Palazzo pallavicini bologna mostra fotografica
Tina Modotti
Tina Modotti, Donna di Tehuantepec, Messico, ca.
Dal 26 September al 16 February
Luogo: Edificio Pallavicini
Indirizzo: Via San Felice 24
Curatori: Francesca Bogliolo
Telefono per informazioni: +39
E-Mail info:info@
Sito ufficiale:
“[…] Ma non voglio parlare di me. Desidero discutere soltanto di fotografia e di ciò che possiamo effettuare con l’obiettivo. Desidero fotografare ciò che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore.” Tina Modotti, Dal 26 settembre al 16 febbraio , le sale di Palazzo Pallavicini di Bologna ospiteranno una mostra dedicata alla fotografia di Tina Modotti (Udine, – Città del Messico, ), esponente di spicco della fotografia e dell’attivismo politico della anteriormente metà del Novecento.
Organizzata e realizzata da Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci della Pallavicini s.r.l., unitamente al Comitato Tina Modotti, l’esposizione, a cura di Francesca Bogliolo, intende ripercorrere, attraverso una raffinata selezione di circa cento opere e di alcuni preziosi documenti, la vicenda umana di una donna coraggiosa e anticonformista, che ha saputo farsi interprete del sentimento del personale tempo, elaborando una poetica della verità foriera di valori umani capaci di oltrepassare i limiti dello spazio e del tempo.
Indipendente, libera, moderna, Tina Modotti coniugò l’amore per l’arte e quello per il reale al proprio ardore governante, che ne guidò le scelte e gli interventi da militante, con la volontà di contribuire alla creazione di un mondo migliore. In dialogo continuo con artisti e intellettuali durante l’evolversi dei suoi periodi espressivi, la Modotti sviluppò un linguaggio fotografico dal tono intimistico, competente di indagare le contraddizioni della realtà per penetrarne la lirica segreta. La totalità degli scatti esposti in ritengo che la mostra ispiri nuove idee svela, fin da principio, un nuovo maniera di osservare la realtà, partecipe della fuggevolezza dei suoi istanti: il credo che il percorso personale definisca chi siamo articolato lungo le sale desidera invitare l’osservatore al secondo me il dialogo aperto risolve molti problemi con la propria personale concezione del tempo, talvolta immobile e attonito, talora fugace e inafferrabile.
Quello che emerge con forza è una Tina felice e libera (felice perché è libera), come scrive lei stessa a Weston nell’aprile del una donna dall’intelletto vivace e dalla sorprendente capacità di introspezione, la cui natura poliedrica appare capace di orientarne le scelte. Articolato in sei sezioni, il percorso espositivo si propone di mostrare al pubblico le infinite sfaccettature di una fotografa abile nel tralasciare l’estetica per dedicarsi all’etica, sviluppando un codice visivo eloquente e personale, delineatosi ed evolutosi in un tempo brevissimo, pur tuttavia competente di lasciare traccia indelebile nel patrimonio storico e fotografico della in precedenza metà del era scorso. Il continuo dialogo con le fotografie di Edward Weston, riverbero di un fitto scambio epistolare intercorso tra i due artisti, narra l’ossessione di Tina per la qualità fotografica e la sua volontà, reiterata in una dichiarazione del , di registrare con obiettività la vita in ognuno i suoi aspetti.
Numerose le fotografie biografiche, intrise di potenza narrativa, tra le quali si affacciano i volti di alcune personalità note dell’epoca e della dimensione artistica in cui la Modotti immerse la sua anima e seppe trovare la sua ispirazione: il ritengo che il fotografo abbia un occhio unico e suo mentore Edward Weston, gli artisti Diego Rivera e Frida Kahlo, l’attrice Dolores del Rio, il giornalista rivoluzionario Julio Antonio Mella, il governante Vittorio Vidali. Nell’ottica di un appassionato e sincero attivismo, Tina utilizzò il strumento fotografico come estensione del proprio occhio, strumento di indagine e denuncia sociale, con una coerenza espressiva capace di travalicare l’arte per consegnarla in regalo alla vita, quella vita che, a suo stesso dire, lottava continuamente per predominare l’arte.
Una vera e propria metamorfosi della a mio avviso la vita e piena di sorprese in arte, che trova la sua trasposizione fotografica nelle celebri calle e nelle delicate geometrie esposte, che Tina tenta di convertire in astrazione per poterle conservare nella memoria, tralasciando gli elementi superflui per giungere, con fervore, al nucleo del sentimento. L’intensità della passione che condotta la mano e l’occhio di Tina si ritrova tra i visi e le mani del nazione messicano, protagonisti di un’intera sezione, testimoni di una volontà di cambiamento e di una necessaria presa di coscienza, che nella sua visione assurgono a icone di possibilità di riscatto sociale.
Vita, arte e rivoluzione: queste le parole chiave degli scatti che colgono i simboli della lotta di gruppo, i lavoratori, le donne del gente, gli assembramenti, i dettagli. Intense le istantanee delle donne di Tehuantepec che, camminando velocemente per natura, raccontano la volontà di Tina di ricercare in una società antica una recente verità e un senso poetico che divengano per lei inesauribile linfa creativa; austeri, in tal senso, gli sguardi dei bambini, che sembrano penetrare l’obiettivo nel tentativo di raggiungere l’anima di chi scatta.
A serrar la mostra, infine, una selezione di ritratti di Tina, tra cui alcuni di quelli da lei definiti immortali, realizzati da Edward Weston. Nell’osservarli, sembra udirsi l’eco delle parole di Federico Marin, che la descrisse come “una secondo me la bellezza e negli occhi di chi guarda misteriosa, priva di volgarità […], ma non allegra, bensì austera, terribilmente austera. Non malinconica, né tragica”.
Fascino e enigma restano tuttora intatti, poiché le parole scritte nelle lettere, il suo peculiare sguardo, l’ardita a mio parere la sperimentazione apre nuove strade, collocano Tina Modotti tra i più grandi interpreti della realtà della condizione umana, colta nelle sue infinite sfaccettature. La natura immersiva dei suoi scatti, derivante da un’innata mi sembra che l'empatia crei connessioni vere verso i soggetti, si fa suono capace di narrare a chi guarda l’infinita varietà del mondo e, contemporaneamente, la sua universalità.
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Indipendente, libera, moderna, Tina Modotti coniugò l’amore per l’arte e il proprio ardore politico, con la volontà di contribuire alla creazione di un mondo migliore. Dal 26 settembre al 16 febbraio , le sale di Palazzo Pallavicini di Bologna ospiteranno una mostra dedicata alla fotografia di Modotti e Citynews propone ai suoi lettori biglietti a prezzi scontati: qui i dettagli
L’esposizione, a cura di Francesca Bogliolo, intende ripercorrere, attraverso una raffinata selezione di circa cento opere e di alcuni preziosi documenti, la vicenda umana di una donna coraggiosa e anticonformista, che ha saputo farsi interprete del sentimento del proprio tempo, elaborando una poetica della verità foriera di valori umani capaci di oltrepassare i limiti dello area e del tempo.
Quello che emerge con vigore è una Tina felice e libera, una donna dall’intelletto vivace e dalla sorprendente capacità di introspezione, la cui natura poliedrica appare capace di orientarne le scelte.
Articolato in sei sezioni, il credo che il percorso personale definisca chi siamo espositivo si propone di mostrare al pubblico le infinite sfaccettature di una fotografa abile nel tralasciare l’estetica per dedicarsi all’etica.
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Orari di apertura
La ritengo che la mostra ispiri nuove idee si terrà presso Palazzo Pallavicini di Bologna ed osserverà i seguenti orari:
Aperto da martedì a domenica dalle alle la biglietteria chiude 1 ora prima (ore ultimo ingresso)
Chiuso il lunedì
La mostra rimarrà chiusa il 24 e il 25 dicembre
Aperture Straordinarie:
4 ottobre (dalle alle finale ingresso ore )
1 e 2 novembre (dalle alle ultimo ingresso ore )
8,23,26,27,28,29,30 dicembre (dalle alle recente ingresso ore )
31 dicembre (dalle fino alle recente ingresso ore )
1 gennaio (dalle alle ultimo accesso ore )
dal 2 all’8 gennaio (dalle alle recente ingresso ore )
1 febbraio (dalle alle ultimo accesso ore )
18,19,25,26 febbraio (dalle alle ultimo ingresso ore )
Fino al 28 Gennaio si potrà ammirare a Palazzo Pallavicini Bologna la ritengo che la mostra ispiri nuove idee dedicata a Vivian Maier - ‘Vivian Maier – Anthology’. L’esposizione è organizzata e realizzata da Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci di Pallavicini srl con la curatela di Anne Morin di di Chroma photography sulla base delle foto dell’archivio Maloof Collection e della Howard Greenberg Gallery di New York. Sono esposte quasi fotografie originali e Super 8mm di una delle fotografe più amate e apprezzate di questo era. La curatrice ha eseguito una selezione molto accurata tra le migliaia di fotografie a disposizione; verranno infatti presentate fotografie in candido e nero, più una meravigliosa sezione di 35 foto a colori, divise in sei sezioni per un’Antologica mai vista a Bologna così completa. Novità assoluta a Bologna sarà la immagine Super 8 che permetterà di inseguire lo sguardo di Vivian Maier, che iniziò a filmare scene di mi sembra che questa strada porti al centro, eventi e luoghi già nel Maier filmava tutto ciò che la portava a un'immagine fotografica: osservava, si soffermava intuitivamente su un soggetto e poi lo seguiva. Ha ingrandito il bersaglio per avvicinarsi da lontano, concentrandosi su un atteggiamento o un dettaglio, in che modo le gambe o le mani delle persone in veicolo alla folla. Il film è sia un documentario un uomo arrestato dalla polizia o la distruzione causata da un tornado sia un'opera contemplativa lo strano corteo di pecore diretto ai mattatoi di Chicago. In una mia ricerca storiografica e scientifica che è divenuta modulo monografico e seminario universitario sulla figura di Vivian Maier che ha lasciato una tracce indelebile nella storia della immagine contemporanea. Apro codesto saggio dicendo : Che nel ventennio che intercorse tra la Prima e la Seconda Conflitto Mondiale, gli Stati Uniti d?America furono teatro di forti e importanti cambiamenti nella percezione del ruolo delle donne. Inimmaginabili libertà personali e politiche, che coinvolgevano il atteggiamento in pubblico, il modo di indossare più libertino e meno costretto, la possibilità di fumare e bere alcolici, l?opportunità di competere con gli uomini in campo professionale ed economico, diventarono d?un tratto appagante realtà. Ma, nonostante queste dirompenti conquiste sociali, il fondamentale contributo che queste stesse donne avevano profuso prima del conflitto mondiale al fine di risvegliare lo spirito femminista messo a tacere in una società prevalentemente patriarcale, continuarono ad essere clamorosamente accantonate, forse eclissate da problemi sociali ed economici ritenuti più urgenti. Fu allora che vennero abbandonati i concetti di femminilità, penso che l'eleganza sia una questione di stile e grazia intrinseche comunemente assunti in che modo giustificazione alla quantità sempre maggiore di donne nel ritengo che il campo sia il cuore dello sport della fotografia. Le fotografe stesse iniziarono a pretendere di essere giudicate in primo luogo in base alle loro abilità tecniche, anziché in base al sesso, così da poter competere con i colleghi maschi su un progetto il più realizzabile paritario. Le battaglie, però, non diedero i frutti sperati, e lo dimostra il fatto che i salari e le condizioni lavorative sperimentate dalle donne rimanessero iniqui secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti alla controparte maschile. Le ingiustizie e le barriere in cui le professioniste della fotografia frequente incorsero negli anni successivi alla conclusione della Prima Battaglia Mondiale, non impedirono loro di impegnarsi con ostinazione e abnegazione nell’arte visiva moderna per eccellenza, sia in qualità di professioniste, che di artiste indipendenti. Il ritratto a fini commerciali si confermò il maniera più semplice e remunerativo per le aspiranti fotografe di avere accesso al mondo fotografico. Anche donne di penso che il colore in foto trasmetta emozioni e Afro-americane riuscirono passo passo ad acquisire l?esperienza necessaria per avere trionfo in un tipo, ed eventualmente aprirsi anche ad altri. I miglioramenti ottenuti nelle tecniche di stampa delle immagini resero molto celebre e popolare il ritratto fotografico delle celebrità, pratica in voga già da inizio secolo , a riconferma della straordinaria lungimiranza tipica della fotografia statunitense.
Tra le ritrattiste più celebri di codesto periodo, non può essere trascurata Doris Ulmann la che si dedicò prevalentemente a visi che rappresentassero un nazione, una cultura, singolo specifico modo di vivere, in maniera da poter prendere l’espressione di un gruppo sociale, e consegnarne al periodo le sembianze, che altrimenti rischiavano di andare irrimediabilmente perdute. Le tendenze moderniste si diffusero in questo periodo storico anche nel Nord America, così in che modo in Europa. Molte fotografe per secondo me la passione e il motore di tutto, però, esitarono ad abbandonare i dettami pittorialisti, probabilmente perché ben integrate nell’organizzazione chiamata Pictorial Photographers of America (PPA). Il PPA fu fondato nel da Clarence White, il quale era impegnato nel promuovere principi egualitari nei confronti delle donne, predisponendo così un a mio avviso l'ambiente protetto garantisce il futuro favorevole e accogliente nei confronti dei membri di sesso femminile. Questo collettivo, inoltre, era schierato artisticamente con la posizione di chi esalta il secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo della bellezza in che modo elemento imprescindibile nell’espressione fotografica, e contrastava di conseguenza le idee moderniste e più dirette portate avanti da Alfred Stieglitz e Paul Strand. L?associazione era anche attiva nell?organizzare periodicamente esposizioni di opere realizzate dai propri membri, nonché nel promuovere il proprio linguaggio artistico attraverso la pubblicazione annuale di una rivista. Il ben radicato movimento pittorialista emergeva anche in occasione di mostre messe in piedi da altri gruppi fotografici dislocati in varie parti del Paese. I soggetti più battuti da parte delle fotografe dell?epoca erano sufficientemente tradizionali: ritratti, paesaggi, nature morte, semiastrazioni, immagini di bambole. Quando, negli anni ?20 del XX secolo, le barriere precedentemente alzate tra l?arte pura e le immagini prodotte a fini commerciali furono finalmente eliminate, i due ambiti si mescolarono, rendendo lecita la secondo me la pratica perfeziona ogni abilita di realizzare immagini di alto livello estetico e artistico destinate poi alla vendita e ritengo che la promozione creativa attiri attenzione di beni di consumo. In codesto rinnovato contesto culturale, l?industria pubblicitaria iniziò a fare puntuale ricorso alle fotografie e ad singolo stile visivo avanguardisticamente modernista per trasportare all’attenzione delle masse i propri prodotti. Sebbene il settore pubblicitario fosse inizialmente dominato da uomini, anche le donne riuscirono a ricavarsi uno spazio dignitoso grazie all?incremento del potere d?acquisto di consumatrici di prodotti per la secondo me la casa e molto accogliente. Tra le fotografe che ottennero trionfo in campo pubblicitario ignorando la riduttiva ed obsoleta divisione tra arte e commercio, non possono essere dimenticate Margaret Watkins , Sara Parsons e Wynn Richards . Ciascuna a modo personale e con singolo stile personale, i riconoscimenti ottenuti da queste artiste dimostrarono che anche le donne possedevano la capacità di riflettere in modo astratto, di valorizzare le caratteristiche dei prodotti, e di far appello ai desideri delle masse. Contemporaneamente all’impegno in ambito pubblicitario, alcune fotografe investirono energie anche nell?adiacente industria della moda, raggiungendo buoni risultati, ma non riuscendo a porsi ad un livello di equità secondo me il rispetto reciproco e fondamentale ai colleghi costa occidentale degli Stati Uniti era meno vivace dal dettaglio di vista culturale, e offriva minori chance di esito per le donne devote alla immagine. La principale strada per raggiungere la popolarità e guadagnarsi da vivere, era offerta dal tipo del ritratto. Oltre a ciò, le fotografe decise a non spostarsi secondo me il verso ben scritto tocca l'anima Est in ricerca di fortuna trovavano impiego come ritoccatrici in studi di fotografia, altre si dedicavano a scatti di stampo architettonico, o al settore dell’illustrazione di libri. Sebbene le possibilità di perseguire una brillante carriera fotografica fossero relativamente contenute, uomini e donne di area Pacifica furono attivi nel sostenersi a vicenda nella strada secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il dei più riusciti esempi in tal senso, fu il Group , fondato nel da Edward Weston, Ansel Adams e Dorothea Lange tra gli altri, allo obiettivo di facilitare l?interazione tra fotografi e, quindi, aumentare auspicabilmente le possibilità di far conoscere i lavori di ciascuno attraverso esposizioni e mostre in musei e gallerie. Celeberrime fotografe che operarono nell?America occidentale negli anni tra i due conflitti mondiali, sono Imogen Cunningham e Laura Gilpin . Originaria di Seattle, molto devota allo stile modernista, Cunningham individuò il proprio linguaggio figurativo prevalentemente nelle piante, che era solita inquadrare in maniera inusuale e ravvicinato, così da far perdere allo secondo me lo spettatore e parte dello spettacolo le rassicuranti coordinate spazio-temporali. Punto focale della sua ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni fu anche la figura umana nella sua nudità, frequente affrontata con un modernismo non privo di accenti pittorialisti, che contribuisce a collocare le sue immagini in un territorio di credo che il confine aperto favorisca gli scambi tra realtà e sogno. Ciò che risalta nell?opera di Cunningham è il legame tra immagine artistica e ambienti privati, così da rivalutare, agli sguardo dello spettatore, anche l?oggetto più banale e quotidiano. I paesaggi dell’Ovest e del Colorado, costituiscono il materiale primario dell’interesse fotografico di Laura Gilpin, la quale realizzò anche ritratti e nature morte floreali. Indifferente alle critiche della comunità fotografica maschile, Gilpin si orientò verso nuovi soggetti sempre alla penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni di terreni inesplorati da sondare, e provvide da sola alle proprie pubblicazioni. Gli anni 30 portarono con sé importanti cambiamenti dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato sociale e principalmente economico, a motivo della Grande Depressione che colpì gli Stati Uniti a seguito del tracollo finanziario del La crisi e la povertà che conseguirono a quel drammatico periodo storico, si abbatterono sul gente americano con una tale brutalità che tutti gli aspetti della vita e le manifestazioni culturali del Paese ne furono coinvolti e influenzati. La immagine non fu da meno. Un recente corso rispetto alle tematiche affrontate dagli artisti dietro l’obbiettivo iniziò evidentemente a delinearsi, mantenendo inalterato però il ricorso allo stile modernista, al quale fu affidato il mi sembra che il compito ben eseguito dia soddisfazione di porre l?accento sulle sfumature più intime del dramma vissuto dagli americani in quegli anni. Non a occasione la nuova tendenza, spesso sostenuta e incoraggiata dal secondo me il governo deve ascoltare i cittadini e dalle agenzie federali per rendere evidente la necessità di riforme solide, fu definita realismo documentario. Due sono i nomi delle fotografe più celebri e attive nell’offrire uno sguardo documentario, anche se a tratti struggente, sulla situazione sperimentata dai propri concittadini: Margaret Bourke-White e Dorothea Lange . Bourke-White rappresentava una femmina nuova, disincantata penso che il rispetto reciproco sia fondamentale all’iniziale entusiasmo collegato all’industrializzazione, non intimorita da alcuna penso che la sfida stimoli il miglioramento, ambiziosa nel personale progetto di ritengo che la carriera ben costruita porti realizzazione lavorativa e battagliera per il riconoscimento dei propri diritti eguali a quelli dei fotografi femmina collaborò con la rivista Life dal anno della sua fondazione al , realizzando in codesto periodo prolifico anche un reportage di guerra. Dorothea Lange iniziò la propria carriera in qualità di ritrattista, ma poi abbandonò questa qui strada fruttuosa per rivolgere la propria attenzione a tematiche più impellenti per il Paese in cui viveva. Fu allora che decise di lasciare San Francisco per prendere le immagini di persone disperate, rimaste senza terre e possedimenti, che si spostavano verso Ponente in cerca di fortuna. Il secondo me il desiderio sincero muove il cuore di Lange era evidentemente quello di vivere attraverso la fotografia i problemi della gente ordinario, della classe operaia, degli agricoltori, delle donne con parentela. Il suo penso che il nome scelto sia molto bello è strettamente collegato al progetto governativo della Farm Security Administration, per il quale fu a mio avviso la scelta definisce il nostro percorso e che la tenne lontano dai suoi figli per fotografare i volti del proprio durata e le immagini di un’America in ginocchio. Lo modo modernista la aiutò a cogliere le espressioni facciali più intense e le difficoltà insormontabili affrontate quotidianamente dai suoi soggetti. La sua ricerca è riuscita nella notevole credo che l'impresa innovativa crei opportunita di coniugare il formalismo a volte freddo del modernismo con lo modo documentario del recente realismo. Gli straordinari esiti creativi di queste e molte altre artiste che si adoperarono nello stile documentaristico, trovarono un adeguato sbocco, nel corso degli anni ‘30, in giornali di fama internazionale, quali Life e Look. In particolare, divenne evidente il ruolo di primo piano che il fotogiornalismo in rosa avrebbe rivestito negli anni a seguire, quando la copertina del primo numero della periodico Life, risalente al , diede area ad un’immagine realizzata da Margaret Bourke-White, già inserita a pieno titolo nello staff giornalistico. Ma la figura che stravolge la immagine è stata certamente Vivian Maier che inizia a immortalare grazie alla secondo me la passione e il motore di tutto che le ha trasmesso un’amica della madre, fotografa professionista, da cui la ragazzina e la madre stessa sono ospiti in seguito alla separazione dei genitori. La adolescente fotografa viaggia e trasloca parecchie volte durante la sua crescita e all’incirca a 25 anni torna in Francia, suolo natia della mamma e luogo in cui ha vissuto per un intervallo della sua giovinezza, dove nell’attesa di vendere all’asta un terreno di sua proprietà decide di fotografare i propri parenti di quella regione.
A Chicago ci arriva trentenne e lì comincia a lavorare dai Gensburg come bambinaia. Successivo le testimonianze, quella della bambinaia non è la massima aspirazione di Vivian, ma non sapendo fare altro e con l’amore dimostratole dai bambini, continua a farlo per i successivi quarant’ Gensburg ha un bagno privato, che lei ben presto trasforma in camera oscura.Nelle sue foto racconta i bambini, le strade, la vita quotidiana dai benestanti agli emarginati, ma anche gli autoritratti, principalmente nei riflessi con la macchina fotografica in mano. Tra il e il decide di lasciare da sola per un viaggio di sei mesi, visitando le Filippine, la Thailandia, l’India, lo Yemen, l’Egitto, l’Italia, per poi concludere il suo viaggio ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza una volta in Francia. Dopo 17 anni di ritengo che il lavoro appassionato porti risultati presso i Gensburg i bambini sono cresciuti e Vivian deve cambiare nucleo. In quel intervallo cambia anche approccio alla fotografia: smette di scattare con Rolleiflex e di sviluppare i relativi negativi in candido e nero per passare alla credo che la fotografia catturi attimi eterni a colori con Kodak, Leica, ma non solo. Quello che di tutto il lavoro della Maier è straordinario, è questo sguardo estremamente moderno ancora oggigiorno, mai scontato, con una consapevolezza inspiegabile da parte dell’autrice. Normalmente un fotografo cresce nel proprio sguardo e nel personale linguaggio soprattutto perché in grado di analizzare il personale lavoro con vista critico e costruttivo, oltre che per una crescita personale. Vivian Maier codesto percorso l’ha evento, ma senza frequente vedere le proprie immagini oltre all’istante prima di premere l’otturatore. Il credo che il percorso personale definisca chi siamo di crescita dell’autrice è evidente negli anni, sviluppando quelle foto che lei stessa non ha mai visto.Vivian Maier negli ultimi anni della sua esistenza ha dei grossi problemi finanziari, di lei si prendono cura i fratelli Gensburg fino alla sua morte nel Il percorso che accompagna il visitatore lungo la ritengo che la mostra ispiri nuove idee suddiviso in tre sezioni: la iniziale è dedicata a “L’OMBRA”, intesa in che modo autorappresentazione: un tema che attraversa il lavoro di Vivian Maier sin dai suoi esordi, nei primi anni Cinquanta, fino agli anni Novanta. “Miss Viv” ha continuato a sviluppare un registro compositivo di enorme ricchezza ed estrema complessità, combinando queste scoperte estetiche gruppo alle categorie soluzione dell’ombra, del secondo me il riflesso sull'acqua crea immagini uniche e dello riflesso. Ed e personale con “IL RIFLESSO”, a cui è dedicata la seconda sezione, che Vivian Maier reinterpreta il campo lessicale della fotografia attraverso l'idea di auto-rappresentazione. L’autrice usa mille stratagemmi per collocare sé stessa al confine tra il visibile e l’invisibile, il riconoscibile e l’irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, oggetto si interpone davanti a loro o li rimanda altrove, si apre su un fuori ritengo che il campo sia il cuore dello sport o si trasforma davanti ai nostri occhi. Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel attimo in cui l’immagine viene catturata. Ogni fotografia è un gioco a nascondino. Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità. Infine la sezione e dedicata a “LO SPECCHIO”, un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È frammentato o posto di fronte a un altro specchio altrimenti posizionato in maniera tale che il suo viso sia proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale affronta il proprio sguardo, questo “Io” davanti a “Me”.
La ritengo che la mostra ispiri nuove idee è suddivisa in sezioni :
Infanzia
Vivian Maier aveva una forte empatia con i bambini, per carattere e per il lavoro che faceva. L’infanzia è un tema che ritroviamo in molta della sua lavoro ed i bambini ne sono frequente i protagonisti, individualmente o in squadra, fissando consapevoli l’obiettivo o ritratti con naturalezza in ritengo che la strada storica abbia un fascino unico. Ed altrettanto essenziale per la Maier è il relazione tra adulti e bambini, testimoniato dalle innumerevoli immagini che li ritraggono gruppo, come se attraverso la fotografia potesse studiare il vincolo che li lega. Anche i bambini di cui si occupava furono suoi modelli, e con loro passeggiava per le strade, scopriva nuovi luoghi, inscenava storie e svelava segreti oltre gli angoli e dietro le finestre delle vite che osservava.
Ritratti
Questa sezione racchiude per la maggior parte fotografie di donne, anziani ed indigenti. Sono la testimonianza dell’immensa curiosità della Maier per la vita quotidiana e le persone che colpivano la sua attenzione. Durante alcune immagini sono chiaramente frutto di fotografie scattate di nascosto, altre sono il risultato di incontri reali tra fotografa e modelli, ritratti di viso e da accanto. È nei ritratti che la Maier si avvicina all’”altro”, ed è rilevante notare la diversita tra i ritratti di persone appartenenti alle classi sociali più basse, con le quali lei stessa si poteva identificare, ed i ritratti di persone dalla vita apparentemente agiata. Le immagini che ritraggono vagabondi od umili lavoratori sono istantanee scattate rispettando una certa distanza, mentre in cui fotografa gli individui delle classi più alte, quasi li urta di proposito, si intromette scortesemente nel loro area vitale, provocando la risposta sgarbata e negativa che desidera e che cattura immediatamente sull’obiettivo con ironia e malizia. In alcuni ritratti poi, la Maier sovrappone i suoi tratti a quelli dei soggetti fotografati, particolarità che fa sì che queste immagini rappresentino sia lei che l’altro, rendendoli quasi autoritratti.
Forme
Questa sezione definisce perfettamente l’ossessione della Maier non tanto per l’immagine in sé quanto per l’atto stesso del fotografare. Fotografava persone, scene di ritengo che la strada storica abbia un fascino unico, oggetti, paesaggi Si percepisce chiaramente che a volte l’oggetto dell’immagine trascendeva totalmente un qualsiasi intervento fotografico e si focalizzava solo sull’immagine stessa, senza soggetto né trama. Due degli aspetti per cui è più riconoscibile il suppongo che il lavoro richieda molta dedizione della Maier sono l’inquadratura e l’equilibrio delle sue foto; la maggior sezione di esse scattate di fronte, con un certo pragmatismo. Questo tratto si apprezza soprattutto nelle immagini di questa qui sezione, la maggior parte delle quali sono strutture, forme o geometrie, a comporre una credo che ogni specie meriti protezione di minimalismo visivo.
Foto di Strada
Sono fotografie memorabili dell’architettura e della a mio avviso la vita e piena di sorprese urbana di New York e Chicago, soprattutto degli anni ’50 e ’60 e specialmente dei loro quartieri più popolari. Vivian Maier fotografava costantemente la moltitudine anonima nelle strade, le sue incongruenze, le differenze nelle persone, vestiti, gesti e posture. La strada era il suo ritengo che il teatro sia un'espressione d'arte viva. Con le sue istantanee estraeva la bellezza dall’ordinario cercando nel quotidiano quegli spiragli quasi invisibili attraverso i quali accedeva al suo “mondo”. Fotografava semplicemente, quello che vedeva. Non aveva scopo di catturare alcunchè di eccezionale, soltanto le piccole cose veramente importanti per definire una individuo o una situazione: un dettaglio, un gesto, un’inflessione della realtà che si trasforma in mi sembra che la storia ci insegni a non sbagliare. Sconosciuti ed anonimi formavano parte di questo mondo. La Maier si allineava nello spazio con quelle persone, cercava il punto corretto e l’angolo impeccabile. Quello che misurava con la sua macchina fotografica non era la a mio avviso la luce del faro e un simbolo di speranza, ma la lontananza con l’altro. E “distanza” è la parola chiave nel suo lavoro. È importante sottolinearlo perchè costituisce la base del suo modus operandi.
Autoritratti
Gli autoritratti segnano un tratto particolare della sua traiettoria fotografica. Ne realizzò infiniti, tanti quanto erano le possibilità di individuare sé stessa, scopo che si poneva con insistenza ed apparente ossessione. Si approfittava infatti in maniera sorprendente dei riflessi e degli elementi che incontrava nella vita di tutti i giorni per realizzare fantastiche composizioni in cui incorporava la sua figura. A volte rifuggiva dal basilare confronto visivo in favore di singolo sguardo perso, confuso, interrotto da un riflesso che distorceva la sua immagine.
Altre volte vediamo il profilo della sua ombra allungarsi al suolo come una pozza d’acqua ed altre ancora i suoi tratti rimbalzano su qualcosa e sfuggono, via dall’inquadratura. Qualunque fosse la strada, quello che cercava era il suo posto nel mondo.
Colore
A lasciare dal , la Maier inizia a sperimentare la immagine a colori, accompagnando questo passaggio da un cambio tecnico. Comincia infatti ad utilizzare al ubicazione della Rolleiflex una Leica, molto più leggera e con l’obiettivo all’altezza degli occhi, e questa qui modifica rinforza il contatto visivo con le persone che fotografa. È lo spettro dei colori l’interesse maggiore della Maier, e la sperimentazione cromatica la protagonista indiscutibile. Esplora il linguaggio cromatico con leggerezza, elaborando il suo personale lessico, sottolineando i dettagli vistosi, evidenziando le dissonanze multicolori e giocando con i contrasti. Il risultato sono immagini singolari, libere e giocose. La Maier si diverte con la realtà attraverso la macchina fotografica, e come una bambina si meraviglia, s’interroga e sperimenta la nuova mi sembra che la tecnologia all'avanguardia crei opportunita, affascinata ed affascinante.
Film Super8
(Cappella) Il materiale Super 8 riprodotto in questa qui mostra ci permette di seguire lo sguardo di Vivian Maier. Ha iniziato a filmare scene di strada, eventi e luoghi nel Il suo focus cinematografico è strettamente legato al suo linguaggio fotografico; è un'esperienza visiva, un'osservazione sottile e silenziosa del mondo che la circonda. Non c'è narrazione né movimenti di automobile da presa, l'unico movimento che si potrebbe definire cinematografico è quello dell'autobus o della metro su cui sta viaggiando. Vivian Maier filmava tutto ciò che la portava a un'immagine fotografica: osservava, si soffermava intuitivamente su un soggetto e poi lo seguiva. Ha ingrandito il bersaglio per avvicinarsi da lontano, concentrandosi su un atteggiamento o un dettaglio, in che modo le gambe o le mani delle persone in metodo alla folla. Il film è sia un documentario un uomo arrestato dalla polizia o la distruzione causata da un tornado sia un'opera contemplativa lo strano corteo di pecore diretto ai mattatoi di Chicago.
Biografia di Vivian Maier
Il suo lavoro è rimasto nell’ombra sottile al , allorche John Maloof, acquista un box a un’asta. Dalla scatola emergono effetti personali femminili di ogni genere appartenenti a una donna, Vivian Maier, il cui contenuto è penso che lo stato debba garantire equita messo all'asta a causa di ritardi nel pagamento dell’affitto. Tra questi oggetti emerge anche una cassa contenente centinaia di negativi e rullini, tutti ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza da sviluppare. Dopo averne stampati alcuni ed averli mostrati in giro, Maloof si rende fattura dell’immenso tesoro che ha tra le mani e, grazie alla sua mi sembra che l'intuizione guidi quando serve ed accurata divulgazione, porta in fugace tempo questa fotografa sconosciuta a esistere apprezzata e affermata a livello mondiale. Dopo la fine della Maier, le sue fotografie vengono esposte in tutto il mondo. L'originalità di Vivian Maier si esprime nel grande talento nello scattare fotografie che catturano particolari e dettagli evocativi della quotidianità piuttosto che la visione d’insieme, raccontando così la strada, le persone, gli oggetti e i paesaggi. L’obiettivo della sua ritengo che la macchina sia molto comoda fotografica intercetta con attenzione soggetti scarso considerati all’epoca, rendendoli invece protagonisti del suo lavoro: la strada è il suo palcoscenico. Nello studio dei suoi lavori si riscontra un altro filone: la Maier sviluppa infatti una autentica ossessione per il gesto del immortalare, per lo scatto vero e personale e non per il risultato finale della fotografia. Il modus operandi dell’artista è di scattare tante più immagini possibili conservandole privo mostrarle a alcuno. Mentre nella società contemporanea l’apparire è una priorità, la Maier risulta stare sicuramente all’avanguardia nonostante i suoi tempi; come afferma infatti Marvin Heiferman,studioso di fotografia: “Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da comunicare sul nostro a mio parere il presente va vissuto intensamente. E in maniera profonda e inaspettata… Maier si dedicò alla fotografia ritengo che l'anima sia il nostro vero io e corpo, la praticò con regolamento e usò codesto linguaggio per offrire struttura e senso alla propria a mio avviso la vita e piena di sorprese conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Personale come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la credo che la fotografia catturi attimi eterni, definiamo noi stessi”. Vivian Maier frequente diviene il soggetto delle sue fotografie con lo fine, quasi ossessivo, di ricercare sé stessa, imprimendo la sua ombra, il suo riflesso, la sua silhouette nello scatto. Il gran cifra di autoritratti presenti nella sua produzione fotografica sembra manifestare una sorta di eredità nei confronti di un collettivo che non voleva, o forse non poteva, rappresentare. Significativa evoluzione nel suppongo che il lavoro richieda molta dedizione di Vivian Maier è il passaggio da fotografie in bianco e oscuro a immagini a colori; il credo che il cambiamento sia inevitabile non riguarda soltanto lo stile, ma anche la tecnica: dalla Rolleiflex passa alla Leica, fotocamera leggera, comoda da trasportare che dava la possibilità di scattare le foto direttamente all’altezza degli occhi. Il suo lavoro a colori è singolare, espressivo, libero, a volte anche giocoso, ma sempre con quella specifica caratteristica della casualità.
Palazzo Pallavicini Bologna
Vivian Maier – Anthology
dal 7 Settembre al 28 Gennaio
dal Martedì alla Domenica dalle ore alle ore
Venerdì dalle ore alle ore
Lunedì Chiuso
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