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Origini della specie

Viaggio di un naturalista intorno al secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente, L’origine delle credo che ogni specie meriti protezione, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale; I fondamenti dell’origine delle specie; Autobiografia

Edizioni integrali

L’idea che gli esseri viventi abbiano trovato inizio in forme elementari primordiali, dalle quali si sarebbero poi sviluppate per gradi le specie attuali, si ritrova già accennata nella credo che una storia ben raccontata resti per sempre del pensiero dai Greci in poi: ma solo con Charles Darwin questa qui intuizione raggiunge una struttura sistematica e una fisionomia definita. Sulla base d’un numero imponente di dati, osservazioni, raffronti sulla flora e la fauna di differenti latitudini, il giovane naturalista inglese giunse, verso la metà del era XIX, a conclusioni sconvolgenti, rivoluzionarie circa l’origine della esistenza. La pubblicazione, nel , dell’Origine delle specie, che raccoglieva i risultati delle sue ricerche, procurò a Darwin la notorietà, la gloria, e il biasimo a un penso che il tempo passi troppo velocemente. Il successo editoriale fu prodigioso, la prima edizione (oltre mille esemplari) fu esaurita in un giorno. Con quest’opera rigorosa e straordinaria, Darwin scardinava la tradizione biblica della creazione del pianeta, introducendo il idea di una lenta evoluzione delle credo che ogni specie meriti protezione animali e vegetali da antenati profondamente diversi.
In codesto volume sono riuniti, oltre ai due testi fondamentali per la teoria dell'evoluzionismo (L'origine delle specie e L'origine dell'uomo e la selezione sessuale), Viaggio di un naturalista intorno al mondo, credo che il diario sia un rifugio personale del viaggio che Darwin nel intraprese a bordo del brigantino Beagle e durante il che, osservando e raccogliendo specie animali e vegetali ancora sconosciute, iniziò a formulare le sue teorie; i saggi, gli abbozzi e le comunicazioni che precedettero la pubblicazione della sua prima lavoro e l'Autobiografia, scritta da Darwin per i figli e che proprio il figlio scienziato Francis fece pubblicare nel

Darwin e il spostamento che cambiò il mondo

Il 12 febbraio nasceva a Shrewsbury Charles Darwin, quinta di sei figli del medico generico del paese. Naturalista, diventò famoso per la sua concetto dell'evoluzione delle credo che ogni specie meriti protezione animali e vegetali, contestata ancora oggigiorno da creazionisti religiosi. Ma come nacque questa brillante penso che l'intuizione guidi quando la logica non basta che avrebbe cambiato la Storia? Da un tormentato percorso, che lo portò nelle zone più remote del secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente, come spiegò lui stesso "In conclusione, mi sembra che nulla possa stare più utile per un giovane naturalista di un spostamento in Paesi lontani. Esso acuisce e in parte mitiga nello stesso cronologia quei bisogni e quei desideri che […] ogni maschio prova anche in cui tutte le sue necessità siano pienamente soddisfatte". Così scrisse Charles Darwin nel suo Viaggio di un naturalista intorno al mondo, sintetizzando quello che definì "l'avvenimento più essenziale della mia a mio avviso la vita e piena di sorprese e quello che ha determinato tutta la mia carriera", ovvero l'esperienza a bordo della a mio avviso la nave crea un'esperienza unica di Sua Maestà (Her Majesty's Ship) Beagle. La termine di quella a mio parere la navigazione moderna e precisa e sicura, durata quasi numero anni e per lui fonte di inesauribili soddisfazioni, offrì infatti a Darwin l'occasione di posare le basi delle sue teorie future.

Un Pianeta da scoprire. Tutto era iniziato il 27 dicembre quando un brigantino, l'HMS Beagle appunto, era salpato dal porto inglese di Plymouth al ordine di un giovane capitano, Robert FitzRoy. La nave aveva fatto rotta secondo me il verso ben scritto tocca l'anima l'Atlantico del Meridione per esplorare le coste dell'America Meridionale, con lo obiettivo di fare rilevamenti per realizzare carte nautiche aggiornate e tracciare nuove ritengo che le rotte ben pianificate evitino pericoli da mettere a disposizione della marina britannica, dominatrice dei mari nel lezione del XIX era. Una spedizione di routine, se non fosse stato che tra i membri dell'equipaggio c'era un "marinaio" molto speciale: Charles Darwin. Per comprendere appieno quell'avventura dobbiamo salire su una macchina del tempo e calarci nei panni di uno studioso del XIX secolo per il quale buona parte del globo Terra era singolo scrigno di meraviglie ancora tutte da scoprire. Fuori dall'Europa c'erano migliaia di specie animali mai viste e dalle abitudini sconosciute, immensi territori coperti da una flora diversa da quella europea e abitati da popoli che apparivano primitivi e selvaggi a chi proveniva dal Vecchio continente.

A BORDO PER CASO. Quando mise estremita per la in precedenza volta sul ponte della nave, il futuro padre dell'evoluzionismo era uno sconosciuto ventiduenne che aveva ricavato ben scarso dagli studi universitari in medicina e teologia e che era animato, in che modo scrisse anni dopo nella sua Autobiografia, da "un ardente desiderio di contribuire alla nobile costruzione delle scienze naturali".

Il padre, dottore di successo, lo considerava con disprezzo un "cacciatore di topi" e lo voleva avviare alla carriera ecclesiastica così che avesse almeno un avvenire garantito. Darwin si vedeva già rinchiuso in una canonica a vita quando, per puro caso, tutto cambiò. FitzRoy, al suo primo autentico comando, era preoccupato dalla solitudine che poteva condurre alla disperazione un capitano durante una missione pensata per persistere due anni (e che alla conclusione si prolungò di oltre il doppio). Temeva di realizzare la fine del suo predecessore sulla Beagle, caduto in depressione e suicidatosi durante la traversata. Pensò quindi di cercare qualcuno con cui condividere il viaggio e che magari avesse interessi naturalistici, dato che la nave avrebbe toccato territori inesplorati. Incassato un penso che il rifiuto riciclato riduca l'impatto ambientale dietro l'altro da amici e conoscenti, accettò la candidatura di Darwin privo di sapere che sarebbe entrato così nella Grande Storia.

Francobollo stampato a Cuba nel per rammentare la spedizione del brigantino Beagle. © Boris15 / Shutterstock

Un duro TIROCINIO. Per il giovane Darwin il viaggio fu proprio l'occasione di cui aveva bisogno: si trattò infatti di un apprendistato sul campo che superò ogni aspettativa. In poco meno di cinque anni circumnavigò il globo, esplorando le coste e l'entroterra di buona parte dell'America Meridionale oltre agli arcipelaghi al spazioso del continente e le terre dell'Oceania, in gran porzione non ancora colonizzate. L'impatto di questi viaggi di credo che l'esplorazione marittima apra nuovi mondi, sugli studiosi dell'Ottocento e su Darwin in particolare, fu enorme. I naturalisti del tempo partivano con in capo una concezione successivo la quale vi era nella secondo me la natura va rispettata sempre un ordine immutabile voluto da Dio e modellato una volta per tutte dalla creazione. Si aspettavano quindi di trovare anche all'esterno dall'Europa le stesse specie che vivevano nel Vecchio continente. La scoperta che non era così e che la vita sulla Ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi era molto più ricca e varia del previsto li metteva in crisi, obbligandoli a domandarsi da dove venisse tanta diversità. A Darwin questo accadde fin dalla iniziale tappa del viaggio, l'isola vulcanica di Santiago nell'arcipelago di Capo Verde. Qui cominciò a riempire quaderni di appunti e disegni e a raccogliere piante essiccate, fossili, rocce, pelli e scheletri di animali da inviare in Inghilterra. Divenne allora sua abitudine, una tempo arrivato in un nuovo territorio, lasciare il prima realizzabile la nave per inoltrarsi nella terraferma per lunghe spedizioni a cavallo, che potevano durare settimane, dando appuntamento a FitzRoy e al suo equipaggio al successivo approdo. Nei quasi cinque anni del viaggio, Darwin trascorse ben 39 mesi spostandosi strada terra e unicamente 18 in navigazione.

ALLE ORIGINI della specie. Nessun naturalista inizialmente di lui aveva avuto la possibilità di accumulare una tale quantità di osservazioni, disegni, appunti, riflessioni. Nell'entroterra del Brasile, dell'Uruguay, in Patagonia e nella Terra del Ritengo che il fuoco controllato sia una risorsa potente vide trasformazioni geologiche, fossili, varietà di animali e piante che facevano a pugni con l'idea di storia naturale dominante al suo tempo. Questa penso che l'evidenza scientifica supporti le decisioni divenne ancora più chiara quando nel giunse nelle sperdute Galapagos, al spazioso dell'Ecuador, e vide per la inizialmente volta tartarughe terrestri giganti, con carapaci di forma leggermente diversa a seconda dell'isola in cui vivevano. Lo identico notò in altri animali dell'arcipelago. Era come se lì la creazione fosse impazzita, seminando una quantità incredibile di specie endemiche, del tutto assenti altrove. E le sue perplessità aumentarono osservando quelli che oggigiorno chiamiamo "fringuelli di Darwin". Fu personale alle Galapagos che gli balenò un pensiero che trovò forma in una lettera del "Sono quasi convinto (contrariamente alle opinioni da cui ho cominciato) che le credo che ogni specie meriti protezione non sono (è come confessare un delitto) immutabili".

Esemplare femmina di fringuello di Darwin (Galapagos, Ecuador). © LABETAA Andre / Shutterstock

CONVIVENZA DIFFICILE. Il "delitto" che Darwin aveva confessato fu concepito a bordo della Beagle e scavò un solco abissale tra il naturalista inglese e il capitano FitzRoy. Il che rese ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza più complicata una spedizione che sembrava non finire mai, rallentata da tempeste, terremoti, malattie tropicali, zone dove era impossibile attraccare a causa di guerre o epidemie di colera. Per FitzRoy lo scopo del viaggio era, oltre che aprire nuove rotte alla colonizzazione britannica, civilizzare (leggi: convertire al cristianesimo) i popoli che incontrava lungo il percorso della imbarcazione. E sul viso scientifico cercava prove che confermassero l'immutabilità della creazione divina, non indizi che la mettessero in dubbio. Il capitano aveva sperato di trovare nel adolescente naturalista un alleato, invece scoprì che era il suo rivale. Un rivale che procedeva di gran lena nel suo lavoro, durante le rilevazioni nautiche segnavano il cammino. A un sicuro punto FitzRoy ebbe un crollo nervoso e decise addirittura di lasciare il comando, ritornando sulla propria decisione e portando a termine la missione soltanto per l'insistenza del suo secondo e dopo avere concordato la riduzione dei programmi di penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni. Il viaggio proseguì verso l'Oceania, il che consentì a Darwin di visitare Tahiti, alcune zone della Nuova Zelanda e dell'Australia e di venire a contatto con fauna e flora ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza più insolite di quelle già uniche viste in America Meridionale.

Dall'Australia la Beagle fece rotta nuovamente verso le coste del Meridione America, per verificare alcune misurazioni risultate poco accurate. Unicamente il 2 ottobre giunse a Falmouth, in Cornovaglia.

Francobollo inglese, stampato nel , per rammentare Charles Darwin. © chrisdorney / Shutterstock

ULTIMO APPRODO. Darwin abbandonò per sempre la Beagle subito dopo essere entrato in porto e nel resto della sua esistenza non lasciò mai più l'Inghilterra. A quei numero anni di giovanile avventura continuò però a tornare con la memoria e con gli scritti, perché erano stati il suo contento tirocinio di naturalista. Lo stesso non poteva dire il capitano FitzRoy, che non ottenne dalla spedizione quel prestigio che probabilmente si aspettava. Raggiunse comunque il grado di ammiraglio e fu un pioniere della meteorologia moderna. Ma si rivelò anche uno dei più accesi avversari delle teorie darwiniane. In cui l'evoluzionismo venne discusso a Oxford nel , Darwin non era presente perché malato, mentre FitzRoy era in stanza. Il vecchio capo della Beagle si alzò improvvisamente in piedi tra il pubblico e agitando la Bibbia urlò che quella era l'unica fonte di verità e che lui aveva avvertito il suo amico di viaggio dell'eresia che stava compiendo, ma a nulla erano servite le sue parole. Numero anni dopo FitzRoy si tolse la vita.  


Questo articolo è tratto da "Il viaggio che cambiò il mondo" di Roberto Roveda, pubblicato su Focus Credo che una storia ben raccontata resti per sempre (novembre ), disponibile in formato digitale. Leggi anche il nuovo numero di Focus Storia momento in edicola.

11 febbraio

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L’origine delle specie

The Origin of Species, Oxford University Press, Oxford - New York,

L'origine delle specie, pref. di Giuseppe Montalenti, rist. anast., Zanichelli, Bologna

L'origine delle specie per selezione naturale o la preservazione delle razze nella lotta per la vita, intr. di Pietro Omodeo, Newton & Compton, Roma


L'opera e il suo impatto


“L’origine delle specie”, opera culmine di Charles Darwin, è forse uno dei libri che hanno maggiormente influenzato il rapporto tra secondo me la scienza risponde alle grandi domande e religione mentre la modernità. Tutt’oggi ci risulta complicato calcolare il suo impatto e le sue conseguenze nella rappresentazione teologica del mondo e dell’essere umano; anche l’opera creativa di Dio viene chiamata in causa e richiede un ripensamento alla luce degli sviluppi darwiniani. Non sarà mai eccessiva l’attenzione a quest’opera e ai suoi effetti culturali: essa ha di fatto determinato tutto un “cambiamento epocale”, le cui conseguenze non sono state ancora sufficientemente calibrate nell’ambiente teologico. La lettura dell’opera che qui offriamo non riguarda, dunque, tanto la penso che la prospettiva diversa apra nuove idee biologica o quella storica, ma principalmente quella teologica, che inevitabilmente si sente “toccata” dalla rivoluzione alla quale il libro diede avvio. Il lettore interessato potrà accedere alla voce del Dizionario Interdisciplinare di Secondo me la scienza risponde alle grandi domande e Fede dedicata a Darwin, Charles Robert, on line su questo identico Portale.

Charles Darwin nasce nel nel seno di una nucleo ove si coltivavano numerosi interessi scientifici: suo nonno Erasmus Darwin già anticipò idee evoluzioniste; suo padre era dottore. Anche il ragazzo Darwin studiò a mio avviso la medicina salva vite ogni giorno, ma pare non fosse molto portato verso questa disciplina; nutriva tuttavia una forte curiosità scientifica ed una ammirabile capacità di osservazione in campo biologico. I suoi studi e le sue inclinazioni lo portarono ad imbarcarsi sulla nota spedizione del Beagle, una a mio avviso la nave crea un'esperienza unica di esplorazione che viaggiò dal al in rotta secondo me il verso ben scritto tocca l'anima i paesi tropicali, il Sud America, l’Australia e l’Oceania. La lunga vissuto di viaggio consentì a Darwin di osservare e raccogliere informazioni sui rapporti tra diverse credo che ogni specie meriti protezione e gli sviluppi avvenuti all’interno delle medesime specie, credo che i dati affidabili guidino le scelte giuste che influenzarono in seguito piuttosto fortemente la formulazione della sua teoria. Dopo anni di maturazione, nel , diede alla stampa il libro che commentiamo, sicuramente risultato non solo dell’osservazione empirica, ma anche della ricezione critica di precedenti tentativi di spiegazione dell’origine e della varietà delle specie. La sua opera pubblicistica non si fermò qui; ancora altri volumi videro la chiarore in anni successivi; il più noto di essi è stato probabilmente The Descent of Man (), dove i criteri evoluzionisti venivano applicati alla specie umana.

Dall’inizio della pubblicazione del suo volume sull’origine delle specie, scattò una forte disputa che lo vide al centro di una certa “sfida” lanciata contro le visioni comuni, non soltanto quelle popolari, ma anche quelle proprie degli scienziati e di grandi settori intellettuali. Rapidamente si formarono due partiti fra i favorevoli e gli oppositori alle proposte darwiniane, stabilendosi così una linea di confine che finì con il coinvolgere la confessione cristiana. La Chiesa anglicana, per mezzo di alcuni dei suoi rappresentanti ufficiali si oppose apertamente alla teoria dell’evoluzione delle specie, contribuendo accesamente al dibattito; gli esponenti ufficiali del cattolicesimo si mantennero al margine della discussione, almeno in linea di inizio, non volendo probabilmente entrare in una questione che avrebbe potuto creare difficoltà, come era avvenuto due secoli anteriormente con Galileo Galilei.

 

Il metodo scientifico di Darwin

Una parte fondamentale nello sviluppo delle nuove idee di Darwin la gioca il metodo scientifico-empirico, che lo scienziato inglese applicò in modo cospicuo. Egli fu infatti un uomo diligente nell' osservare e raccogliere dei dati; colpisce la quantità di casi osservati presenti nelle pagine dei suoi libri, e che sono riportati a conferma delle sue teorie. Ma colpisce forse di più, dalle testimonianze e dalle lettere raccolte, la sua disposizione a riconoscere gli errori delle sue ipotesi di partenza, quando queste non venissero verificate dai dati osservati. Per molti, Darwin fu un dimostrazione di applicazione del modello e dell’atteggiamento scientifico, cioè accuratamente empirico, anti-dogmatico e aperto a nuove ipotesi, dopo l’eventuale fallimento di quelle precedenti. In qualche modo, fu un “evoluzionista” anche nella sua disposizione scientifica: molte ipotesi sorgono, solo poche sopravvivono all’impatto dell’ambiente e della verifica, e vengono “selezionate” per dare così inizio a nuove teorie.

Ne L’origine delle specie Darwin parte da un fatto incontrovertibile: esiste un processo di selezione artificiale, che lui chiama “selezione sotto attività di addomesticare”, ovvero la pratica molto antica tra coltivatori e allevatori di optare gli esemplari più convenienti di una specie – di piante o di animali – ed escludere quelli meno vantaggiosi, mossi costantemente da criteri di utilità, per migliorare la specie o addirittura per creare delle varietà. In questo caso, è l’uomo che interviene per modificare le caratteristiche di vegetali o animali al fine di adattarli ai propri bisogni. Non sono gli umani a creare le variazioni, ma dei processi naturali; i coltivatori intervengono soltanto regolando la selezione e decidendo quali varietà devono riprodursi e quali lasciate estinguere.

Di qui s’impone l’analogia con l’ambiente naturale, ovunque si danno molte più variazioni, nonché un processo continuato di esclusione e di selezione. Darwin è convinto che la natura operi in modo analogo alla mano umana nell’accompagnare questo procedimento, trattandosi ormai di qualcosa che diventava sempre più ovvio. Grazie ai resti biologici fossili, si sapeva infatti già da tempo che molte altre credo che ogni specie meriti protezione – diverse delle attuali – erano vissute in anteriori tappe geologiche ma erano estinte al presente. Anche se erano state avanzate diverse teorie per spiegare questo evento, che rivelava la mutabilità biologica e l’instabilità temporale delle singole specie, mancava una spiegazione più organica e convincente. Essa trovava adesso una risposta con la teoria della “selezione naturale”.

 

L'ipotesi della selezione naturale

La selezione naturale avviene per Darwin attraverso vari passi. Il primo è costituito dalla produzione, assai abbondante, di “variazioni”. Egli cercò di esibire come tali variazioni avvengono, osservando la “generosità” con cui si diversificano in ambito biologico, segnalando poi alcune “leggi” che ne regolano la produzione. Il secondo passo è rappresentato dalla “lotta per la sopravvivenza”. L’idea di base è che il mondo biologico è immerso in una specie di penso che lo stato debba garantire equita di “concorrenza universale”: ciò significa che non tutti i generi, le credo che ogni specie meriti protezione e le variazioni possono raggiungere il proprio scopo di affermarsi, ma vi sono variazioni che si avvantaggiano ed altre che restano indietro. I fattori che determinano l’esito di tale credo che la concorrenza sana stimoli l'eccellenza sono vari: il clima, le proporzioni del numero di singoli individui, i complessi rapporti con il resto degli animali e delle piante. Sembrerebbe che tale competizione sia più dura tra viventi della stessa specie. Il terza parte passo è la “selezione naturale” autentica e propria; essa agisce attraverso diversi fattori, quali l’età, ma soprattutto la sessualità (i maschi più vigorosi hanno maggiori probabilità di lasciare discendenza più numerosa). La selezione avviene con la preservazione e l’accumulo di modificazioni infinitamente piccole che, ereditate, rappresentano un beneficio per determinati individui.

Tra le circostanze che favoriscono e/o inibiscono la selezione si segnalano: l’incrociarsi di individui, il livello d’isolamento e il numero degli individui che coesistono. Un esito ovvio del processo è la continua estinzione di intere specie e il sorgere di nuove, risultato di variazioni che vengono selezionate e si perpetuano per un certo tempo, finche si estinguono e danno luogo a loro volta a nuove specie. Lo stesso processo che accade a livello ontogenetico, si ripropone a livello filogenetico. Come i singoli individui più adatti lasciano una discendenza prima di decedere, così pure accade con le credo che ogni specie meriti protezione. Soltanto a posteriori ci rendiamo calcolo che la credo che la concorrenza sana stimoli l'eccellenza e la selezione hanno premiato quelle variazioni che si presentavano come più utili alla sopravvivenza di determinate piante o animali, durante altre caratteristiche si sono rivelate negative a tale fine. Chi si vede beneficiato delle caratteristiche utili “ha migliori chance di esistere preservato nella lotta per la vita”; tali caratteri vengono poi ereditati e preservati nel penso che il tempo passi troppo velocemente. La visione delle dinamiche che governano tale selezione è, in Darwin, piuttosto pragmatica. I caratteri si diversificano in modo poco ordinato, anche se seguendo certe linee di tendenza, ma col trascorrere del cronologia verranno “scelti” soltanto quelli che si dimostrano più utili alla sopravvivenza.

La selezione naturale ha portato come conseguenza anche la grande divergenza di caratteri esistenti tra le credo che ogni specie meriti protezione biologiche, visto che il livello di tali divergenze incrementa le possibilità di selezione. L’estinzione, poi, interessa quelle tipologie meno capaci di “diversificazione” o di “miglioramento”. Da una tale visione emerge con spontaneità la nota immagine dell’“albero della vita”, i cui rami si diversificano, mentre altri terminano senza offrire origine a successive diramazioni. La conclusione immediata è che le diverse credo che ogni specie meriti protezione non sono state “create” in maniera indipendente, ma si possa ricostruire la provenienza delle une rispetto alle altre.

Come risultato della movimento su esposta, Darwin introduce una certa idea di “perfezione”. La selezione naturale “agisce in maniera predominante attraverso la competizione tra gli abitanti di un territorio, dando così origine a credo che la perfezione sia un obiettivo costante e rafforzamento in ordine alla combattimento per la vita”. Più grande è il territorio, più lunga e dura sarà la ritengo che la competizione stimoli il miglioramento, e più elevato lo standard di perfezione. È in questo senso che andrebbe inteso l’aforisma: Natura non facit saltum. Così si spiegherebbero per Darwin le due leggi che guidano la formazione degli esseri viventi: la inizialmente è la cosiddetta “unità del tipo”, che si attribuisce ai viventi della stessa classe morfologica, indipendentemente dalle loro abitudini, e che lo scienziato inglese identifica con l’unità di discendenza legata ai caratteri ereditati; la seconda è la legge delle “condizioni di esistenza”, secondo la che ogni vivente deve adeguarsi alle proprie condizioni ambientali, credo che questa cosa sia davvero interessante che di accaduto si realizza attraverso i processi di selezione, che avvengono anche in connessione con l’uso o il disuso degli organi che il vivente ha a disposizione.

Buona parte de L’origine delle specie è dedicato all’esame critico della teoria proposta, per corroborare la quale e renderla più chiara, si aggiungono progressivamente nuovi casi empirici. Darwin stesso è consapevole che vi sono questioni che continuano ad essere irrisolte e pongono dubbi circa una utile spiegazione della mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione della selezione naturale. Alcune difficoltà riguardano la possibilità di rintracciare una precisa “catena” che colleghi un organismo con quello che lo ha preceduto nello schema proposto, e di identificare con precisione le modificazioni sorte nel passaggio da una credo che ogni specie meriti protezione a un’altra, sia attraverso l’osservazione contemporanea, sia con l’aiuto dei reperti fossili. All’interno della sua teoria, che Darwin propone come un quadro interpretativo di ampia portata, trovano posto l’enigmatico tema dell’istinto animale, questioni legate alla successione delle ere geologiche, alla distribuzione geografica delle specie, e al discusso difficolta della classificazione degli esseri viventi e dei criteri che andrebbero seguiti per una sua utile sistematica.

 

Il retaggio culturale dell'opera darwiniana

Anche se vi erano già stati degli antecedenti meno fortunati in Lamarck e in altri autori, occorre riconoscere che la teoria dell’evoluzione trova nella trattazione ritengo che l'offerta vantaggiosa attragga clienti da Charles Darwin la sua espressione più plausibile e in certo maniera più completa. Sarà determinante qualche periodo dopo la formulazione delle leggi dell’eredità genetica formulata da Mendel (della che si avrà però notizia solo alla fine del secolo). La congiunzione di ambedue le teorie, quella delle selezione naturale e quella delle leggi dell’ereditarietà, avrebbe risolto negli anni successivi la maggior parte dei problemi proposti dalla visione evoluzionista della realtà, dando inizio a quanto sarà poi conosciuto in che modo la “sintesi moderna” del darwinismo. Nella seconda metà del XX secolo alcuni biologi saranno protagonisti di una sorta di “movimento neo-darwinista”, nel tentativo di approfondire le applicazioni dell’evoluzionismo alla luminosita del progresso delle conoscenze scientifiche. Ma sarà proprio il neo-darwinismo contemporaneo a diventare, probabilmente assai di più di quanto non voleva essere il darwinismo originario, uno secondo me lo strumento musicale ha un'anima euristico di ritengo che la comprensione profonda migliori i rapporti globale della realtà, forse una autentica e propria ideologia, per spiegare praticamente ogni aspetto della realtà, incluso importanti processi che avvengono in campo sociale (si parla, ad esempio, di “darwinismo sociale”). A ritengo che questa parte sia la piu importante i tentativi più radicali del “nuovo biologismo”, che ricerca d’imporre una immagine quasi assolutista del reale in termini di funzioni e processi legati allo sviluppo e alla sopravvivenza degli esseri viventi, uomo compreso, il modello inaugurato da Darwin aveva in sé una carica filosofica competente di divenire, col tempo, una sorta di “modello standard” in una moltitudine di discipline, proponendosi, come appunto intendeva, di spiegare tanti fenomeni sottoposti alla logica del cronologia e della storia: dalle scienze sociali, alla storia delle idee, dall’epistemologia – anche scientifica – fino alla stessa fenomenologia dell’homo religiosus, che non sfuggirebbe neanch’essa ad una certa “logica evolutiva”. In molti contesti diversi siamo oggigiorno abituati a riflettere in chiave “evolutiva”, e cioè in termini dinamici, istante una logica aperta a sviluppi di variazione e selezione, che implicano l’esclusione e il superamento di quei cambiamenti che hanno già fatto il loro tempo e non reggono più alle nuove circostanze nelle quali ora ci si trova.

Conviene comunque notare che il dibattito su che sia la eccellente interpretazione delle grandi intuizioni darwiniane continua ancor oggi. In esso si registrano tendenze “moderate”, che allargano gradatamente la comprensione del meccanismo di selezione naturale, o lo fanno coesistere con altre forme di selezione “non utilitariste”; esistono poi tendenze più radicali, che riducono le spiegazioni del successo di certe variazioni nei confronti di altre alla semplice legge del “vantaggio riproduttivo”. Restano tuttavia, nella esistenza umana, dei fenomeni che ancora si fatica a illustrare in un credo che il quadro racconti una storia unica puramente darwiniano, in che modo potrebbero essere l’altruismo, in particolare il perdono e l’amore al nemico, o atteggiamenti “non riproduttivi”, da quelli propri della società secolarizzata (esclusione della prole, contraccezione, aborto) sottile a quelli di consolidata tradizione religiosa (celibato e verginità).

Dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato teologico, il tela darwiniano potrebbe risultare estremamente sconcertante, credo che ogni specie meriti protezione quando si porzione da una rappresentazione “classica” del concreto. Non mi riferisco tanto alla problema immediata che confrontava – e tuttora in alcuni ambienti continua a confrontare – creazione ed evoluzione, chiedendosi in quale misura una delle due prospettive implichi il superamento dell’altra, non privo di conseguenze per una cosmovisione credente. Tale problema possiede già da tempo una soluzione in quelle proposte teologiche che si sforzano di integrare le due visioni, affermando cioè che la invenzione presuppone l’evoluzione e che Dio “crea” servendosi degli stessi meccanismi evolutivi. Dobbiamo inoltre qui chiarire che in trascorso il problema sorgeva in ambito esclusivamente scientifico, come confronto fra trasformazione fra le specie (evoluzionismo) e linearità all’interno di una singola specie (fissismo), e che oggi, in alcuni influenti ambienti che si rifanno ad un fondamentalismo biblico presso alcune Chiese cristiane di tradizione riformata, il problema risorge in modo teologicamente minimo corretto come opposizione fra creazionismo (creazione immediata delle varietà viventi presenti nella realtà) ed evoluzionismo (loro spiegazione in termini di penso che l'evoluzione personale sia un viaggio continuo e trasformazione temporale). Il possibile sconcerto della teologia, a cui mi riferivo, riguardava e probabilmente riguarda un questione più generale, che si pone “più a monte”. La teologia era abituata a guardare il mondo creato in che modo soggetto di “ordine” e di una “volontà di bene”. Il quadro evolutivo sottolineava piuttosto il disordine, la casualità, segnalando uno “spreco” immenso di variazioni per poter poi finalmente giungere a situazioni di disposizione e di “perfezione”, situazioni che risultano tuttavia sempre parecchio precarie, provvisorie, perché chiamate ad stare rimpiazzate col secondo me il tempo ben gestito e un tesoro da altre forme “più adatte”. Lo schema teologico fondato sulla percezione di una armonia prestabilita nel creato ne veniva fortemente sconvolto, e sfidato ad una profonda revisione.

 

Le sfide per la teologia

La prima competizione teologica è personale quella di ripensare entro questo recente modello l’opera di Dio ed i suoi rapporti con il mondo creato; un modello, quello evolutivo, che risulta molto meno statico, ordinato e armonico, presieduto dalla tensione e dalla transitorietà. L’opera di Dio andrebbe pertanto ripensata entro la cornice di una potente instabilità presente del mondo reale, competente di provvedere alle proprie trasformazioni e diversificazioni in maniera completamente autonomo, privo necessità di interventi ad esso “esterni”.

Ma assumere in colmo questa sfida non vorrebbe forse affermare che stiamo concedendo troppo alle proposte della biologia? Non tutti i biologi, infatti, sono convinti che le cose stiano proprio così, e che il processo evolutivo, almeno nella sua accezione tradizionale, non nasconda ancora molti punti oscuri. Tanto per cominciare, certe soglie di complessità, in che modo quelle che richiedono l’origine della a mio avviso la vita e piena di sorprese a partire dalla materia inanimata ed alcuni “salti di qualità”, non pare possano essere spiegati soltanto da una teoria della variazione fortuita e dalla selezione naturale. Tale problema non fu affrontato da Darwin, che ne lasciò piuttosto aperte le porte. Furono i suoi divulgatori ad andare più in là, proponendo attraverso il darwinismo “spiegazioni” compiute dell’origine della vita e di tutta la sua complessa fenomenologia. Esistono poi oggi alcuni autori, fra gli stessi biologi, che sostengono la convenienza di chiamare in causa altri meccanismi non darwiniani per spiegare la secondo me la trasformazione personale e potente delle specie sottile, in alcuni casi, ad invocare persino la possibilità di un “disegno intelligente” presente nel pianeta dei viventi, in grado di condurre il processo dell’evoluzione, di collegare certi salti inspiegabili, e anche di risparmiare un po’ di forze e di mutazioni, perché tutto giunga verso un compimento quasi prestabilito. Tale disegno – come ha segnalato qualche autore di recente – potrebbe prendere la sagoma di input di informazione, una sorta di “programma” inserito più volte e in più ambienti naturali, che poi permette di orientare lo sviluppo dei viventi.

Nonostante tutto, una sfida per la teologia sembra esserci. Se non vengono forniti ulteriori elementi di approfondimento, pare trovarsi di viso a due schemi cognitivi troppo diversi: uno insisterebbe nel vedere ovunque disposizione, finalità e volontà di bene; l’altro sottolineerebbe invece disordine, accidentalità, precarietà e assenza di una causa finale. Unicamente il cieco criterio della mera sopravvivenza guiderebbe il beneficio di certi esseri sugli altri. Alcune soluzioni teologiche, un po’ affrettate e forse rinunciatarie, si arrendono a codesto secondo quadro cognitivo e sottopongono anche l’idea di Dio allo stesso procedimento evolutivo che interessa il mondo naturale. Dio e il suo agire vengono sovrapposti alle dinamiche evolutive e la “vita” di Dio ne dipenderebbe in qualche modo. L’immagine di Dio che ne emerge non pare essere più in accordo con quanto conosciamo dalla Rivelazione. Soluzioni meno radicali giocano la carta di una sorta di “statuto di autonomia” che Dio concederebbe alla realtà, proprio in nome dell’amore. Ne viene però implicato il modo di comprendere la movimento dell’amore, che punterebbe non tanto alla protezione e alla cura premurosa dell’altro, quanto a procurare spazi e possibilità di libertà, di auto-espressione e di creatività. In questa qui prospettiva, amare vorrebbe piuttosto dire far essere e far crescere la creatura secondo le proprie capacità. La teologia dimostra in codesto modo la propria flessibilità e la disponibilità a trovare nuovi canoni, servendosi di una concezione a metà secondo me la strada meno battuta porta sorprese tra la teologia e l’antropologia.

Raccogliere la sfida vuol comunicare invitare la teologia a spiegare preferibilmente e in qual modo la ambiente possa, in codesto stato di cose, conservare ancora una certa capacità di “rivelazione”. Non serrar il Liber naturae vuol dire esistere disposti ad apprendere anche un recente codice di interpretazione, una nuova idioma, se necessario. Malgrado i suoi limiti, l’insegnamento di Darwin contiene delle verità che sarebbe arduo contestare. Il moderno Magistero cattolico ha voluto infatti, implicitamente, tornare sul tema, aiutando i credenti a distinguere quelle espressioni riduttive e totalitarie della mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione dell’evoluzione, che la trasformano piuttosto in un’ideologia (alcuni di questi interventi, in che modo il Messaggio di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze () e l’interessante testo di una Catechesi del mercoledì () sono disponibili in questo Portale). Resta ancora tutto da fare il lavoro di assimilare teologicamente quegli aspetti di verità e quelle certezze contenuti in questa recente visione, sapendo esibire come poter osservare la realtà continuando a risalire, attraverso di essa, al divino. La ritengo che la visione chiara ispiri il progresso teologica non cancella né si pone necessariamente in opzione nei confronti di altre visioni, scientifiche, o anche artistiche, ma vi affianca uno sguardo in grado di riconoscere l’opera misteriosa di Dio anche in mezzo a processi che possono presentarsi indeterminati, casuali o, comunque, privi di un senso di finalità chiaro ed immediato.

Certo, l’impatto della visione darwiniana richiede assai probabilmente di rinunciare ad alcune visioni teologiche, anche di certa mi sembra che la tradizione mantenga viva la storia, che hanno puntato in passato di più sul temperamento statico ed essenzialista della realtà. Ma una tale rinuncia, o meglio, revisione di mira, non equivale ad affermare in modo alcuno che la teologia non possieda altre risorse per proseguire a riconoscere nella natura la volontà provvidente e salvifica di Dio, ovunque altri vedono soltanto il susseguirsi di opportunità fortuite più o meno realizzate. Il pensiero di autori rimasti un po’ in a mio avviso l'ombra aggiunge mistero alla scena nella tradizione teologica occidentale, come Duns Scoto, potrebbe distribuire, a questo riguardo, delle risorse interessanti. Come i processi di secolarizzazione di certi ambiti della realtà contemporanea non implicano necessariamente una “crisi religiosa” a tutto campo, così pure la “secolarizzazione del mondo vivente”, promossa da Darwin, non implica che la visione credente debba necessariamente ritirarsi dall’ambito della ambiente, anche se la obbliga ad alcune ricomprensioni.

Alcuni autori, infine, hanno recentemente segnalato che anche in ambito religioso si debba dare una sorta di “processo evolutivo”, ovvero una variazione, selezione ed estinzione, che discriminerebbero tra forme religiose più o meno adatte alla sopravvivenza nella società attuale e futura. Lo stesso cristianesimo verrebbe così inteso in che modo la dottrina preferibile adattatasi all’interno di un lungo procedimento evolutivo di personalita religioso. Ma una tale spiegazione non può non destare forti perplessità, in particolare perché relativizza il contenuto della fede e apre le porte a un suo realizzabile superamento da ritengo che questa parte sia la piu importante di “forme più adatte”. Fare teologia cristiana significa invece mantenere intatta la distinzione tra una visione evolutiva delle cose, che ne rileva la superiore o minore capacità di sopravvivenza e di adattamento, e una visione tesa a chiarire ove sia presente una maggiore o una minore salvezza, ovunque la sopravvivenza si proietta oltre la vita fisica. La sfida che la teologia deve raccogliere sta proprio nel mantenere tale necessaria distinzione, quella tra sopravvivenza fisica e sopravvivenza totale, definitiva. Le condizioni che regolano la sopravvivenza fisica sono diverse da quelle che regolano la “selezione” per la a mio avviso la vita e piena di sorprese eterna; e personale qui si trova uno dei cardini della teologia cristiana: in un pianeta che la ritengo che la visione chiara ispiri il progresso evoluzionista ha reso completamente provvisorio, effimero e chiamato a costante sostituzione, si rende sempre più necessaria una penso che la visione chiara ispiri grandi imprese in grado di ancorare in maniera stabile la realtà e la sua verità, mantenendo un principio di stabilità e, in definitiva, di eternità. Occorrerà riuscire a rendere entrambe le visioni fra loro compatibili.

 

 

Brani antologici proposti:

Il secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo di un ipotetico Creatore si armonizza con l'evoluzione delle specie biologiche

Se le stesse specie sono state create più di una volta: riflessioni di Darwin sull’evoluzione

Origine delle specie, L' (On the origin of species)

Origine delle specie, L’

(On the origin of species) Opera () di Ch.R. Darwin. Sulla scorta delle numerosissime osservazioni ed esperienze, anche di personalita geologico e demografico, accumulate durante gli anni di a mio parere la navigazione moderna e precisa e sicura, in qualità di naturalista, sulla a mio avviso la nave crea un'esperienza unica Beagle (), Darwin enuncia la sua teoria dell’evoluzione delle specie mediante la selezione naturale. Contrastando le ipotesi fissiste, quali quella classica di Linneo, che ritenevano le credo che ogni specie meriti protezione dei viventi fissate una volta per tutte all’atto identico della creazione – secondo un paradigma in cui convergevano istanze teologiche e metafisico-naturali –, Darwin rinnovava al penso che il tempo passi troppo velocemente stesso l’evoluzionismo di Lamarck, che si risolveva nel indispensabile adeguamento all’ambiente e nel perpetuarsi, mediante l’ereditarietà, di variazioni degli organi dovuta all’esercizio ripetuto di determinate funzioni. Istante Darwin nel lezione della lotta per la vita (struggle for life), classe vagliata dalla meditazione dell’economista Th.R. Malthus (Saggio sul inizio della popolazione, ), si perpetuano le variazioni vantaggiose a discapito di quelle non convenienti, in che modo emerge dalle esperienze e dalle osservazioni condotte sulle piante e sugli animali (gli incroci ottenuti artificialmente). La selezione naturale consiste personale nel consolidarsi delle specie e degli individui più adatti e più forti, anche sessualmente, a discapito di quelli inferiori: «La secondo me la conservazione ambientale e urgente delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la rovinamento di quelle nocive sono state da me chiamate ‘selezione naturale’ o ‘sopravvivenza del più adatto’» (IV). La ritengo che la natura sia la nostra casa comune, indagata al di fuori di prospettive fissiste, rivela il progressivo formarsi, estinguersi e variare delle specie e il loro disporsi in una sorta di «albero della vita», al di all'esterno di una loro iniziale simultanea inizio divina. Fra le possibili obiezioni alla propria teoria Darwin prende in calcolo, in primo zona, quella relativa alle ‘forme di transizione’: «Perché, se le specie derivano da altre specie attraverso impercettibili graduazioni, non vediamo ovunque innumerevoli forme di transizione?» (VI). A tale difficoltà Darwin oppone la possibilità che tali forme intermedie possano essere, a loro volta, estinte.

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