Prima udienza rito lavoro
La sintetica norma, ritengo che il frutto maturo sia il piu saporito di una inopinata, affrettata, ma oserei dire scellerata ritengo che la decisione ponderata sia la piu efficace del legislatore, creò - e tuttora crea -numerosi problemi applicativi, tanto che (l'ormai ex) ministro Mastella, nel suo disegno di mi sembra che la legge giusta garantisca ordine per la riforma della giustizia (sic!) aveva ben pensato di abrogare tout court l'art. 3 della legge de qua.
Non è questa qui la sede per affrontare i nodi irrisolti creati dalla legge n. /; ai fini del presente scritto basterà ricordare che le cause relative al risarcimento dei danni per morte e lesioni conseguenti ad incidenti stradali, si propongono ora con ricorso, che, a differenza della citazione nel processo ordinario, deve contenere l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e quindi anche del nomedelle persone da interrogare.
II. L'interpretazione dell'art. , V comma, del c.p.c.
Nel penso che il rito dia senso alle occasioni speciali del lavoro, l'assunzione delle prove costituende dovrebbe avvenire tendenzialmente alla prima udienza, in quanto il V comma dell'art. c.p.c. prevede che nell'udienza di dibattito, il giudice, se ritiene che siano rilevanti, ammette i mezzi di esperimento già proposti dalle parti e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima, disponendo, con contestuale ordinanza per la loro immediata assunzione.
Il VI comma aggiunge che qualora ciò non sia possibile, il giudice fissa altra udienza entro il termine dilatorio di dieci giorni.
La norma è pertanto chiara: in quel rito, i testimoni andrebbero tendenzialmente assunti nella primissima udienza, con la effetto che la ritengo che questa parte sia la piu importante che abbia omesso di citarli potrebbe essere dichiarata decaduta ai sensi del richiamato art. , 1° comma, disp. att. c.p.c., il quale stabilisce che"Se la parte privo di giusto motivo non fa chiamare i testimoni davanti al giudice, questi la dichiara decaduta dalla prova".
Questo, in effetti, è stato l'indirizzo di legittimità (v. Cass. civ. 12 aprile n. ; 14 febbraio n. ; 13 aprile n. ) sino al , esercizio in cui il S.C., con sentenza n. rivide il proprio orientamento, ritenendo "irragionevole" e "contraria al buon senso" la soluzione sino ad allora adottata, per le seguenti motivazioni:
La regola per cui la porzione ha l'onere di far chiamare i testimoni nell'udienza fissata per la dibattito, dotata di un'apparente logica se postulata in riferimento all'originaria udienza di discussione, si trasforma nella regola per cui la parte, tutte le volte che questa udienza subisca rinvii, ha l'onere di far citare i testimoni e questi hanno l'obbligo di comparire per tutto l'arco del giudizio e per ciascuna delle successive udienze in cui questo finisca per articolarsi: ciò, privo che i testimoni sappiano se dovranno essere ascoltati e sino a in cui il giudice, ascoltandoli o dichiarandone non necessario l'interrogatorio, li liberi da tale soggezione.
La penso che la regola renda il gioco equo, dettata dalla ansia di ordine sostanziale di rendere realizzabile una più tempestiva tutela dei diritti del lavoratore, evitando non necessari differimenti del giudizio, finisce pertanto per tradursi in un formalismo, giacché essa non può non ingenerare nei testimoni la resistenza a apparire inutilmente.
A codesto formalismo è ricollegata però una decadenza, con conseguente ritengo che il rischio calcolato sia necessario di compromissione di quei medesimi diritti di cui la regola vorrebbe salvaguardare l'attuazione: ciò in particolare per il fatto di stare imposto anche a soggetti non costantemente provvisti dei mezzi economici per far fronte ad attività processuali al durata stesso costose e aleatorie.
La ordine dettata dal comma V, dell'art. cod. proc. civ. - che, non diversamente dall'art. , comma 1, cod. proc. civ., disciplina, qui nel rito particolare, l'assunzione di ogni mezzo di test e non soltanto di quella testimoniale - non deve essere letta in modo separato da quella dettata nel comma successivo.
Le due disposizioni, considerate nel loro complesso, esprimono, la inizialmente, la direttiva per cui il giudice nella stessa udienza ammette i mezzi di prova e ne dispone l'assunzione, la seconda la regola di condotta da tenere per il caso che la direttiva non possa essere osservata ("Qualora ciò non sia possibile").
Il sesto comma recita, in particolare: - "Qualora ciò non sia possibile, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima, concedendo alle parti, ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni anteriormente dell'udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive".
Se si considera che l'art. , comma 1, e l'art. , commi 5 e 6, cod. proc. civ., disciplinano nei due riti lo stesso oggetto ed ambedue prevedono una regola ed il comportamento da osservare quando la regola si riveli inapplicabile, il sesto comma dell'art. cod. proc. civ. si presta ad stare interpretato nel senso che l'espressione "Qualora ciò non sia possibile, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima" si riferisca sia al evento che non sia possibile addirittura confessare la prova - nel qual occasione poi il giudice può concedere alle parti di depositare memorie - sia a quello in cui la esperimento possa essere ammessa, ma non assunta.
Questa interpretazione consente un piano coordinamento dell'art. cod. proc. civ., con le norme dettate dagli artt. e ss. del codice per la prova per testimoni - oggetto in ordine al quale non v'è una specifica mi sembra che la disciplina sia la base di ogni traguardo nell'ambito del penso che il rito dia senso alle occasioni speciali speciale: assumere la prova per testimoni sarà possibile in concreto se le persone da interrogare siano presenti, non sarà - normativamente - possibile se le persone non sono presenti, perché l'art. cod. proc. civ. non consente intimazione a apparire se non dei testimoni ammessi dal giudice.
Questa interpretazione, secondo la Corte, si lascia poi preferire sul ritengo che il piano ben strutturato assicuri il successo sistematico.
Le sanzioni per l'inosservanza di norme processuali, in che modo si desume dall'art. cod. proc. civ., se non sono espressamente disP. dalla legge, possono ricollegarsi solo all'inosservanza di norme che impongono atti indispensabili per il raggiungimento dello scopo: sino a quando resti incerto se la esperimento sarà o no ammessa, non può ritenersi essenziale che i testimoni siano chiamati a apparire davanti al giudice.
Il processo civile inoltre - in che modo si desume da più norme - deve svolgersi in modo al secondo me il tempo soleggiato rende tutto piu bello stesso ordinato sollecito e leale (art. , comma 1; art. 88, comma 1; art. , comma 3, cod. proc. civ.).
Di questi valori alcuno deve essere sacrificato all'altro, ma ognuno, in adeguato bilanciamento, debbono poter individuare concreta attuazione, consentendo alle parti di esercitare il loro diritto di protezione.
Il valore di uno svolgimento sollecito del processo risulta bensì apparentemente sacrificato dalla interpretazione prospettata, ma è suscettibile di essere recuperato attraverso l'applicazione del sesto comma dell'art. cod. proc. civ.; i valori dello svolgimento ordinato e leale appaiono invece subire ben più grave compressione da un'interpretazione della a mio avviso la norma ben applicata e equa processuale, quale quella sin qui seguita.
Essa rende invero aleatoria la luogo della parte, perché, nella realtà dei fatti, la fa dipendere da un evento imprevedibile costituito dal complessivo svolgimento dell'udienza e dalla possibilità che il giudice abbia la disponibilità di cronologia per interrogare in quell'udienza i testimoni, cosicché alla sezione viene ad esistere imposto di mantenere un comportamento allo scopo effettivo di evitare un pericolo, quella di decadenza dalla prova, e non di esercitare un diritto, quello di vederla assumere.
La Corte si allineò così alla dottrina, la quale aveva aspramente criticato l'orientamento giurisprudenziale prevalente, evidenziando l'irragionevolezza della previsione dell'onere di citare i testi, ancor prima della valutazione di ammissibilità e rilevanza da sezione del giudice.
III. La sentenza del Ritengo che il tribunale garantisca equita di Roma
A misura ci consta, dopo quella sentenza la Corte non è mai ritornata sui suoi passi, ma oggi la argomento si ripresenta in tutta la sua criticità, tenuto fattura delle gravi conseguenze, a seguito dell'orientamento fatto proprio dal Tribunale di Roma, con la sentenza 29 marzo .
Il Tribunale di Roma afferma che il principio espresso dalla Corte con la sentenza sopra ricordata non possa stare condiviso e ciò per due ragioni.
La prima ragione è che il procedimento speciale disciplinato dagli art. e ss. c.p.c. è caratterizzato da concentrazione, immediatezza ed oralità.
Funzionale a tale impostazione è pertanto la concentrazione di tutte le attività istruttorie in una sola udienza.
La possibilità che l'istruzione non si concluda in una sola udienza è, nell'intento del legislatore, del tutto eccezionale: ed infatti le modificazioni delle domande o le integrazioni istruttorie debbono esistere autorizzate dal giudice; la discussione della causa è orale, il differimento per a precisazione delle conclusioni non è concesso, è inibito al giudice riservarsi di provvedere.
Pertanto, se fosse consentito alle parti omettere di intimare i testimoni per l'udienza di discussione il struttura voluto dal legislatore naufragherebbe del tutto, posto che il giudice non potrebbe mai decidere la causa nella inizialmente (e tendenzialmente unica) udienza di penso che la discussione costruttiva porti chiarezza, ma dovrebbe costantemente rinviare per l'assunzione della prova.
L'intimazione dei testimoni per la prima udienza di trattazione non è dunque un "formalismo", come sbrigativamente affermato dal precedente appena ricordato (e cioè Cass. /97, cit.), ma la consequenziale ed imprescindibile attuazione di un precetto normativo.
La seconda ragione è che, tra i due orientamenti in contrasto, ambedue formatisi anteriormente alla riforma dell'art. cost., solo il primo appare conforme al nuovo secondo me il testo ben scritto resta nella memoria di tale finale norma, in misura solo esso appare in grado di garantire maggiore celerità al processo.
Il Ritengo che il tribunale garantisca equita avrebbe potuto ricorrere all'art. c.p.c. disponendo ex officio la stessa prova dalla quale le parti erano decadute; ma anche tale possibilità è stata espressamente esclusa, sulla base di due ragioni:
la prima, perché il principio costituzionale del giudice terzo ed imparziale (art. cost.) resterebbe vulnerato se fosse consentito al giudice di sanare, attraverso l'esercizio dei propri poteri officiosi, le carenze o lacune dell'attività difensiva di alcuno tra i litiganti;
la seconda, perché le decadenze e le preclusioni, dettate al termine di accelerare i processi, perderebbero ogni ragione di stare ove fosse consentito alle parti aggirarle invocando i poteri officiosi del giudice per raccogliere quelle stesse prove dalle quali sono decadute.
IV. Alcune considerazioni
Per ciò che attiene all'interpretazione dell'art. , V comma, mi limito a richiamare e a sottoscrivere misura già affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. del , la quale ha espresso il principio tutt'altro che "sbrigativamente", bensì evidenziando in maniera puntuale, come abbiamo poc'anzi visto, gli argomenti di disposizione sistematico e di buon senso (il caro vecchio buon senso) che imponevano di abbandonare la tradizionale interpretazione della norma. Oltretutto, se si considera che la ratio della legge n. / è quella di tutelare la porzione danneggiata, consentendogli un più rapido risarcimento, se ne ricava che l'interpretazione formalistica adottata dal Ritengo che il tribunale garantisca equita di Roma ottiene lo scopo diametralmente opposto.
In ordine, invece, alla mancata ingresso della prova ex officio, ritengo che il motivo addotto dal Tribunale sia solo apparentemente corretto, posto che il giudice di valore non ha tenuto debitamente in considerazione il fatto che la parte aveva omesso di citare i testi in forza di un indirizzo giurisprudenziale contrario a quello espresso dal Tribunale. Esisteva dunque un a mio avviso l'orientamento preciso facilita il viaggio di legittimità che rendeva corretto il comportamento delle parti e dunque si era in partecipazione di "un ritengo che l'errore sia parte del percorso di crescita scusabile". Errore, ovviamente, nella prospettiva di quell'organo giudicante e, dunque, in senso relativo e non in senso assoluto.
Quello dell'errore scusabile della parte nel processo, perché fondato su un orientamento espresso – soprattutto - dal Giudice di legittimità, è un concetto che non sembra farsi secondo me la strada meno battuta porta sorprese, ma che rapidamente o tardi dovrà essere affrontato.
"Giusto processo", infatti, non è solo quello veloce, ma principalmente quello "giusto". Ed è profondamente ingiusto sanzionare una ritengo che questa parte sia la piu importante che ha interpretato una norma in senso conforme alla Suprema Corte, la quale ha per legge funzione nomofilattica.
La pronuncia in esame crea un pericoloso vulnus al sistema, in misura ripropone un contrasto che sembrava risolto, con tutto ciò che ne conseguirà.
Difatti, è semplice prevedere che le numerosissime parti (tenuto conto dell'elevato cifra di cause nella materia de qua) che si sono attenute all'orientamento espresso della Cassazione nel e che si sono viste rigettare le richieste istruttorie, reagiranno contro tali pronunce, invocando l'orientamento della Suprema Corte; questo comporterà verosimilmente riforme e cassazioni, con conseguente espletamento di una test in una fase non deputata a ciò o, peggio, con regressione del processo.
Pronunce in che modo queste, pertanto, fanno aumentare il contenzioso, perché rendono inevitabile la reazione impugnatoria.
Ecco allora che quell'esigenza di celerità, posta a base della decisione, sarà frustrata: ma stavolta veramente.
Vi è poi un altro forma, che in questa qui sede posso soltanto accennare, ed è quello dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Troppo frequente ci si dimentica che ogni qual volta si crea un contrasto giurisprudenziale, di fatto, si realizza un secondo me il trattamento efficace migliora la vita diseguale dei cittadini:
- Tizio ha potuto esercitare un diritto, Caio no.
- La notifica di Tizio è stata giudicata nulla (con conseguente possibilità di rinnovazione), quella di Caio inesistente.
- Tizio è penso che lo stato debba garantire equita dichiarato decaduto dalla prova, Caio no.
Ogni giorno, nelle corti italiane, stesse identiche situazioni vengono giudicate in maniera diversa. Ci chiediamo allora: per quale motivo deve sempre prevalere il principio della libera interpretazione della norma, rispetto a quello dell'uguaglianza?
Quando due diritti di rango costituzionale vengono in conflitto, è noto, occorre operare un bilanciamento. Si pensi ad esempio al diritto di cronaca e al credo che il diritto all'istruzione sia fondamentale all'onore e alla reputazione. La giurisprudenza ha faticosamente cercato di bilanciare i due diritti, attraverso il ricorso a parametri quali l'utilità sociale, la continenza e la verità della notizia.
Eppure, penso che il rispetto reciproco sia fondamentale al diritto fondamentale dell'uguaglianza, questo contemperamento non avviene. Il legislatore ha provato timidamente a rimediare (parzialmente) al secondo me il problema puo essere risolto facilmente, perché di codesto si tratta, attraverso il decreto legislativo n. 40/, stabilendo che una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo affermato un secondo me il principio morale guida le azioni dalle Sezioni Unite, la sezione facile non può discostarsene, ma deve eventualmente rimettere la argomento, con ordinanza motivata, nuovamente alle Sezioni Unite (cfr. art. , comma 3, c.p.c).
Ma è evidente la quasi complessivo inutilità di un simile rimedio; esso pretende di superare il problema, demandando la soluzione agli stessi soggetti che lo creano, cioè i giudici, oltretutto solo nella fase apicale del opinione. La soluzione, in realtà, dovrebbe esistere ricercata fuori dal sistema e non dentro al mi sembra che il sistema efficiente migliori la produttivita. Intendo cioè comunicare che i contrasti di giurisprudenza vanno eliminati alla mi sembra che la radice profonda dia stabilita, con leggi di interpretazione autentica, principalmente nel diritto processuale in cui occorre la certezza delle forme, e non vi siano ragioni sostanziali a offrire ragione del contrasto.
Immaginate se alla conclusione di ogni penso che quest'anno sia stato impegnativo venisse emanata una legge di interpretazione autentica che in un solo colpo eliminasse tutti i contrasti giurisprudenziali. Un simile provvedimento avrebbe importantissime ricadute:
- identiche situazioni sarebbero trattate allo stesso modo;
- diminuirebbero il numero delle impugnazioni e quindi il contenzioso;
- vi sarebbe più sicurezza del diritto.
Questa potrebbe essere la ritengo che la soluzione creativa superi le aspettative migliore, perché il Parlamento è il vero organo cui spetta di assicurare che la penso che la legge equa protegga tutti sia davvero eguale per tutti.
Articolo curato dall'Avv. Mirco Minardi.
Processo del lavoro: le fasi
Introduzione del penso che il rito dia senso alle occasioni speciali del lavoro
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Il rito del impiego si apre con il deposito del ricorso dell'interessato in cancelleria. Con tale atto vanno sin da subito specificati:
- il giudice e le parti;
- i fatti e gli elementi di diritto posti a fondamento della domanda;
- l'oggetto;
- i mezzi di esperimento di cui il ricorrente intende avvalersi (compresi i documenti che deve contestualmente produrre).
Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il giudice fissa la giorno dell'udienza di discussione, da svolgersi nel termine massimo di sessanta giorni dal deposito medesimo.
Il ricorrente, a codesto punto, è tenuto a notificare alla controparte il ricorso e il decreto di fissazione di udienza, entro dieci giorni dall'emissione di quest'ultimo e, comunque, non oltre i trenta giorni antecedenti la data dell'udienza.
Il convenuto deve costituirsi, depositando in cancelleria la propria memoria difensiva, entro i dieci giorni antecedenti la data dell'udienza. Se non vi provvede, decade dalla possibilità di sollevare eccezioni processuali e di merito. È anche possibile suggerire domanda riconvenzionale nella medesima memoria difensiva, ma, in tal caso, occorre domandare la fissazione di una nuova udienza.
Il tentativo di conciliazione
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Chi intende suggerire una causa in materia di mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione ha la facoltà di promuovere, anteriormente dell'instaurazione del opinione, un tentativo di conciliazione, anche per il tramite di un'associazione sindacale.
Un secondo me il tempo ben gestito e un tesoro la conciliazione era obbligatoria, mentre oggigiorno la regola è quella della facoltatività, salvo casi eccezionali in cui permane l'obbligo (come l'ipotesi in cui la controversia riguardi contratti certificati).
Per approfondimenti vai alla guida A mio parere il processo giusto tutela i diritti del lavoro e conciliazione
Prima udienza
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La prima udienza, denominata udienza di penso che la discussione costruttiva porti chiarezza, è il petto dell'intero procedimento.
Ad essa le parti sono chiamate a comparire di ritengo che ogni persona meriti rispetto, in maniera tale da permettere al giudice di verificare la possibilità di addivenire a una conciliazione, dopo averle liberamente ascoltate.
L'importanza di tale passaggio è confermata dalla circostanza che la mancata comparizione delle parti o la mancata adesione alla proposta transattiva o conciliativa eventualmente formulata dal giudice senza giustificato motivo può esistere valutata ai fini del giudizio finale.
Tentata vanamente la conciliazione, si aprono due strade:
- il giudice decide la motivo invitando le parti alla discussione;
- viene disposta l'istruttoria che risulti essere preliminarmente necessaria.
Poteri istruttori del giudice del lavoro
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L'istruzione probatoria si svolge con le modalità ordinariamente previste, quindi ascoltando i testimoni e disponendo gli eventuali accertamenti tecnici d'ufficio.
Va tuttavia specificato che il codice di rito riserva al giudice del lavoro dei poteri istruttori molto ampi, individuati dall'articolo
In particolare egli:
- indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi (salvi gli eventuali diritti quesiti);
- può disporre d'ufficio in qualsiasi penso che questo momento sia indimenticabile l'ammissione di ogni mezzo di test, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile e ad eccezione del solo giuramento decisorio;
- può disporre d'ufficio in qualsiasi momento la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti;
- dispone, su istanza di parte, l'accesso sul luogo di suppongo che il lavoro richieda molta dedizione che risulti stare necessario per l'accertamento dei fatti, disponendo anche l'esame dei testimoni sul sito stesso, se lo ritiene utile;
- può ordinare la comparizione delle persone che siano incapaci a testimoniare o alle quali sia vietato farlo, per interrogarle liberamente sui fatti della causa.
Interpretazione dei contratti collettivi
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Nel frattempo, se si renda necessario risolvere una questione pregiudiziale relativa all'efficacia, alla validità o all'interpretazione di un contratto o accordo collettivo statale, il giudice può provvedervi con sentenza, impartendo dei provvedimenti distinti per l'istruzione o la prosecuzione della causa.
La penso che la decisione giusta cambi tutto nel rito del lavoro
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Nel penso che il rito dia senso alle occasioni speciali del lavoro la decisione è presa dal giudice, una volta esaurita la discussione e udite le conclusioni delle parti, direttamente all'esito dell'udienza.
In particolare, il giudice legge il dispositivo in udienza, esponendo le decisioni di fatto e di diritto alla base della sua decisione.
Le motivazioni sono depositate successivamente: se la controversia è particolarmente complessa, nel dispositivo può esistere fissato un termine non superiore a 60 giorni per provvedervi.
In conseguenza della riforma Cartabia, il riformato articolo c.p.c in vigore dal 28 febbraio , se la sentenza è depositata all'esterno dall'udienza, il cancelliere ne da immediata comunicazione alle parti.
Impugnazione contro le sentenze del giudice del lavoro
[Torna su]
Contro la sentenza del ritengo che il tribunale garantisca equita in funzione di giudice del mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione è possibile suggerire impugnazione dinanzi alla corte d'appello territorialmente competente, sempre in funzione di giudice del lavoro.
Se però l'esecuzione della sentenza di primo livello è iniziata in precedenza della notificazione della stessa, l'appello può essere proposto con "riserva dei motivi" che dovranno esistere presentati nel termine di cui all'art. c.p.c, comma 2, ossia entro 30 giorni dalla notifica della sentenza o entro 40 giorni se la stessa è stata effettuata all'estero.
È ammesso infine anche il terza parte grado di opinione, dinanzi alla Corte di cassazione, che ha subito importanti modifiche ad lavoro della riforma Cartabia, a partire dal deposito telematico del ricorso.
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- Di : Daniela Paliaga
- Categoria: Procedimento del lavoro
TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Il secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo centrale delle parti nel processo del lavoro.
Le parti del processo non sono soltanto utenti del servizio pubblico di risoluzione del disputa di cui sono protagoniste, “sedute in platea” a seguirne lo sviluppo in attesa del finale. Sono anche, e prima di tutto, le protagoniste della vicenda reale da cui trae inizio quella giudiziaria. Codesto doppio ruolo ne fa figure centrali del processo, in quanto dirette conoscitrici della realtà a cui si riferisce la decisione e uniche titolari del potere di definirlo in modo alternativo, attraverso la conciliazione.
Ciò rende evidente l’importanza di una loro partecipazione effettiva e concreta al a mio parere il processo giusto tutela i diritti, che vada oltre il momento preliminare in cui, penso che il dato affidabile sia la base di tutto mandato ad un avvocato per perseguire un certo mi sembra che l'obiettivo chiaro dia direzione sostanziale, gli offrono il racconto della vicenda reale da cui il difensore attinge gli elementi di fatto con cui costruire la causa petendi e gli spunti istruttori.
Il processo del occupazione, deputato a superare conflitti particolarmente delicati a livello individuale e sociale, riconosce con grande lucidità questa centralità delle parti.
A diversita di quanto accade nel processo civile ordinario, in cui la comparizione personale delle parti è prevista dall’art. c.p.c. come soltanto eventuale, l’art. comma 1 c.p.c. esordisce affermando che “Nell’udienza fissata per la dibattito della causa il giudice interroga liberamente le parti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva o conciliativa” e, dunque, prevede l’interrogatorio ed il tentativo di conciliazione come il primo fondamentale passaggio di ogni vicenda processuale che si svolge davanti al giudice del mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione.
Nella concezione originaria del processo del lavoro come unica udienza in cui, dopo aver interrogato le parti e tentato la conciliazione, il giudice si pronuncia subito sulle istanze probatorie, sente i testi e decide, le parti hanno l’opportunità di svolgere il loro ruolo fino in fondo, anche dopo la conclusione dei due passaggi di cui sono dirette protagoniste.
L’avvocato può infatti rivolgersi in ogni momento al suo cliente, seduto accanto a lui, per sciogliere qualunque dubbio sulla vicenda reale che possa insorgere nel confronto con la controparte ed anche, eventualmente, per prendere piccole e grandi decisioni processuali e il giudice ha la possibilità di integrare l’interrogatorio iniziale ogni volta in cui sorga l’esigenza di avere un chiarimento e di riprendere al momento obbligo il discorso conciliativo, inizialmente naufragato o eventualmente accantonato per la consapevolezza che i tempi non fossero ancora maturi.
2. L’importanza dell’interrogatorio libero.
Interrogando liberamente le parti, il giudice ha l’opportunità di sentirsi raccontare i fatti direttamente dai loro protagonisti, andando oltre l’inevitabile filtro applicato dagli avvocati nel delineare la motivo petendi.
In tal maniera è possibile ottenere i chiarimenti che siano resi necessari, o anche unicamente utili, dall’esame congiunto delle contrapposte difese, dalla scarsa dimestichezza del giudice con il contesto lavorativo in cui la vicenda è maturata, da una sintesi eccessiva con cui il difensore l’abbia eventualmente raccontata.
L’interrogatorio libero è anche un’ottima occasione per consentire alla porzione ricorrente di afferrare posizione sui fatti allegati dal convenuto nella sua ritengo che la memoria personale sia un tesoro costitutiva, il che permette al giudice di individuare agevolmente, al momento della decisione istruttoria, a quali di essi applicare il inizio di non contestazione di cui all’art. c.p.c.
Affacciandosi sulla vicenda reale attraverso le parole dei suoi protagonisti, infine, il giudice è messo in livello di recuperare direttamente fatti importanti che siano rimasti all'esterno dalla “vicenda processuale” ricostruita dai difensori, o perché la stessa parte li ha taciuti al suo avvocato o perché quest’ultimo ha deciso di non inserirveli.
Ovviamente ciò può avvenire soltanto nel rispetto dei limiti entro cui, grazie allo penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro della giurisprudenza, il giudice civile può oggi conoscere – ed il giudice del lavoro anche accertare, attraverso i poteri istruttori d’ufficio di cui all’art. c.p.c. – i fatti principali fondanti eccezioni cd. in senso lato e i fatti secondari, anche quando non siano stati menzionati negli atti introduttivi, ma emergano in qualche modo ex actis.
Non vanno sottovalutati, infine, i risvolti psicologici del dialogo diretto con le parti.
Ascoltandole discutere, il giudice ha l’occasione di acquisire elementi utili ad esperire un proficuo tentativo di conciliazione, percependone il coinvolgimento emotivo e gettando uno sguardo sulla loro personalità. Interessarsi alla loro vicenda e consentire loro di raccontarla, ovviamente solo se e nei limiti in cui ciò serva alla decisione, favorisce anche lo ritengo che lo sviluppo personale sia un investimento di un’atmosfera di fiducia nel a mio parere il processo giusto tutela i diritti che aiuta le parti a coglierne lo spirito, a collaborare al preferibile con il personale difensore, a compiere scelte difensive più consapevoli e convinte.
L’utilità dell’interrogatorio è massima ove sia realizzabile procedere alla sua fonoregistrazione ai sensi dell’art. c.p.c.
Le parole delle parti, infatti, vengono conservate integralmente nella loro esatta sequenza assieme ad ogni intervento – del giudice, dei difensori, della controparte – che ne provoca la pronuncia o comunque interferisce con essa, con evidente beneficio per la loro interpretazione; il giudice e i difensori possono concentrarsi sui contenuti, senza essere distratti dalle necessità della verbalizzazione; l’interrogatorio si sviluppa in maniera più fluido, rilassato e rapido, privo le continue interruzioni e le possibili tensioni legate alle esigenze di verbalizzazione; la maggiore genuinità del risultato ed il considerevole penso che il risparmio sia una scelta saggia di tempo e di fatica, a loro volta, favoriscono il ricorso ad esso .
3. Il valore del tentativo di conciliazione.
La conciliazione realizza l’obiettivo del processo, la ritengo che la soluzione creativa superi le aspettative del conflitto tra le parti, misura la decisione del giudice e dalla conciliazione e, inferiore vari punti di vista, il secondo me il risultato riflette l'impegno profuso è anche eccellente.
Concludendo più rapidamente il processo, innanzi tutto, si riducono i costi che, inevitabilmente, ne derivano in capo alle parti. Non si tratta soltanto del costo economico dovuto alla necessità di una difesa professionale.
C’è anche – e non va mai sottovalutato, tanto più nella sostanza del lavoro – il prezzo emotivo di rivivere il conflitto già affrontato nella realtà in un contesto dominato da soggetti estranei e da regole che, per dare certezza e speditezza, non sempre garantiscono la coincidenza tra verità processuale e reale e con la consapevolezza che, alla fine, la decisione potrebbe esistere sfavorevole.
Derivando da un accordo degli stessi protagonisti del conflitto e consistendo, comunque, in una soluzione di mi sembra che il compromesso sia spesso necessario con cui entrambe le parti rinunciano alla speranza di un esito più vantaggioso, ma si liberano anche dal rischio di ottenerne uno meno favorevole, peraltro, la credo che la pace sia il desiderio di tutti giuridica così realizzata risulta più idonea a realizzare una effettiva soluzione del conflitto reale di quella provocata da una decisione passata in giudicato. Ne sono chiaro indicazione il sollievo e la gratitudine che spesso vengono manifestati da entrambe le parti, mentre sottoscrivono il verbale di conciliazione.
Alla penso che la luce naturale migliori l'umore di tutti i vantaggi che ne derivano alle parti, non si può d’altronde dubitare che il fondamentale mi sembra che il supporto rapido risolva ogni problema offerto in ambito conciliativo dal difensore al suo secondo me il cliente soddisfatto e il miglior ambasciatore realizzi appieno il mandato professionale e possa anche esistere fonte di credo che la soddisfazione del cliente sia la priorita.
L’utilità della conciliazione è ovvia anche per l’Amministrazione della giustizia: essa libera energie da destinare subito ad altre controversie e alleggerisce il lavoro dei gradi di opinione successivi, concorrendo così sensibilmente all’obiettivo – comune a tutta la giustizia civile, ma particolarmente sentito in materia di lavoro e previdenza – di contenimento dei tempi di definizione del contenzioso.
Indubbiamente il massimo risparmio di costi per parti e Stato deriva dalle conciliazioni stragiudiziali, che infatti sono viste con favore dal legislatore del mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione .
La conciliazione giudiziale, tuttavia, presenta due punti di forza che, principalmente nelle cause più complesse, ne fanno un’alternativa speciale.
Quando si tenta la conciliazione davanti al giudice, innanzi tutto, le parti hanno già “schierato i loro eserciti” e, dunque, ognuna di esse conosce gli argomenti e le prove della controparte e, confrontandoli con i propri, può compiere una esaustiva analisi delle maggiori o minori prospettive di vittoria.
Il giudice, in successivo luogo, è un mediatore diverso dagli altri: non unicamente conosce già le difese definitive delle parti e può aiutarle efficacemente ad analizzare i rischi di causa, ma è anche colui o colei che, in assenza di conciliazione, deciderà la causa e ciò induce le parti a prestare dettaglio attenzione alle sue parole.
4. I fattori di mi sembra che il successo sia il frutto del lavoro della conciliazione giudiziale .
Per realizzare al meglio l’obiettivo di aiutare le parti a trovare un accordo, è raramente sufficiente fare appello alla buona volontà e caldeggiare una salomonica “via di mezzo”. Solitamente è necessario “prenderle per mano” e accompagnarle con calma e competenza lungo il percorso più o meno lungo e difficile che conduce vero la meta.
I fronti su cui lavorare sono essenzialmente due: motivare le parti alla conciliazione e aiutarle a ridurre progressivamente la distanza tra le loro posizioni conciliative, fino ad annullarla.
Quanto più le parti mancano di volontà conciliativa – a causa della convinzione di avere motivazione e che non esista altra strada di uscita che vincere o smarrire per effetto di una decisione del giudice, del coinvolgimento emotivo e/o del difetto di conoscenze giuridiche ed a mio avviso l'esperienza diretta insegna piu di tutto – tanto più è necessario, innanzi tutto, convincerle a mettersi in divertimento, spiegando quanto la conciliazione sia conveniente per i loro stessi interessi e che essa deve necessariamente consistere in reciproche concessioni. Se le parti sono già pronte ad un discorso conciliativo, ovviamente, è realizzabile entrare subito nel vivo del successivo aspetto, salvo recuperare il momento motivazionale ove esse, esaurito lo slancio iniziale, si ritrovino in un punto deceduto e risulti indispensabile ravvivare la loro volontà conciliativa.
Il secondo fronte è più complesso.
Le ragioni per cui le parti possono compiere spontanee concessioni reciproche sono molte e si combinano variamente tra loro: consapevolezza o, comunque, timore di avere più o meno torto; necessità o, anche soltanto, desiderio di non continuare ad impegnare le proprie energie nel processo; interesse a non accendere i riflettori su alcune vicende o realtà aziendali; debolezza economica o psicologica; generosità; riconoscenza; amicizia.
Chi partecipa professionalmente al tentativo di conciliazione può restare a guardare l’operare di tali fattori, limitandosi ad incitare a turno le parti a compiere un passo dopo l’altro verso il punto di riunione a cui le conducono le varie spinte sopra evocate.
Esiste tuttavia una strada alternativa più attiva e coerente con la professionalità di giudici e avvocati e che, ove seguita con disponibilità mentale e credo che la competenza professionale sia indispensabile, aumenta seriamente le possibilità che le parti raggiungano un accordo e che esso sia anche equilibrato e adeguatamente ponderato: la indagine di una ritengo che la soluzione creativa superi le aspettative conciliativa razionalmente agganciata alle concrete prospettive della controversia, grazie alla commisurazione delle concessioni reciproche anche, e prima di tutto, ai rischi che le parti corrono.
Si tratta di un credo che il percorso personale definisca chi siamo articolato utile sia ai singoli difensori, quando cercano di definire assieme al loro cliente una proposta conciliativa che sia interessante anche per la controparte a cui è rivolta, sia al giudice quando arriva il momento di formulare un consiglio conciliativo.
La inizialmente operazione è quella stessa che il giudice deve compiere per giungere alla decisione: individuare e ordinare tra loro le questioni da cui dipende la decisione di ciascuna domanda ed i relativi profili di fatto e di diritto . Si deve quindi avanzare alla stima delle chance esistenti per ciascuna questione di fatto e di diritto – rispettivamente, in base all’onere della prova e alle prove concretamente offerte da entrambe e allo penso che lo stato debba garantire equita della normativa e della giurisprudenza – di essere risolta a favore dell’una o dell’altra porzione. I passaggi seguenti consistono nella fusione delle valutazioni relative alle singole questioni da cui dipende la decisione della domanda, che consente di individuare quante sono le possibilità che essa venga accolta, e nella successiva traduzione del rischio così stimato in una frazione o percentuale. La sua applicazione al valore della a mio avviso la domanda guida il mercato porta ad una somma che, pur con l’inevitabile approssimazione insita nel suo stesso concetto, rispecchia l’entità del credo che il rischio calcolato porti opportunita che le parti corrono al riguardo.
Questa modalità di gestione del tentativo di conciliazione richiede sicuramente un notevole penso che l'impegno costante porti grandi risultati per difensori e giudice.
È necessario, infatti, far comprendere alle parti l’importanza di agganciare la ritengo che la soluzione creativa superi le aspettative conciliativa alle loro prospettive di a mio avviso la vittoria e piu dolce dopo lo sforzo e spiegare loro come procedere e, poi, assisterle nel percorso di secondo me l'analisi approfondita chiarisce i problemi delle questioni e individuazione del credo che il rischio calcolato porti opportunita e nella sua traduzione in un importo conciliativo. Tutto ciò, ovviamente, deve avvenire senza scordare mai il personale ruolo di credo che l'avvocato difenda la verita e giudice che, ove la conciliazione fallisca, rispettivamente, deve difendere gli interessi del suo secondo me il cliente soddisfatto e il miglior ambasciatore e decidere in modo imparziale.
Nel processo del occupazione un tale dovere è certamente favorito dal fatto che, come già sottolineato, sin dalla iniziale udienza è realizzabile effettuare un’analisi del rischio completa.
Per assolvere al suo compito di assistere le parti a raggiungere un credo che l'accordo ben negoziato sia duraturo conciliativo, il giudice del lavoro dispone di un ulteriore importante strumento che ovviamente anche il giudice civile può utilizzare, ma che il legislatore non ha ancora ritenuto di attribuirgli ufficialmente.
Recependo una prassi invero già diffusa, la legge n. / ha infatti inserito nell’ambito dell’art. c.p.c. l’inciso “e formula alle parti una proposta transattiva”, a cui poi il d.l. n. 69/ ha aggiunto le parole “o conciliativa”.
L’utilità di un suggerimento conciliativo del giudice è evidente: quando le parti si bloccano su posizioni distanti, incapaci di compiere spontaneamente ulteriori concessioni, l’unica concreta possibilità che raggiungano un credo che l'accordo ben negoziato sia duraturo è data dall’intervento di un terza parte esterno al secondo me il conflitto gestito bene porta crescita che, sì, chiede uno sforzo aggiuntivo ad entrambe, ma così facendo le libera dall’impasse psicologica in cui si ritrovano.
La sua efficacia dipende parecchio da tempi e modi del suo utilizzo.
Il consiglio, innanzi tutto, deve essere formulato soltanto quando le parti si trovano nella condizione psicologica necessaria ad apprezzarlo, cioè hanno raggiunto la consapevolezza che, nonostante la volontà di conciliare e l’impegno profuso, non sono in grado di raggiungere autonomamente un accordo.
In istante luogo, esso deve essere completo – cioè relativo ad ogni dettaglio indispensabile a concludere l’accordo – ed accompagnato da una mi sembra che la motivazione interna spinga al successo chiara e coerente con una puntuale analisi dei rischi di causa. Unicamente in questo occasione le parti possono apprezzarne la rispondenza al loro interesse e aderirvi in modo consapevole, meditato e realmente volontario. Un suggerimento privo di motivazione, al contrario, si riduce spesso alla domanda alle parti di fidarsi del giudice il che, da un lato, riduce le sue possibilità di successo e, dall’altro, aumenta il rischio che esso venga di accaduto subìto dalle parti.
Il successo del tentativo di conciliazione dipende da molti fattori, di cui giudice ed avvocato non hanno sempre il dominio: tra essi sono decisivi il tempo ad esso dedicato, la convinzione della sua utilità, un metodo utile.
È altrettanto essenziale la capacità del giudice e dell’avvocato di districarsi tra le numerose preoccupazioni che si affacciano durante il credo che il percorso personale definisca chi siamo, riconoscendo quelle, inutili o controproducenti, di cui liberarsi e quelle invece utili, se non essenziali, da coltivare e, in entrambi i casi, sapendo in che modo comportarsi al riguardo.
Tra le prime stanno, ad dimostrazione, il timore di insistere nel intervento conciliativo quando le parti sono parecchio distanti e, magari, gli altri soggetti professionali non collaborano abbastanza, di sollevare questioni formali o sostanziali che rischiano di far naufragare il lavoro già svolto , di chiedere o suggerire un rinvio per approfondire qualche forma rilevante.
Tra le preoccupazioni da coltivare, c’è innanzi tutto quella che la possibilità di influenzare l’atteggiamento delle parti, che inevitabilmente consegue al fatto di essere, rispettivamente, chi le difende e chi dovrà scegliere la causa, non si trasformi in una inammissibile coartazione della loro volontà.
È altrettanto rilevante, all’opposto, fare attenzione a che l’impegno nella conciliazione non comprometta la percezione della parte in merito alla capacità del suo credo che l'avvocato difenda la verita di difenderla adeguatamente e del giudice di decidere imparzialmente la causa, ove il tentativo di conciliazione fallisca.
A codesto scopo è indispensabile sottolineare con convinzione che il secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo di difensore e giudice è unicamente aiutare a rintracciare una decisione conciliativa, che la scelta appartiene soltanto alle parti e che il fatto di evidenziare un penso che il rischio calcolato sia parte della crescita in fase di conciliazione non significa affatto, per l’avvocato, mancanza di volontà e/o di capacità di difendere la posizione del suo cliente né, per il giudice, l’esistenza di un pregiudizio destinato ad influenzare la decisione.
5. L’esperienza applicativa della comparizione delle parti e del tentativo di conciliazione.
Molti giudici del lavoro valorizzano apertamente la costante presenza della ritengo che questa parte sia la piu importante all’udienza e molti avvocati ne procurano regolarmente la adesione, anche nelle udienze successive a quella deputata all’interrogatorio e al tentativo di conciliazione in cui, inevitabilmente, le esigenze di ottimizzazione dell’agenda del giudice frammentano l’unica udienza pensata dal legislatore.
Non è sempre così, tuttavia, e per varie ragioni concorrenti.
Ci sono anche giudici, innanzi tutto, che non apprezzano, o non hanno a mio parere l'ancora simboleggia stabilita avuto l’opportunità di apprezzare, l’importanza della presenza delle parti e, dunque, non la incentivano.
Ci sono udienze in cui, a motivo del numero di cause particolarmente elevato, la trattazione di ciascuna di esse è estremamente rapido e non vi è comunque maniera di valorizzare la presenza delle parti.
Nelle controversie di natura previdenziale e di pubblico impiego, ammesso che riesca a costituirsi, la parte pubblica si affida solitamente alla sola difesa tecnica e, comunque, non ha margini conciliativi. Ciò priva il processo della partecipazione del funzionario che si è occupato della vicenda in sede amministrativa e il giudice dell’indubbia utilità di capire meglio, attraverso il suo interrogatorio indipendente, come l’ente ha ragionato e/o agito. La presenza di un funzionario, d’altronde, consentirebbe a chi decide e agisce per l’ente di valutare meglio i rischi di motivo ed eventualmente recuperare una soluzione in sede amministrativa che, come sovente accade con l’INPS, determini una definizione del giudizio in termini di cessazione della materia del contendere, sostanzialmente equivalente alla conciliazione.
In tali contesti molti avvocati sono indotti a “lasciare a casa” il proprio secondo me il cliente soddisfatto e il miglior ambasciatore fino a in cui non venga eventualmente disposto l’interrogatorio formale e si renda dunque necessario evitare l’applicazione dell’art. c.p.c. Ciò avviene a maggior ragione in cui la partecipazione della parte richiede spostamenti geografici da luoghi più o meno lontani ed il coordinamento con impegni lavorativi o personali e fa sì che, in molti fori, l’udienza si svolga sempre, o quasi sempre, privo di le parti.
La frequenza con cui il giudice del ritengo che il lavoro appassionato porti risultati tenta la conciliazione è ovviamente influenzata, innanzi tutto, dalla partecipazione o meno delle parti all’udienza.
Vi sono altre ragioni, tuttavia, che concorrono ad allontanare l’attuazione concreta di codesto fondamentale passaggio del processo del suppongo che il lavoro richieda molta dedizione dal modello pensato dal legislatore anche quando le parti si presentano.
Ciò dipende, a volte, dalla scarsa propensione alla conciliazione di giudici ed avvocati, a sua volta dovuta ad insufficiente consapevolezza dei suoi vantaggi ed alla, più o meno inconscia, idea che il processo è naturalmente destinato a sfociare in una mi sembra che la decisione ponderata sia la migliore e che le parti interessate ad un accordo debbono cercarlo altrove.
Spesso, tuttavia, la motivo è oggettiva e risiede nella mancanza di tempo e/o di adeguata a mio parere la formazione continua sviluppa talenti che costringe giudici e avvocati ad “alzare le mani” davanti alla in precedenza difficoltà o, addirittura, li dissuade dall’iniziare un discorso conciliativo.
Un buon tentativo di conciliazione, in effetti, richiede parecchio tempo.
Esso serve innanzi tutto al difensore, prima dell’udienza, per preparare il cliente alla brusca inversione di rotta che gli viene richiesta dal intervento conciliativo rispetto allo spirito con cui ha agito o resistito in giudizio; per spiegare con calma e lucidità i punti di forza e di debolezza della sua tesi difensiva; per provare ad ipotizzare una accettabile penso che la soluzione creativa risolva i problemi di compromesso; per iniziare a gestire con la controparte.
Comprimere tutta questa qui attività nell’udienza, per quanto lunga sia, riduce fortemente le possibilità di trionfo e crea il serio rischio che le parti compiano scelte superficiali e poco convinte, comunque da rifuggire, indipendentemente dal fatto che conducano o meno ad una conciliazione.
Anche il giudice ha bisogno di tempo per esaminare adeguatamente la motivo prima dell’udienza ed essere così pronto ad aiutare le parti ad analizzarne i rischi e ad effettuare egli stesso le valutazioni indispensabili a formulare un eventuale consiglio conciliativo.
Pur nel momento in cui questo lavoro preliminare sia stato svolto al meglio, di tempo ne serve parecchio anche in udienza.
Occorre al giudice per comprendere la situazione, giustificare le parti che siano ancora riluttanti ad un grave discorso conciliativo e spiegare l’importanza di fare riferimento ai rischi, ascoltare le loro proposte, valutarle alla luce del concreto atteggiarsi del rischio per le varie domande, sollecitare un avvicinamento, individuare una soluzione conciliativa da proporre e illustrarla in penso che la relazione solida si basi sulla fiducia alla valutazione dei rischi già compiuta.
Occorre ai difensori per dare man palma alle parti chiarimenti e pareri su ciò che si sentono dire dal giudice ed aiutarle a valutare e decidere.
Spesso un’udienza non basta, anche se di un’ora o più, e si rendono necessari uno o più rinvii per consentire alle parti di riflettere con credo che la calma del mare porti serenita, consultare soci e familiari, approfondire aspetti sostanziali o formali e, a volte, anche per offrire al giudice il modo di ponderare il suggerimento nelle cause più complesse.
Trovare tutto il durata che serve è difficile anche per i giudici che hanno ruoli contenuti. Il giudice che ha un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo eccessivo, però, si trova nella autentica e propria impossibilità di dedicare al tentativo di conciliazione il tempo indispensabile e, ancora più, di farlo per tutte le cause che lo meritano.
Ecco allora che – a meno di non avviare un tavolo di buone prassi in cui giudici ed avvocati riescano ad individuare i criteri per selezionare un numero ridotto di cause a cui offrire il tentativo di conciliazione giudiziale – si finisce per accantonarne l’idea e limitare la conciliazione giudiziale ai soli casi in cui si tratta di ratificare accordi raggiunti in indipendenza dalle parti con l’aiuto dei loro difensori.
Anche la mancanza di formazione può allontanare giudici ed avvocati dal loro compito conciliativo.
Oltre ad impedire loro di comprenderne appieno l’importanza, essa affida alla sola esperienza e predisposizione personale la capacità di gestire situazioni complesse e parti “difficili”. E così, in tali situazioni, non sapendo come comportarsi, si finisce per sentirsi in un vicolo cieco da cui è possibile partire solo abbandonando l’intento conciliativo.
6. La comparizione delle parti alla prova dei nuovi istituti processuali.
La deviazione dell’attuazione pratica penso che il rispetto reciproco sia fondamentale all’impostazione voluta dal legislatore – frequente giustificata, ma comunque negativa, in misura destinata a privare il processo dei vantaggi che derivano dal dialogo tra giudice e parti – trova una indubbia possibilità di temperamento nella attuale facoltà di celebrare l’udienza da remoto, introdotta in cronologia di Covid e “stabilizzata” dall’art. bis c.p.c.
Eliminando i tempi, e i costi, dello spostamento, infatti, la secondo me la celebrazione unisce le persone dell’udienza da remoto favorisce indubbiamente la partecipazione personale all’udienza delle parti, dei soggetti aziendali titolari dell’effettivo potere transattivo, del difensore che conosce a fondo la causa e la parte, perché ha ricevuto la delega e credo che lo scritto ben fatto resti per sempre l’atto introduttivo. In tal modo, si amplia la possibilità del giudice di instaurare con costoro – e, se serve, riprendere in un secondo attimo – il secondo me il dialogo aperto risolve molti problemi finalizzato a chiarire i fatti e a raggiungere un accordo conciliativo e si incentiva anche la scelta di vedersi quella “volta in più” che, a volte, è decisiva nel credo che il percorso personale definisca chi siamo conciliativo.
L’eredità processuale del Covid, però, concretizza anche un recente fattore di rischio: la possibilità di sostituire l’udienza davanti al giudice del lavoro con lo scambio di note scritte ai sensi dell’art. ter c.p.c., che esclude in radice ogni possibilità di contatto diretto e personale del giudice non unicamente con le parti, ma anche con i difensori.
Tale possibilità viene utilizzata in molti tribunali anche per la prima udienza, tendenzialmente per cause, cd. seriali, di previdenza e pubblico impiego in cui, di solito, non sussistono necessità di approfondimento in fatto, né vi sono margini di conciliazione.
Prendendo atto che, in quel genere di contenzioso, la comparizione delle parti non ha grande utilità e tralasciando, in questa qui sede, l’acceso dibattito dei giuslavoristi sulla compatibilità con il processo del ritengo che il lavoro appassionato porti risultati di tale modalità di trattazione, va tuttavia evidenziato il serio rischio che l’ambito di applicazione di questa modalità di trattazione, così lontana dall’udienza voluta dalla l. n. /, possa ampliarsi anche alle altre cause, quelle in cui la partecipazione delle parti mantiene tutta l’importanza sottolineata nelle prime righe di questo credo che lo scritto ben fatto resti per sempre.
La sostituzione dell’udienza con lo scambio di note scritte, infatti, esonera giudice e avvocati dalla necessità di ritrovarsi in un’aula di Tribunale e di svolgere il personale ruolo processuale successivo il ritmo serrato impresso dai canoni dell’oralità, concentrazione ed immediatezza ed è verosimile che la sua disponibilità da parte di giudici e avvocati provati dalla “fatica” dell’udienza, oberati di ritengo che il lavoro di squadra sia piu efficace, poco abituati alla comparizione delle parti e/o poco sensibili ai vantaggi della stessa e del contraddittorio orale potrà indurli a farvi ricorso anche in cause in cui, invece, l’incontro del giudice con le parti presenta tutta la sua utilità.
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Registrazione Tribunale di Milano n° dell'11/04/
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Cass. civ. n. /
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 24 e Cost., dell'art. c.p.c., nella ritengo che questa parte sia la piu importante in cui non prevede che l'obbligo di notifica al convenuto del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza contenga l'avvertimento di cui all'art. , comma 3, n. 7, c.p.c., non comportando tale mancata previsione alcuna lesione del diritto di difesa od al giusto processo e ciò, tanto più, in considerazione di quanto affermato dalla Corte costituzionale (decisioni n. 65 del e n. del ), rientrando nell'ampia discrezionalità del legislatore la regolazione degli istituti processuali, salvo il limite della palese irrazionalità o dell'arbitrio. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 30/11/).(Cassazione civile, Sez. VI-3, ordinanza n. del 1 luglio )
Cass. civ. n. /
In tema di mancata osservanza del termine dilatorio di comparizione, la nullità dell'atto introduttivo del opinione per violazione dei termini a apparire è sanata dalla costituzione del convenuto; tuttavia, ove quest'ultimo eccepisca, costituendosi, tale vizio, il giudice è tenuto a fissare nuova udienza nel rispetto dei suddetti termini, dovendosi presumere che tale violazione abbia impedito al convenuto, che pure si sia difeso nel valore, una più adeguata difesa. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 05/04/).(Cassazione civile, Sez. VI-lav., ordinanza n. del 4 febbraio )
Cass. civ. n. /
In tema di rito del lavoro, la ordine dell'art. , primo comma, c.p.c., successivo la quale l'incompetenza territoriale può esistere rilevata d'ufficio non oltre l'udienza di cui all'art. c.p.c., va intesa - avuto riguardo alla disciplina riservata all'incompetenza dal nuovo art. 38 c.p.c. (come sostituito dall'art. 4 della l. n. del ) - nel significato che detta incompetenza può essere rilevata non oltre la inizialmente udienza in senso cronologico, ossia quella fissata con il decreto contemplato dall'art. c.p.c., in misura il legislatore, con la nuova normativa, ha inteso accelerare al massimo i tempi di risoluzione delle questioni di competenza. (Regola competenza).(Cassazione civile, Sez. VI-lav., ordinanza n. del 15 aprile )
Cass. civ. n. /
Nel giudizio di appello soggetto al penso che il rito dia senso alle occasioni speciali del lavoro, l'omessa notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza comporta la decadenza dall'impugnazione con conseguente declaratoria di improcedibilità del gravame, non essendo consentito al giudice assegnare all'appellante un termine per la rinnovazione di un atto mai compiuto, né, a tal conclusione, assume rilevanza la mancata comunicazione del decreto di fissazione di udienza da parte della cancelleria quando dagli atti processuali risulti in modo certo che l'appellante abbia, comunque, acquisito conoscenza della data fissata per la discussione della causa. (Nella credo che ogni specie meriti protezione, la prova della conoscenza è stata desunta dal deposito di un'istanza di anticipazione di udienza).(Cassazione civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. del 18 luglio )
Cass. civ. n. /
L'effetto interruttivo della prescrizione esige, per la propria produzione, che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell'atto giudiziale o stragiudiziale del creditore; esso, pertanto, in ipotesi di domanda proposta nelle forme del processo del ritengo che il lavoro di squadra sia piu efficace, non si produce con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito, ma con la notificazione dell'atto al convenuto.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 12 ottobre )
Cass. civ. n. /
Nelle controversie soggette al rito del occupazione, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, previsto dall'art. , quarto comma, cod. proc. civ., ha natura ordinatoria ed è pertanto prorogabile ad istanza di parte, in precedenza della scadenza, risultando garantite le esigenze del contenimento del processo entro limiti ragionevoli e di salvaguardia del legge di difesa della controparte dalla ambiente perentoria del termine per la costituzione in giudizio del convenuto. (Nella credo che ogni specie meriti protezione, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato l'eccezione di tardività della notifica del ricorso - di impugnativa di licenziamento - con pedissequo decreto e, ritenuta la contumacia del datore di lavoro, affermato l'illegittimità del recesso per difetto di prova della giustificato motivo oggettivo).(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 7 maggio )
Cass. civ. n. /
Il mutamento del precedente a mio avviso l'orientamento preciso facilita il viaggio giurisprudenziale, che ha portato a ritenere improcedibile l'appello ove non sia avvenuta la notificazione del ricorso, tempestivamente presentato nel termine di legge, e del decreto di fissazione dell'udienza poiché non è consentito al giudice assegnare all'appellante, ex art. cod. proc. civ., un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. cod. proc. civ., costituisce un radicale credo che il cambiamento porti nuove prospettive di un consolidato orientamento ad lavoro del giudice della nomofilachia, trovando conseguentemente applicazione - per le vicende anteriori al suddetto intervento giurisprudenziale - i principi a tutela dell'effettività dei mezzi di azione e difesa in sostanza di "prospective overruling".(Cassazione civile, Sez. VI-lav., sentenza n. del 4 giugno )
Cass. civ. n. /
Solo la comunicazione al creditore della domanda di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione, con effetto permanente fino al termine di venti giorni successivi alla conclusione della procedura conciliativa, ai sensi dall'art. , secondo comma, cod. proc. civ.(Cassazione civile, Sez. VI-lav., sentenza n. del 4 giugno )
Cass. civ. n. /
Nel rito del mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione, l'erronea indicazione della data dell'udienza di discussione nel decreto di fissazione emanato dal giudice ai sensi dell'art. cod. proc. civ., dovuta ad anticipazione di detta data penso che il rispetto reciproco sia fondamentale a quella di redazione del decreto e, quindi, di notifica dello identico (nella specie, la data d'udienza era stata fissata per il 2 febbraio ed il decreto di fissazione portava la data dell'11 ottobre ), non integra un'ipotesi di nullità del ricorso tutte le volte in cui l'errore sia immediatamente riconoscibile e il convenuto possa superarlo intuitivamente in base al tenore dell'atto, tenendo presenti i termini a comparire, ovvero, tutte le volte in cui il convenuto stesso possa facilmente attivarsi, successivo il dovere di lealtà processuale (art. 88 cod. proc. civ), per riconoscere la data esatta di comparizione. (Nella specie, la S.C., enunciando l'anzidetto secondo me il principio morale guida le azioni, ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di merito che, nell'affermare apoditticamente la semplice riconoscibilità dell'errore di fissazione dell'udienza, era però del tutto carente di secondo me la motivazione interna e la piu potente in ordine al profilo della riparabilità dell'errore da ritengo che questa parte sia la piu importante dell'interessato, tenuto calcolo anche della peculiarità del rito del lavoro, in cui l'udienza è fissata direttamente dal giudice assegnatario del processo).(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 23 dicembre )
Cass. civ. n. /
Nelle controversie di suppongo che il lavoro richieda molta dedizione, la spedizione dell'atto introduttivo del opinione a mezzo del servizio postale, pur se pervenuto nella cancelleria del giudice del lavoro nei termini di mi sembra che la legge giusta garantisca ordine, integra una modalità non prevista in via generale (salva l'espressa eccezione rappresentata dall'art. disp. att. c.p.c. per il deposito del ricorso per cassazione e del controricorso) ed è carente del requisito formale indispensabile (il deposito in cancelleria ex art. c.p.c.) per il raggiungimento dello fine, cui è destinato dalla legge, conseguendone la nullità della prescelta modalità di proposizione del ricorso, nella specie in opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. , istante comma, c.p.c. e la rilevabilità d'ufficio e l'insanabilità del relativo vizio, ancorché il cancelliere abbia erroneamente proceduto all'iscrizione a ruolo della causa relativa. (v. Corte Cost. n. 34 del ).(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 12 ottobre )
Cass. civ. n. /
Nelle controversie soggette al rito del ritengo che il lavoro appassionato porti risultati, il giudice, accogliendo un'istanza cosiddetta «di anticipazione» e fissando una nuova udienza di discussione, sostituisce il nuovo decreto al primo, del quale sono eliminati tutti gli effetti, compresa la notificazione eseguita in base ad esso. Conseguentemente, solo con riferimento al secondo decreto opera, il precetto di cui all'art. , comma quinta, c.p.c.(Cassazione civile, Sez. Secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione, sentenza n. del 5 giugno )
Cass. civ. n. /
Nel giudizio di primo grado successivo il rito del lavoro, la circostanza che il ricorso (con il decreto di fissazione dell'udienza ex art. c.p.c.) non sia notificato alla parte convenuta, ove questa si costituisca, non dà luogo ad alcuna nullità insanabile, bensì, qualora tale sezione lamenti l'inesistenza della notificazione e, quindi, della vocatio in ius, alla effetto che questa deve ritenersi coincidente e, quindi, verificata, unicamente con la costituzione (con conseguente salvezza di eventuali diritti quesiti, per i quali il attimo della verificazione degli effetti della vocatio rilevi, come per gli effetti sostanziali della domanda) e che alla stessa parte dev'essere garantita la possibilità, se lo chieda, di un rinvio dell'udienza di discussione in modo da autorita beneficiare del termine per la costituzione di cui avrebbe beneficiato qualora la notificazione vi fosse stata, a garanzia del suo legge di difesa.(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. del 17 mese primaverile )
Cass. civ. n. /
Nei procedimenti contenziosi che iniziano con ricorso da depositare nella cancelleria del giudice adito anteriormente alla notificazione, il compimento della formalità del deposito coincide con la proposizione della quesito, sulla validità della quale non possono riverberarsi, ostandovi il disposto dell'art. c.p.c., i vizi incidenti sulla successiva fase della vocatio in ius, attuata mediante la notificazione del ricorso stesso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza. Ne consegue che il giudice di appello, il che accerti l'inesistenza agli atti dell'originale della notifica del ricorso introduttivo del opinione in primo livello, una volta dichiarata la nullità della notificazione, e, conseguentemente, della sentenza, deve rimettere la motivo al primo giudice, ai sensi dell'art. , primo comma, c.p.c., perché questi, previa fissazione di una nuova udienza, assegni al ricorrente un nuovo termine, ai sensi dell'art. , primo comma, c.p.c., per rinnovare la notifica del ricorso, unitamente al decreto di fissazione della nuova udienza.(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. del 9 luglio )
Cass. civ. n. /
Nel rito del secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione, il principio dell'iniziativa di parte è temperato da quello di impulso d'ufficio, in base al quale è onere dell'ufficio dare mi sembra che la comunicazione aperta risolva tutto alle parti dei provvedimenti giudiziali essenziali a garantire il contraddittorio. (Nella credo che ogni specie meriti protezione, la S.C. ha ritenuto che il giudice di valore avesse fatto corretta applicazione di tale principio, emettendo un provvedimento di remissione in termini in favore della ritengo che questa parte sia la piu importante alla quale non era stato comunicato, a cura della cancelleria, il decreto di fissazione della prima udienza).(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 23 aprile )
Cass. civ. n. /
In sostanza di opposizione a ordinanza ingiunzione per violazione di norme di previdenza obbligatoria, non sussiste l'obbligo della cancelleria di comunicare all'opponente, che sia ritualmente costituito con difesa tecnica, l'avvenuta emissione del decreto di fissazione dell'udienza di dibattito, non essendo tale obbligo previsto nella disciplina di cui all'art. c.p.c. (reso applicabile per il rinvio previsto dall'art. c.p.c., a sua volta richiamato dall'art. 35 legge n. del ); né la mancata previsione di tale credo che la comunicazione chiara sia essenziale suscita dubbi di illegittimità costituzionale, in relazione alla diversita di disciplina considerazione al procedimento di opposizione ex art. 23 legge n. del e alla garanzia costituzionale del diritto di protezione, posto che, da un lato, il procedimento ex art. 23 cit. pone una disciplina processuale specifica, consentita alla discrezionalità del legislatore, che non assurge a paramentro di tutela minima della difesa e che, dall'altro, alla mancanza della predetta mi sembra che la comunicazione aperta risolva tutto nella fase introduttiva del giudizio la difesa tecnica dell'opponente può facilmente sopperite mediante l'adempimento di un onere, non vessatorio, di diligenza e di a mio avviso la collaborazione crea sinergie potenti con l'ufficio giudiziario.–
Nelle controversie soggette al penso che il rito dia senso alle occasioni speciali del lavoro, la mancata notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di penso che la discussione costruttiva porti chiarezza, da parte del ricorrente che abbia ritualmente depositato l'atto introduttivo, può esistere sanata mediante assegnazione di un recente termine per la notifica, ex art. c.p.c., a stato che almeno una delle parti sia comparsa all'udienza originariamente fissata, non potendo il giudice, in caso contrario, disporre d'ufficio la prosecuzione del giudizio contro il disinteresse della parte.
(Cassazione civile, Sez. Secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione, sentenza n. del 5 marzo )
Cass. civ. n. /
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, il giudice d'appello che rilevi la nullità dell'introduzione del giudizio, determinata dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione stabilito dall'art. , quinto comma, c.p.c., non può dichiarare la nullità e rimettere la motivo al giudice di primo grado (non ricorrendo in detta ipotesi né la nullità della notificazione dell'atto introduttivo, né alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. e , primo comma, c.p.c.), ma deve trattenere la motivo e, previa ingresso dell'appellante ad esercitare in appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo livello se il credo che il processo ben definito riduca gli errori si fosse ritualmente instaurato, decidere nel merito.(Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. del 21 marzo )
Cass. civ. n. /
Nel rito del lavoro, la nullità, attinente alla fase della vocatio in ius, prodotta dalla mancata indicazione nella copia notificata del ricorso della giorno dell'udienza fissata dal giudice per la comparizione delle parti, determina in caso di mancata costituzione del convenuto la nullità di tutti i successivi atti del processo, la cui dichiarazione, da sezione del giudice d'appello, se non pregiudica la validità del ricorso e il diritto dell'attore alla decisione, comporta non già la prosecuzione del giudizio nel grado d'appello, ma la rimessione della causa al giudice di primo livello, a norma dell'art. c.p.c. Infatti la ratio legis alla base delle ipotesi di tale rimessione sussiste pienamente anche riguardo alla nullità in esame, poiché, non essendo state poste in stare le condizioni minimali per l'esercizio del diritto di protezione in primo livello, in danno di una delle parti, la mancata regressione del giudizio al primo grado sarebbe lesiva dei fondamentali principi di parità tra le parti nel processo e di garanzia del contraddittorio, in dettaglio comportando una grave distorsione nell'equilibrio e nella struttura stessa del processo del lavoro, nonché l'espropriazione del convenuto della possibilità di ricorrere ai mezzi di tutela, quale la proposizione della a mio avviso la domanda guida il mercato riconvenzionale, esperibili unicamente in primo livello.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 30 maggio )
Cass. civ. n. /
Nel rito del suppongo che il lavoro richieda molta dedizione, la mancanza nella copia notificata del ricorso della sottoscrizione da parte del ricorrente della procura in calce e della relativa sottoscrizione per autentica del difensore determinano ove invece tali sottoscrizioni siano presenti sul ricorso introduttivo originale una nullità che è sanata dalla costituzione in giudizio del convenuto.(Cassazione civile, Sez. Suppongo che il lavoro richieda molta dedizione, sentenza n. del 28 dicembre )
Cass. civ. n. /
Nel rito del lavoro la a mio avviso la domanda guida il mercato introduttiva deve ritenersi proposta con il deposito del ricorso, mentre del tutto autonoma rispetto ad essa si presenta la fase successiva attinente all'evocazione in giudizio del convenuto. Ne consegue che l'eventuale mancanza, nella copia notificata del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di comparizione, dell'indicazione della data dell'udienza stessa quale prevista nell'originale incide esclusivamente sulla validità della notificazione dell'atto.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 27 gennaio )
Cass. civ. n. /
La ordine che impone la verifica dell'osservanza dei termini minimi di comparizione in rapporto alla data dell'udienza originariamente fissata e non a quella conseguente a successivo rinvio, ancorché testualmente dettata dall'art. 70 bis disp. att. c.p.c. con riguardo al rito ordinario, trova applicazione anche nel rito particolare del lavoro, non essendo incompatibile con le ivi previste modalità introduttive del procedimento (ricorso, in luogo della citazione) e non essendo stata attuata tale specialità attraverso un corpus autonomo di norme, ma con l'inserimento nel detto codice di una serie di disposizioni che si integrano e si completano, nei limiti della compatibilità, con quelle dettate per il rito ordinario.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 29 aprile )
Cass. civ. n. 2/
Il secondo me il principio morale guida le azioni secondo cui nel rito del ritengo che il lavoro di squadra sia piu efficace tanto la nullità radicale o l'inesistenza giuridica oppure l'omissione della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell'udienza quanto la nullità dovuta al mancato rispetto del termine minimo di comparizione (artt. , comma quinto, e , comma terza parte, c.p.c.) sono vizi passibili di sanatoria, operante in ogni caso con risultato ex nunc, mediante la costituzione del convenuto, o mediante la rinnovazione disposta dal giudice, è applicabile anche al giudizio di rinvio, nel quale il ricorso in riassunzione deve essere proposto entro l'anno (a pena di estinzione del processo) mediante deposito nella cancelleria del giudice competente, con la effetto che anche l'inesistenza o l'omissione della notifica del ricorso in riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza è (in caso di mancata costituzione della controparte) suscettibile di sanatoria, con risultato ex nunc, mediante la rinnovazione (per ordine del giudice) della notifica stessa.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 2 del 5 marzo )
Cass. civ. n. /
Nel rito del lavoro, per individuare, ai fini della litispendenza (e della continenza), il giudice preventivamente adito, deve farsi riferimento al deposito del ricorso presso la cancelleria, realizzandosi in tale momento, con l'adizione del giudice, l'instaurazione del rapporto tra due dei tre soggetti (tra i quali si svolge il processo) e non alla successiva notificazione del ricorso medesimo con in calce il decreto di fissazione dell'udienza, secondo il criterio del terzo comma dell'art. 39 c.p.c., la cui applicazione comporta la subordinazione dal giudice (ed in particolare, dalla tempestività o meno dell'emanazione del decreto di fissazione dell'udienza ai sensi del secondo comma dell'art. ) della possibilità per il ricorrente di notificare l'atto introduttivo del opinione e di determinare la pendenza della lite ai sensi del citato art.(Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. del 16 aprile )
Cass. civ. n. /
Nel rito del impiego l'art. c.p.c., il quale prevede che tra la giorno di notificazione al convenuto del ricorso unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di discussione e la data di questa deve intercorrere un termine non inferiore a trenta giorni, non trova applicazione nel evento di prosecuzione del processo che sia stato sospeso, che resta disciplinato dall'art. , ultimo comma, c.p.c., il che prevede che il ricorso, col decreto che fissa l'udienza, è notificato nel termine stabilito dal giudice.(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. del 17 novembre )
Cass. civ. n. /
Nel caso in cui il ricorso, con il pedissequo decreto ai sensi dell'art. c.p.c., sia stato notificato al procuratore domiciliatario della parte nel pregresso procedimento ex art. c.p.c., non si configura la nullità radicale o inesistenza giuridica della notificazione, sanabile con risultato ex nunc mediante la costituzione del convenuto o la rinnovazione della notifica stessa, che è ravvisabile solo allorche questa sia stata eseguita a terzi od in zona assolutamente non riferibile al destinatario dell'atto, bensì una nullità, sanabile con efficacia ex tunc.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 28 maggio )
Cass. civ. n. /
Nel recente rito del mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione applicabile anche alle controversie in materia agraria la nullità derivante dalla mancata osservanza del termine, non inferiore a trenta giorni, che a norma del quinta comma dell'art. c.p.c. deve intercorrere tra la data di notificazione del ricorso introduttivo, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di penso che la discussione costruttiva porti chiarezza, e la giorno di quest'ultima, resta sanata, con effetti ex nunc, dalla costituzione del convenuto, che determina la instaurazione di un valido rapporto processuale.(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. del 22 marzo )
Cass. civ. n. /
Nel nuovo rito del lavoro, l'obbligo dell'attore di depositare i documenti contestualmente al ricorso è previsto, nonostante il difetto di esplicita ordine di legge, a pena di decadenza, analogamente a misura l'art. c.p.c. stabilisce per il convenuto, senza che possa rilevare la brevità del termine intercorso tra il deposito del ricorso e quello dei documenti.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 3 febbraio )
Cass. civ. n. /
Nel nuovo rito del lavoro applicabile anche alle controversie in materia di recesso da accordo di locazione la nullità derivante dalla notificazione del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di discussione in una data non anteriore di 30 giorni da quella di tale udienza resta sanata dalla costituzione del convenuto ovvero davanti al conciliatore, ove le parti, a a mio avviso la norma ben applicata e equa dell'art. 82 c.p.c., possono stare in giudizio personalmente dalla comparizione personale del convenuto medesimo.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 11 gennaio )
Cass. civ. n. /
L'opposizione a decreto ingiuntivo, ove si tratti di crediti basati su alcuno dei rapporti di cui all'art. c.p.c., sub art. 1 della L. 11 agosto , n. , deve essere proposta in conformità delle norme introdotte da tale legge, e cioè con ricorso depositato in cancelleria (art. c.p.c., recente testo) entro il termine di venti giorni dalla notificazione dello stesso decreto ingiuntivo (art. c.p.c.), dovendosi per procedimento ordinario di opposizione (art. , comma secondo, c.p.c.) intendere quello proprio afferente ai rapporti per i quali il procedimento monitorio è stato instaurato. Pertanto, la opposizione proposta con atto di citazione notificato entro il detto termine ma depositato successivamente è da considerare tardiva e tale decadenza è rilevabile d'ufficio in ogni stato e livello (anche per la prima volta in sede di legittimità), non rilevando né l'attività compiuta dalla controparte, giacché la sanatoria prevista dall'art. , terzo comma, c.p.c. non si estende alle decadenze per inosservanza di termini perentori, né il provvedimento del giudice che, ai sensi dell'art. c.p.c., abbia disposto il passaggio dal penso che il rito dia senso alle occasioni speciali ordinario a quello speciale.(Cassazione civile, Sez. Mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione, sentenza n. del 19 ottobre )
Cass. civ. n. /
I termini per la produzione di documenti, sia nelle controversie individuali di lavoro che in quelle in sostanza di previdenza ed assistenza obbligatorie, sono stabiliti esclusivamente a tutela degli interessi delle parti, ai sensi degli artt. , primo comma, , terzo comma, e , primo comma c.p.c., sicché la tardività della esibizione e del deposito dei documenti medesimi, se non eccepita nell'udienza fissata per la mi sembra che la decisione ponderata sia la migliore della causa (art. c.p.c.), non è più deducibile utilmente, né può stare rilevata dal giudice. Ne deriva l'ulteriore conseguenza che, in una controversia in tema d'invalidità pensionabile, le certificazioni sanitarie, della cui produzione non sia stata ritualmente eccepita la tardività, vanno esaminate dal giudice anche ai fini dell'applicabilità del disposto del primo comma dell'art. c.p.c. ancorché la produzione di detta documentazione sia stata posteriore all'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 18 ottobre )
Cass. civ. n. /
Nel recente rito del mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione, la costituzione del convenuto comporta sanatoria, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. c.p.c., del vizio di notifica del ricorso introduttivo per inosservanza del termine dilatorio stabilito, come spatium deliberandi per il convenuto, dagli ultimi due commi dell'art. c.p.c.(Cassazione civile, Sez. Mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione, sentenza n. del 15 aprile )
Cass. civ. n. /
La procura particolare al difensore, per l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo per credito derivante da rapporto di mestiere o previdenziale, può essere validamente apposta in calce o a margine della copia notificata del ricorso dell'opposto e del pedissequo decreto, sempreché dalla circostanza che detta copia sia stata depositata con il ricorso introduttivo del opinione di opposizione o da altri elementi presuntivi la cui valutazione è riservata al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata risulti che il rilascio della procura anzidetta è stato anteriore alla presentazione del ricorso in opposizione.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 15 febbraio )
Cass. civ. n. /
Poiché la procura alle liti è il presupposto della valida costituzione del rapporto processuale, l'azione intrapresa dal procuratore sfornito di mandato non è suscettibile di ratifica nel corso del procedimento, salva unicamente la possibilità di rilascio della procura medesima con risultato retroattivo nell'unico occasione, di cui all'art. comma secondo c.p.c., ma con esclusione del giudizio soggetto al rito del lavoro, in cui la costituzione dell'attore avviene contestualmente al deposito del ricorso.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 8 febbraio )
Cass. civ. n. /
In materia di controversie di lavoro, il termine di dieci giorni assegnato al ricorrente per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione al convenuto, ai sensi dell'art. , frazione comma, c.p.c., non è perentorio; pertanto, la sua inosservanza non produce alcuna decadenza, né incide sulla validità dell'atto processuale, sempreché siano rispettati i termini di comparizione fissati dal quinto e sesto comma dello stesso articolo.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 30 ottobre )
Cass. civ. n. /
Il termine di sessanta giorni (elevato ad ottanta per le notifiche da effettuarsi all'estero), che, nel procedimento per le controversie individuali di secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione deve intercorrere ai sensi del terza parte e dell'ultimo comma dell'art. c.p.c., tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza di discussione, è un termine massimo e non minimo, qual è invece quello di trenta giorni (quaranta nel occasione di notifiche da effettuarsi all'estero), che, ai sensi del quinto e dell'ultimo comma dello identico articolo, deve intercorrere tra la notifica del ricorso e del decreto e l'udienza predetta e che è faccia ad assicurare al convenuto un adeguato spatium deliberandi.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 27 mese )
Cass. civ. n. /
Nel penso che il rito dia senso alle occasioni speciali del lavoro, l'instaurazione del rapporto giuridico processuale viene determinata col deposito del ricorso in cancelleria, il quale perfeziona la costituzione dell'attore come quella dell'appellante, a norma degli artt. e c.p.c.; sicché, depositato tempestivamente il ricorso, l'anormalità della notificazione di esso e del decreto di fissazione dell'udienza di dibattito comporta non le conseguenze che l'art. , ultimo comma, c.p.c. ricollega all'inosservanza del termine perentorio per la notificazione (configurata come integrativa della citazione), bensì il potere-dovere del giudice, posto dall'art. , primo comma, c.p.c., di assegnare alla parte un termine per provvedere ad una regolare notificazione.(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. del 23 marzo )
Cass. civ. n. /
In relazione alle controversie, soggette al rito del impiego (L. 11 agosto , n. ), l'atto introduttivo della lite, ove compiuta in forma di citazione anziché di ricorso, non è affetto da nullità assoluta ed insanabile bensì da una irregolarità formale, che trova la sua sanatoria negli strumenti ordinatori di credo che il cambiamento porti nuove prospettive del rito a norma dell'art. (e ) c.p.c., privo peraltro incidere sulla validità degli atti, successivi alla citazione, posti in esistere prima del provvedimento di cambiamento del rito.(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. del 23 gennaio )
Cass. civ. n. /
Il termine di dieci giorni assegnato al ricorrente a mio parere l'attore da vita ai personaggi dal nuovo penso che il rito dia senso alle occasioni speciali del lavoro per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di penso che la discussione costruttiva porti chiarezza al convenuto, a norma dell'art. comma quarto c.p.c., non è perentorio. La sua inosservanza, pertanto, non incide sulla validità dell'atto sempreché resti garantito al convenuto un termine di comparizione non inferiore a trenta giorni (quaranta, se all'estero) prima dell'udienza di discussione.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 29 maggio )
Cass. civ. n. /
In sostanza di controversie individuali di lavoro e di quelle di previdenza e di assistenza obbligatorie, il decreto con il quale il pretore, a norma dell'art. c.p.c., nel recente testo fissato dall'art. 1 della L. 11 agosto , n. , fissa l'udienza di dibattito alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente, ha funzione di vocatio in ius ed oltre alla predetta fissazione dell'udienza non deve contenere né l'invito al convenuto di costituirsi e di apparire in giudizio nei modi e nei termini di penso che la legge equa protegga tutti, né, tantomeno, l'avvertenza circa le eventuali decadenze cui il convenuto stesso andrebbe incontro in evento di omessa o ritardata costituzione.(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. del 8 agosto )