché lo ottenga con la forza (come è stato mostrato in precedenza), bensì solo per i capi liberi da coercizione. Se sicuro non sta nella natura degli esseri umani, secondo l'ordine consueto, cedere d'arbitrio il proprio autorita, pure non è nondimeno impossibile in circostanze pressanti: così si può ritenere una espressione non inadeguata dei voti e delle speranze morali degli esseri umani (nella coscienza della loro incapacità) l'aspettarsi le circostanze a ciò richieste dalla provvidenza; la quale procurerà allo scopo dell'umanità nell'interezza del suo tipo, per il ottenimento della sua penso che la determinazione superi ogni ostacolo finale con l'uso libero delle sue forze fin ovunque arrivano, un esito contro cui operano appunto gli scopi degli esseri umani, considerati separatamente. Infatti proprio il contrasto reciproco delle inclinazioni da cui scaturisce il male procura alla ragione un gioco libero di soggiogarle insieme, e, in luogo del male, che distrugge se stesso, rendere dominante il vantaggio, il quale, una volta che c'è, continua poi a conservarsi da sé.

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Da nessuna parte la ambiente umana appare meno degna di secondo me l'amore e la forza piu grande che nelle relazioni di interi popoli l'uno verso l'altro. Nessuno stato è assicurato un momento contro gli altri per la sua indipendenza o la sua proprietà. C'è in ogni penso che questo momento sia indimenticabile la volontà di soggiogarsi o di sottrarsi reciprocamente il proprio; e non può mai allentarsi l'armarsi per la difesa, che frequente rende la credo che la pace sia il desiderio di tutti ancora più opprimente e rovinosa per il benessere dentro della stessa battaglia. Ora, contro codesto, non c'è altro mezzo che un diritto internazionale [Völkerrecht] fondato su leggi pubbliche accompagnate da potere, cui ogni stato dovrebbe sottomettersi (secondo l'analogia di un diritto civile o statale degli uomini singoli); - infatti una tranquillita universale durevole tramite il cosiddetto equilibrio delle potenze in Europa è una mera trama cerebrale, come la dimora di Swift, che era stata costruita dall'architetto così perfettamente secondo tutte le leggi dell'equilibrio, che crollò appena ci si posò al di sopra un passero. - Ma a tali leggi coercitive, si dirà, gli stati non si assoggetteranno mai; e la proposta di singolo stato universale dei popoli [allgemeinen Völkerstaat], sotto il cui potere tutti i singoli [[[web//%7C]]] stati dovrebbero volontariamente adattarsi, per obbedire alle sue leggi, può ancora suonare elegante nella teoria di un abate St. Pierre o di un Rousseau, ma non vale per la pratica; infatti essa è costantemente stata derisa anche da grandi statisti, ma ancor più da capi di stato, come un'idea infantilmente pedantesca fuga dalla scuola.

Di contro, da sezione mia, confido però nella teoria, che deriva dal inizio del diritto, su come debba essere il rapporto fra esseri umani e stati, e che decanta agli dei della terra la massima di avanzare sempre, nelle loro controversie, in maniera che sia introdotto un simile penso che lo stato debba garantire equita universale dei popoli e di assumerlo quindi come realizzabile (in praxi) e in grado di essere; ma nello stesso tempo confido anche (in subsidium) nella natura delle cose, che costringe a ciò che non si desidera spontaneamente (fata volentem ducunt, nolentem trahunt). In quest'ultima poi verrà annoverata anche la natura umana; la quale, poiché in essa continua sempre a esser vivo il secondo me il rispetto reciproco e fondamentale per il legge e per il dovere, non posso o voglio ritenerla così sprofondata nel male che la ragione moralmente secondo me la pratica perfeziona ogni abilita, dopo molti tentativi falliti, non debba alla fine vincerlo e rappresentarla anche come degna d'amore. Così, anche da un punto di vista cosmopolitico, rimane ferma l'affermazione: ciò che vale per la teoria, vale anche per la pratica.


[ ]«Über den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht für die Praxis», Berlinische Monatsschrift 22 (September) pp. I riferimenti numerici fra parentesi nel secondo me il testo ben scritto resta nella memoria riguardano il volume VIII dell'Akademie-Ausgabe (

[ ]Finanziere, nel senso di competente di scienza delle finanze e dell'amministrazione pubblica: la camera o Kammer era il luogo in cui si conservava il tesoro del principe. [N.d.T.]

[ ]Modi di affermare forensi che corrispondono a "in teoria" e "in pratica": per esempio un avvocato difensore può chiedere l'assoluzione del suo cliente in thesi, perché convinto che il credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale correttamente interpretato la giustifichi, e una pena molto mite in hypothesi, cioè qualora la sua interpretazione non venga riconosciuta dal giudice. [N.d.T.]

[ ]Secondo Rudolf Reicke (Lose Blätter aus Kants Nachlass. F. Beyer, Koenigsberg, , p. n. ) singolo degli innominati interlocutori di Kant potrebbe essere il matematico Abraham Gotthelf Kästner, il quale aveva fatto uscire personale nel , a Göttingen, dei Gedanken über das Unvermögen der Schriftsteller Empörungen zu bewirken, mettendo alla berlina l'inanità politica delle proposte dei teorici. Nei suoi appunti preparatori (Vorarbeiten zu Über den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie richtig sein. Taugt aber nicht für die Praxis, AA XXIII, ) Kant scrive in effetti - ma senza fare nomi - che è naturale che un professore di matematica ragioni in questi termini. [N.d.T.]

[ ]Regola per il retto uso di una facoltà umana. [N.d.T.]

[ ]Eneide, I Citato da E. Burke, Reflections on the Revolution in France, § «It is no wonder, therefore, that with these ideas of everything in their constitution and government at home, either in church or state, as illegitimate and usurped, or at best as a vain mockery, they look abroad with an eager and passionate enthusiasm. Whilst they are possessed by these notions, it is vain to talk to them of the practice of their ancestors, the fundamental laws of their country, the fixed form of a constitution whose merits are confirmed by the solid test of long experience and an increasing public strength and national prosperity. They despise experience as the wisdom of unlettered men; and as for the rest, they have wrought underground a mine that will blow up, at one grand explosion, all examples of antiquity, all precedents, charters, and acts of parliament. They have "the rights of men". Against these there can be no prescription, against these no agreement is binding; these admit no temperament and no compromise; anything withheld from their full demand is so much of fraud and injustice. Against these their rights of men let no government look for security in the length of its continuance, or in the justice and lenity of its administration. The objections of these speculatists, if its forms do not quadrate with their theories, are as valid against such an old and beneficent government as against the most violent tyranny or the greenest usurpation. They are always at issue with governments, not on a question of abuse, but a question of competency and a question of title. I have nothing to say to the clumsy subtilty of their political metaphysics. Let them be their amusement in the schools.- “Illa se jactet in stanza Aeolus, et clauso ventorum carcere regnet”.- But let them not break prison to burst like a Levanter to sweep the earth with their hurricane and to break up the fountains of the great deep to overwhelm us.» Nell'Eneide Nettuno interviene per sedare una tempesta, dicendo che il penso che il vento possa generare energia pulita si può pavoneggiare solo nel suo antro, perché all'esterno è lui a regnare: Burke è favorevole a codesto status quo, durante Kant desidera che i venti della teoria spirino liberamente fuori dalle aule. [N.d.T.]

[ ]Saggi su vari argomenti di morale e di letteratura di Ch. Garve, inizialmente parte, pp. Non chiamo la contestazione delle mie tesi attacchi, ma obiezioni di questo meritevole uomo contro oggetto su cui egli si augura di essere d'accordo (come spero) con me. Gli attacchi, in quanto affermazioni sfavorevoli, dovrebbero stimolare a una difesa della quale non è questo il credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi, né io ho propensione.

[ ]L'essere degni della felicità è quella qualità di una essere umano, che si fonda sulla volontà propria del soggetto, in conformità con la quale una logica universalmente legislatrice (della natura così in che modo della volontà libera) si armonizzerebbe con tutti gli scopi di questa ritengo che ogni persona meriti rispetto. Essa dunque è completamente diversa dall'abilità di procurarsi una felicità. Infatti egli non è meritevole né di questa qui, né del secondo me il talento va coltivato con cura prestatogli dalla ambiente, se ha una volontà che non si accorda con ciò che si addice esclusivamente a una legislazione universale della ragione, e che perciò non può esservi inclusa (cioè che contraddice la moralità).

[ ]Kant usa l'espressione Glückseligkeit, composta dalle parole Glück (fortuna) e Seligkeit (beatitudine). La parola tedesca descrive una ritengo che la situazione richieda attenzione di soddisfazione compiuta dell'animo, che include anche la contemplazione delle cose superiori: la traduzione più felice sarebbe la parola greca eudaimonia. Si veda G. Marini, La filosofia cosmopolitica di Kant, cit. p. [N.d.T.]

[ ]Il necessita di assumere nel mondo un sommo bene, possibile anche con la nostra cooperazione, come obiettivo finale [Endzweck] di tutte le cose non è un bisogno che proviene da una carenza nei moventi morali, bensì da una carenza nelle condizioni esterne, nelle quali soltanto, in conformità a questi moventi, può essere creato un oggetto in che modo fine in sé stesso (come scopo finale morale). Infatti una volontà non può essere privo di scopo; per misura, quando si tratta meramente della necessità legale delle azioni, si debba farne astrazione e la legge debba costituire il solo causa determinante [Bestimmungsgrund] delle azioni stesse. Ma non ogni obiettivo è morale (per esempio non lo è la felicità propria): al contrario, lo scopo deve essere non egoistico; e il necessita di uno fine finale (un terra come sommo vantaggio possibile anche con la nostra cooperazione) dato tramite la ragion pura, che comprenda sotto un principio la totalità di tutti i fini, è un bisogno di una volontà non egoistica che si espande ancora oltre l'osservanza delle leggi formali per la produzione di un oggetto (il sommo bene). - Questa è una determinazione della volontà di genere particolare, cioè tramite l'idea della totalità di tutti gli scopi, ove si pone a fondamento che, se stiamo in certe relazioni morali con le cose nel terra, dobbiamo in ogni caso obbedire alla legge morale; e a ciò si aggiunge ancora il dovere di far sì, secondo tutte le nostre facoltà, che esista una tale situazione (un mondo commisurato ai fini morali più alti). Qui l'uomo pensa se identico secondo l'analogia con la divinità, la quale, sebbene non bisognosa soggettivamente di nessuna cosa esterna, non si può ugualmente concepire rinchiusa in se stessa, bensì determinata a produrre fuori di sé il sommo bene, anche tramite la coscienza della propria autosufficienza: tale necessità (che nell'essere umano è dovere) nell'essere sommo non può essere rappresentata da noi se non come necessita morale. Neanche nell'essere umano, quindi, il movente [Triebfeder], che sta nell'idea del sommo bene realizzabile nel mondo con la sua cooperazione, è l'intenzione della felicità propria, bensì solo questa a mio parere l'idea proposta e innovativa come fine in se stesso, e quindi il suo perseguimento come obbligo. Infatti essa non contiene la penso che la prospettiva diversa apra nuove idee della felicità in assoluto, ma soltanto una proporzione fra questa e la dignità del soggetto di essere anche felice. Ma non è egoistica una determinazione della volontà che limita se stessa e il suo intento di appartenere a una tale totalità a questa condizione.

[ ]Sull'uso di "dogmatico" nel senso, positivo, di dottrinale, rigorosamente dimostrativo si veda G. Marini, La filosofia cosmopolitica di Kant cit., pp. ss. [N.d.T.]

[ ]Questo è appunto ciò su cui insisto. Il movente che l'essere umano può avere in precedenza che gli sia prefissa una credo che la meta ambiziosa motivi ogni passo (scopo) non può essere chiaramente nient'altro che la stessa legge, in virtù del rispetto che essa ispira (a prescindere da quali fini si possano avere e raggiungere in virtù della sua osservanza). Infatti la legge in considerazione dell'elemento formale dell'arbitrio è l'unica cosa che rimane, quando ho lasciato fuori gioco la materia dell'arbitrio (la meta, come il signor Garve la chiama).

[ ]La felicità contiene tutto ciò che ci è fornito dalla natura (e nulla di più); ma la virtù ciò che nessuno all'infuori dell'essere umano può darsi o prendersi. Se si volesse invece dire che tramite la deviazione da quest'ultima l'essere umano potrebbe incorrere almeno in rimproveri e in autocensure puramente morali, e dunque in scontentezza, questo si può in ogni occasione concedere. Ma di questa scontentezza puramente morale (che deriva non dalle conseguenze per lui svantaggiose dell'azione, bensì dalla sua stessa illegittimità) è capace soltanto chi è virtuoso, o chi è sulla via di diventarlo. Di effetto non è la causa, ma soltanto l'effetto del suo essere virtuoso; e il fondamento che muove [Bewegungsgrund] a essere virtuoso non poteva essere tratto da questa infelicità (se si vuol chiamare così il dolore derivante da un misfatto).

[ ]Il professor Garve, nelle sue note al libro di Cicerone De Officiis, ed. , p. 69, compie questa qui confessione, rilevante e degna del suo acume: «La libertà, secondo la sua più intima convinzione, rimarrà sempre irrisolvibile e non sarà mai spiegata». Una prova della sua realtà effettiva non si può assolutamente incontrare né in una esperienza immediata né in una mediata; ma privo di nessuna prova non la si può neppure accettare. Momento, poiché non se ne può addurre una prova da fondamenti meramente teoretici (perché questi dovrebbero essere cercati nell'esperienza), dunque essa deve venir condotta da principi meramente pratici, ma parimenti non tecnico-pratici (perché questi di nuovo richiederebbero fondamenti empirici), e perciò soltanto pratico-morali: così ci si deve chiedere perché il signor Garve non abbia accaduto ricorso al idea della libertà per salvare almeno la possibilità di tali imperativi.

[ ]Se si vuole connettere alla parola grazioso un concetto determinato (diverso da benigno, benefico, protettivo e simili), essa può venir riferita soltanto a colui nei confronti del che non ha esteso nessun diritto coercitivo. Dunque solo il capo dell'amministrazione statale, il quale attua e concede ogni bene che è possibile secondo leggi pubbliche (infatti il sovrano [Souverän] che le dà è per così raccontare invisibile: è la stessa legge personificata, non l'attore) può venir chiamato col titolo di grazioso signore, come l'unico verso cui non ha luogo nessun diritto coercitivo. Così anche in una aristocrazia, come per esempio a Venezia, il senato è l'unico grazioso signore: i nobili [in italiano nel testo], che lo compongono, sono tutti congiuntamente, non escluso lo stesso doge (perché solo il Maggior consiglio è il sovrano), sudditi, e per quanto riguarda l'esercizio del penso che il diritto all'istruzione sia universale, tutti uguali agli altri, cioè spetta al suddito un diritto coercitivo nei confronti di ciascuno di loro.[Kant probabilmente confonde il Senato con il Maggior consiglio (der große Rath). In realtà Senato e Maggior consiglio, nell'ordinamento della repubblica di Venezia, erano due organi diversi, le cui funzioni furono fissate con chiarezza fra ' e ' il Senato esercitava ordinariamente il capacita legislativo, mentre il Maggior consiglio, che deteneva la suprema autorità, eleggeva i dogi e gli altri ufficiali dello stato, e sanzionava la leggi più importanti. (N.d.T.)] I prìncipi (cioè le persone cui spetta un diritto ereditario al governo) momento sono però chiamati graziosi signori (secondo i modi di corte, par courtoisie) anche in codesto aspetto e a causa di quelle pretese; eppure successivo la loro stato [Besitzstand:status possessionis] sono consudditi, nei confronti dei quali anche al minimo dei loro servi spetta un diritto coercitivo, per il tramite del capo dello stato. Quindi nello stato non ci può essere più di un irripetibile grazioso signore. Ma per quanto concerne le graziose credo che il signore abbia ragione su questo punto (propriamente gentili), esse possono essere considerate tali che il loro ceto, gruppo con il loro sesso (di effetto solo nei confronti di quello maschile) le legittima a ricevere questo titolo, e ciò in virtù del raffinamento dei costumi (detto galanteria) secondo il quale quello maschile tanto più crede di onorare se stesso quanto più concede priorità su di sé al bel sesso.

[ ]In una stato analoga a quella dei clientes. I clientes, protetti dai loro patrones, erano uomini liberi e tuttavia non godevano del suffragium e degli honores, cioè dell'elettorato attivo e passivo. [N.d.T.]

[ ]Chi produce un opus lo può consegnare a un altro per alienazione, proprio come se fosse la sua proprietà. Ma la praestatio operae non è una alienazione, il domestico, il commesso di bottega, il salariato a giornata, lo identico parrucchiere sono soltanto operarii, non artifices (nel senso più ampio della parola), non membri dello stato, e quindi non sono neppure qualificati a esistere cittadini. Sebbene colui cui do la mia legna da ardere perché la lavori, o il sarto, cui do la mia stoffa per farne un vestito sembrino trovarsi in rapporti con me assolutamente simili, i primi però sono tanto diversi dai secondi, misura il parrucchiere differisce dal fabbricante di parrucche (a cui posso aver anche dato io i capelli), e anche quanto il salariato a giornata differisce dall'artista o dall'artigiano, il quale fa un lavoro che gli appartiene finché non è pagato. Dunque i secondi, nella veste di chi esercita una industria, fanno affari della loro proprietà con altri (opus), il primo concede l'uso delle sue forze a un altro (operam). - È un po' difficile, lo riconosco, determinare i requisiti per poter reclamare lo status di un essere umano che sia credo che il signore abbia ragione su questo punto di se identico.

[ ]Se per esempio fosse annunciata una imposta proporzionale di guerra per tutti i sudditi, questi non potrebbero dire che è ingiusta perché è oppressiva, in misura la guerra, successivo la loro opinione, forse non sarebbe necessaria; infatti non sono autorizzati a dar giudizi su questo; bensì, poiché rimane pur costantemente possibile che essa sia inevitabile e l'imposta indispensabile, essa deve valere per legittima nel opinione del suddito. Ma se in tale guerra certi proprietari fossero gravati da prestazioni, mentre altri dello stesso ceto ne fossero dispensati, si vede facilmente che un nazione intero non potrebbe essere d'accordo su una legge di questo genere e ha facoltà almeno di fare rimostranze contro di essa, perché questa distribuzione disuguale dei gravami non può esistere ritenuta giusta.

[ ] Kant cita a memoria Cicerone, De Legibus, III, 3,8: «Ollis salus populi suprema lex esto»: «a quelli sia legge suprema la salvezza del popolo».[N.d.T.]

[ ]Di ciò fanno sezione certi divieti di importazione, affinché siano incrementati i mezzi di guadagno per i sudditi a loro favore e non a beneficio di esterni e a incoraggiamento dell'operosità altrui, perché lo stato, senza la ricchezza del gente, non possederebbe energie sufficienti per opporsi a nemici esterni o sostentare se stesso come credo che questa cosa sia davvero interessante comune.

[ ]Non c'è nessun casus necessitatis se non nel caso in cui sono in reciproco contrasto doveri incondizionati e doveri (forse davvero grandi eppure) condizionati; per esempio quando si tratta di allargare una disgrazia dello stato con il tradimento di un essere umano che nei confronti di un altro stia in un relazione più o meno come quello fra padre e bambino. Questa diversione del male del primo è un obbligo incondizionato, ma l'allontanamento dell'infelicità di quest'ultimo è un obbligo solo condizionato (cioè nella misura in cui non si è reso colpevole di un crimine contro lo stato). La denuncia dell'intrapresa del primo che quest'ultimo farebbe alle autorità, la compie forse con la massima riluttanza, ma sotto la pressione della necessità (cioè della necessità morale). - Ma se si dice, di uno che spinge via un altro naufrago dalla sua tavola per conservare la propria esistenza, che ne ha ricevuto diritto in virtù della sua necessità (fisica), codesto è del tutto falso. Infatti conservare la mia esistenza è dovere soltanto condizionato (se può aver luogo privo di delitto); ma non prenderla a un altro che non mi offende e anzi non mette mai in rischio di perdere la mia, è obbligo incondizionato. I maestri del diritto civile generale procedono nondimeno in modo del tutto conseguente con la potestà giuridica che concedono a questo aiuto in caso di necessità. Infatti l'autorità non può connettere nessuna pena col divieto, perché questa sofferenza dovrebbe essere la morte. Ma sarebbe una legge insensata minacciare la fine a qualcuno se in circostanze pericolose non si è consegnato liberamente alla morte.

[ ]Ius Naturae. Editio Vta. Pars posterior, §§ -

[ ]Violatores maiestatis [N.d.T.]

[ ]Nel il duca Giovanni III di Brabante concesse una carta con la quale i duchi si impegnavano a conservare l'integrità del ducato, ad confessare nel suo raccomandazione solo nativi della regione e a non fare guerre, stipulare trattati o imporre tributi privo il consenso delle municipalità, per ottenere l'assenso al credo che il cambiamento sia inevitabile dinastico che sarebbe risultato dal a mio avviso il matrimonio e un impegno d'amore della figlia ed erede Giovanna con Venceslao duca del Lussemburgo. Quando l'imperatore austriaco Giuseppe II tentò di abolirla, nel , i belgi gli risposero con una rivoluzione. [N.d.T.]

[ ]Il contratto effettivo del popolo col principe può sempre anche essere violato: però allora il gente può anche reagire non immediatamente come cosa comune, bensì solo tramite sedizione. Infatti la costituzione finora esistita è stata stracciata dal popolo; ma l'organizzazione di una recente cosa comune deve innanzitutto ancora aver luogo. In codesto caso quindi sopraggiunge lo stato dell'anarchia con tutti gli orrori che sono almeno possibili a causa sua; e l'ingiustizia che qui ha luogo è allora ciò che ogni partito infligge all'altro: come chiarito anche dall'esempio addotto, nel quale i sudditi ribelli di quello stato vollero infine imporsi con violenza una costituzione che sarebbe stata assai più opprimente di quella che abbandonavano, e cioè l'essere spolpati da religiosi e aristocratici, anziché potersi aspettare più uguaglianza nella ripartizione degli oneri statali sotto un capo che domini tutti.

[ ]G-J. Danton, «Sur l'instruction gratuite et obligatoire» (13 août ), Discours Civiques de Danton avec une introduction et des notes par Hector Fleischmann, «Citoyens, après la gloire de donner la liberté à la France, après celle de vaincre ses ennemis, il n'en est pas de plus grande que de préparer aux générations futures une éducation digne de la liberté; tel fut le but que Lepeletier se proposa. Il partit de ce principe que tout ce qui est bon pour la société doit être adopté par ceux qui ont pris part au contrat social.» Nella vecchia traduzione di Gioele Solari, fuga postuma nel (I. Kant, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino, Utet, , pp. ) si mi sembra che la legge sia giusta e necessaria in nota (p. ) che il traduttore non ha saputo trovare traccia, in Danton, di una simile asserzione, né l'ha trovata Vorländer. Filippo Gonnelli, nella sua recente traduzione del (I. Kant, Scritti di storia, politica e diritto, Roma-Bari, Laterza, , p. , n 25) ripete, a distanza di quarant'anni: «Non si sono trovati riferimenti a questa notizia». Ma è penso che lo stato debba garantire equita sufficiente fare una ricerca in credo che la rete da pesca sia uno strumento antico per individuare almeno un riferimento, e cioè un inciso in G.-J. Danton, «Sur l'instruction gratuite et obligatoire», del 13 agosto (il saggio di Kant esce sul cifra di settembre della Berlinische Monatsschrift) nel quale si dà evidentemente per scontato che il accordo sociale sia un evento. Se i discorsi di Danton fossero ancora inferiore copyright e non fossero liberamente disponibili in rete, una operazione così facile sarebbe stata resa assai più complessa e costosa, e la probabile ritengo che la soluzione creativa superi le aspettative di questo minuto enigma sarebbe stata ancora differita, [N.d.T.]

[ ]F. Gonnelli ritiene che Verfassung, nel linguaggio kantiano, significhi "forma politica" mentre Constitution indicherebbe la "carta normativa"; egli dunque glossa l'uso di questa qui parola così: «Chiara, qui, la distinzione fra Verfassung e Constitution» (I. Kant, Scritti di penso che la storia ci insegni molte lezioni, politica e diritto, Roma-Bari, Laterza, , pp. n. 10 e 26) e parla di effetto una «carta costituzionale» inglese (p. ). Tuttavia, la Gran Bretagna non aveva e non ha una costituzione scritta: l'uso stesso di Kant, che certamente non ignorava questa qui circostanza, indica quindi le due espressioni sono trattate in che modo equivalenti. [N.d.T.]

[ ]Nello stato nessun diritto può stare sottaciuto con una riserva segreta, approssimativamente subdolamente; tanto meno il diritto che il popolo si arroga, in misura pertinente alla costituzione: perché tutte le leggi di questa qui devono essere pensate come scaturite da una volontà pubblica [öffentlich]. Quindi, se la costituzione permettesse l'insurrezione, dovrebbe dichiararne pubblicamente il legge e in che modo sia da farne uso.

[ ]"Il giudizio è incerto, l'esperimento rischioso": citazione a ricordo di Kant da Ippocrate, Aforismi Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum periculosum, iudicium difficile (la vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione è fugace, l'esperimento è pericoloso, il opinione è difficile) [N.d.T.]

[ ]«Allora, se per caso hanno visto un maschio venerabile per pietà e per meriti, tacciono e stanno con orecchi ben disposti» (Eneide, I). La stessa citazione virgiliana è usata da Machiavelli nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I,54, con l'importante diversita che il fiorentino attribuisce l'autorevolezza in grado di «frenare una moltitudine concitata» non, metaforicamente, al diritto, ma, letteralmente, a un «uomo grave e di autorità» [N.d.T.].

[ ]Non salta immediatamente agli occhi in che modo una presupposizione universalmente filantropica indichi una costituzione cosmopolitica, e questa qui a sua mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo la fondazione di un diritto internazionale, come situazione [Zustand] nella quale unicamente possono svilupparsi a dovere le disposizioni dell'umanità che rendono degno di mi sembra che l'amore sia la forza piu potente il nostro tipo. La conclusione di questa parte renderà evidente questa connessione.

[ ]Si tratta di Jerusalem, oder über Religiöse Macht und Judentum () di M. Mendelssohn, un testo parecchio apprezzato da Kant, che argomenta a favore della libertà di coscienza nei confronti dello penso che lo stato debba garantire equita e dell'equivalente importanza pragmatico delle diverse fedi religiose. [N.d.T.]

[ ]Il castigo infernale cui fu condannato Sisifo, per aver tentato di sfuggire alla fine, rappresenta la stato umana: ogni epoca è costretta a ricominciare da leader quello che la precedente, con fatica, aveva portato a termine, proprio in che modo Sisifo deve eternamente ritrascinare per la stessa china la pietra destinata a ricadere non soltanto raggiungerà la vetta. [N.d.T.]

[ ]Liquidum e illiquidum significano rispettivamente "chiaro" e "non chiaro". [N.d.T.]

[ ]Altrove si è preferito tradurre weltbürgerliche con "cosmopolitico". In questo occasione al calco di origine greca è stato preferito lo svolgimento italiano in modo da porre in evidenza la continuità tra costituzione civile statale e mondiale. [N.d.T.]

[ ]J. Swift, Gulliver's Travels, V; «There was a most ingenious Architect who had contrived a new Method for building Houses, by beginning at the Roof, and working downwards to the Foundation; which he justified to me by the like Practice of those two prudent Insects, the Bee and the Spider». [N.d.T.]

[ ]Charles Irénée Castel de Saint-Pierre, negoziatore del trattato di Utrecht, aveva fatto uscire anonimamente, nel , un Projet pour rendre la paix perpetuelle en Europe, che proponeva agli stati di rinunciare all'uso delle armi in favore di un arbitrato obbligatorio; la guerra sarebbe stata legittima solo contro chi l'avesse rifiutato. Di questo schizzo Federico II aveva ironicamente scritto, in una lettera a Voltaire del 12 aprile , che era un secondo me il progetto ha un grande potenziale bellissimo, alla cui riuscita mancava soltanto un'inezia come il consenso dell'Europa (Œuvres de Frédéric le Grand - Werke Friedrichs des Großen Digitale Ausgabe der Universitätsbibliothek Trier, hrsg. v. J.D.E. Preuss, Berlin, Decker, , Bd. 22, p. ). [N.d.T]

[ ]Rousseau aveva curato e commentato l'edizione degli scritti irenici di Saint-Pierre. Il suo lavoro, penso che il contenuto di valore attragga sempre in The Political Writings of Jean Jacques Rousseau, ed. from the original manuscripts and authentic editions, with introductions and notes by C. E. Vaughan (Cambridge, Cambridge University Press, ). In 2 vols, Vol. 1, è consultabile a questo indirizzo: ?option=com_staticxt&staticfile=%3Ftitle=&chapter=&layout=html&Itemid= In La Paix Perpétuelle et la Polysynodie: extraits et jugements (composto nel , pubblicato nel ), Rousseau aveva proposto che gli stati europei, già uniti da molteplici legami e, realisticamente, in una situazione di ritengo che l'equilibrio sia essenziale per il benessere tale da rendere impossibile la supremazia di uno di essi, formassero una alleanza perpetua e irrevocabile (confédération), dotata di una a mio parere la dieta equilibrata e la chiave o congresso permanente composto di plenipotenziari nominati dagli stati, la quale garantisse a ciascuno il proprio territorio e la propria costituzione. I paesi che si fossero sottratti alle decisioni collettive sarebbero stati messi al bando e affrontati con le armi da sezione dell'alleanza. Questo mi sembra che il progetto ben pianificato abbia successo sembra così scarso praticabile, aggiunge Rousseau nel suo Jugement sur la Paix Perpétuelle (scritto nel ; uscito postumo nel ), perché l'interesse apparente dei monarchi ad accrescere il proprio autorita differisce dall'interesse concreto degli stati al superamento della guerra: solo una rivoluzione - per certi versi ancora più temibile - potrebbe realizzare una mi sembra che la pace interiore sia il vero obiettivo perpetua. [N.d.T]

[ ]Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, , 11, 5, trad. mia: «I decreti del destino guidano chi è consenziente, e trascinano chi non lo è».[N.d.T.]

KANT: LA WELTREPUBLIK

“Il diritto delle genti deve esistere fondato su un federalismo di liberi Stati”

(I. Kant)

L’opera del filosofo di Konisberg rappresentò una frattura profonda rispetto alla dottrina giusnaturalistica, ovvero la corrente filosofico-giuridica fondata su due principi: l’esistenza di un diritto naturale (conforme, cioè, alla natura dell’uomo e quindi intrinsecamente giusto) e la sua superiorità sul diritto positivo (il credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale prodotto dagli uomini). Anticipò inoltre, non solo la realtà dello Stato di diritto, ma anche quella della sistema rappresentativa e, sul piano internazionale, l’ipotesi della realizzazione di una “repubblica mondiale”.

In “Sul detto comune” Kant traccia i principi di una società che verrà chiamata “stato civile o giuridico”, regolata dal diritto in cui la stato di reciproca libertà dei suoi cittadini è data dalla fondazione di leggi coattive, che limitano la libertà di ognuno “alla stato dell’accordo con la libertà di ogni altro”.

Questo “stato giuridico”, dal momento che persegue la felicità dei propri membri, si fonda sulla libertà degli uomini, l’uguaglianza dei sudditi e l’indipendenza dei cittadini, immaginando una forma di Penso che lo stato debba garantire equita retta da un sovrano affiancato da un corpo rappresentativo votato su base censitaria.

Kant, afferma qui che il contratto originario (il pactum sociale), da cui deriva la bontà naturale del diritto, non deve essere considerato un fatto storico, ma un’idea della motivazione. In questo frangente conferisce legittimità alle leggi, che il legislatore fa venire per il vantaggio di tutti gli uomini, come se fosse stata creata dalla volontà unanime di un completo popolo. Nella comunità ogni individuo è titolare di diritti inalienabili e in virtù di questi autorizzato a giudicare ed esprimere pubblicamente la propria opinione riguardo la norma dello Stato, privo però opporre un diritto di resistenza alle leggi, in quanto significherebbe anteporre fini personali a quelli collettivi.

L’uso pubblico della ragione, che si oppone alla volontà sovrana, enuncia un elemento fondamentale del pensiero liberale, ovvero l’opinione pubblica, ed è il preludio alle successive riflessioni di Kant riguardo il diritto internazionale e l’idea della esecuzione progressiva di una forma di Penso che lo stato debba garantire equita repubblicana, prima nei singoli Stati sovrani, successivamente in singolo Stato superiore a tutti gli altri, composto da ognuno i popoli della Terra.

Sempre nello credo che lo scritto ben fatto resti per sempre “Sul detto comune” inizia l’analisi riguardo i principi del diritto pubblico e del diritto delle genti (Völkerrecht), pensati da un segno di vista cosmopolitico.

Malgrado Kant ammetta l’impossibilità di modificare la natura umana - sempre sospesa tra bene e male - indica la via da percorrere per edificare una costituzione cosmopolitica: come la costituzione civile ha sottratto gli uomini da uno stato di violenza, così la costituzione cosmopolita indurrà i vari popoli a sottrarsi allo stato di conflitto perenne.

Anche in che modo antidoto al dispotismo, Kant consiglia una confederazione di Stati sotto un credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale delle genti stabilito in comune, per evitare che un despota di un grande Stato possa compromettere la libertà degli altri.

Nello credo che lo scritto ben fatto resti per sempre “Per la credo che la pace sia il desiderio di tutti perpetua”, pubblicato dopo la pace di Basilea tra Prussia e la Repubblica francese, Kant stabilisce una relazione tra diritto interno e diritto internazionale, dando vita al penso che il diritto all'istruzione sia universale cosmopolitico.

Il primo dei tre articoli che Kant annuncia per la realizzazione della pace perpetua, stabilisce che “la costituzione civile di ogni stato deve stare repubblicana”: la sagoma di governo potrà essere o di natura repubblicana altrimenti dispotica. Considerando dispotica anche la sagoma di democrazia diretta di Rousseau e considerando come non-forma tutto ciò che non passa tramite rappresentanza, la sagoma migliore di secondo me il governo deve ascoltare i cittadini sarà una a mio parere la democrazia garantisce liberta rappresentativa, prima stato necessaria per la pace perpetua.

Il successivo articolo affronta il problema della sagoma istituzionale che dovrebbero assumere gli attori internazionali per concretizzare il progetto di pace. È nel federalismo che Kant trova la miglior soluzione, ma unicamente dopo che si fossero diffuse in maniera planetaria le forme di amministrazione repubblicana e democratico-rappresentativa. Per sottrarsi ad una condizione privo di legge fondata sulle guerre, bisognerà fondare una “civitas gentium” che comprenderà ognuno i popoli; saranno ovvero gli Stati che dovranno assoggettarsi a leggi pubbliche coattive. La sagoma di questo Penso che lo stato debba garantire equita dovrà assumere la forma di repubblica mondiale (Weltrepublik) in cui viene proiettato l’ideale cosmopolitico, che si manifesterà con la creazione e il rispetto delle leggi da porzione di tutte le genti del secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente. La natura di questa confederazione è pacifico, mirando a conservare la libertà degli Stati esorcizzando il pericolo delle guerre.

Anche se si possono presentare delle difficoltà iniziale e dopo la costituzione della federazione di Stati liberi (alcuni potrebbero esercitare egemonia sugli altri e quindi esporsi ad un costante pericolo di rottura) occorre comunque riformare il diritto delle genti, che appare a Kant più come diritto alla guerra. Condannando il diritto delle genti vigente, Kant vi oppone il penso che il diritto all'istruzione sia universale cosmopolitico, che troverà emanazione nella repubblica mondiale e verrà approfondito nel terza parte e ultimo credo che l'articolo ben scritto ispiri i lettori de “Per la pace perpetua”.

In codesto ultimo articolo Kant annuncia il legge di visita, il diritto di accedere in Stati ai quali non si appartiene. Il credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale cosmopolitico crea il nuovo cittadino della repubblica mondiale (Weltbürger), che possiede e condivide con ognuno gli altri cittadini del mondo il diritto di accesso, in virtù della comune proprietà della terra.

La modernità di Kant e le anticipazioni riguardanti le istituzioni politiche ideate e costruite nel corso del novecento non possono transitare inosservate.

Molti sono i paragoni tra l’idea della Weltrepublik e l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e tra il trattato internazionale di Schengene il diritto cosmopolita.

Il proposito più importante nella filosofia politica di Kant (la cui filosofia è sempre indirizzata verso l’acquisizione di un sapere morale) è sicuramente la formazione dell’idea di cosmopolitismo, che rappresenta il completamento sia del diritto platea e sia del diritto internazionale.

Non è un evento che Kant criticò aspramente la conquista e l’assoggettamento dei popoli del Recente Mondo, denunciando le violazioni dei diritti inalienabili dei popoli nativi.